Resident Evil: come far rinascere un franchise, nel modo giusto

Resident Evil è una delle saghe più celebri di sempre che, dopo anni di alti e bassi, è ora tornata ai fasti di un tempo: com'è successo?

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a cura di Michele Pintaudi

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La storia dei videogiochi è piena di saghe che, per tutta una serie di motivi, sono riuscite a lasciare un segno indelebile nel cuore dei giocatori. Franchise che non è esagerato definire leggendari, e che sono col tempo entrati a far parte di quella che ormai tutti noi chiamiamo cultura popolare. Resident Evil è uno di questi e, anzi, si tratta forse di uno dei brand videoludici più noti e celebri dell’intera industria: chi di noi, a conti fatti, non ne ha davvero mai sentito parlare?

Ciò che ha reso Resident Evil un’opera così importante è l’insieme di tantissimi fattori, a partire probabilmente da quello temporale: il primo capitolo della serie è uscito nel 1996, nel pieno di uno dei periodi di maggior splendore per questo medium, dimostrandosi sin da subito in grado di portare qualcosa di realmente innovativo. È questo che intendiamo quando parliamo di lasciare un segno ma, come la storia insegna, le cose non vanno sempre per il verso giusto. Facciamo un passo indietro giusto di qualche anno, fino al gennaio 2005…

Resident Evil: ascesa, caduta e…

Dopo tre capitoli e diversi spinoff capaci di catturare il pubblico di tutto il mondo, Resident Evil si era ormai affermato come uno dei franchise più importanti dell’ultimo decennio. Stiamo parlando, di fatto, di una serie capace di definire uno standard: i vari titoli sono tra di loro molto simili e ricalcano una medesima struttura di base, ma anche e soprattutto grazie a questo appaiono immediatamente riconoscibili. A chiunque.

Nel 2002 Resident Evil fa il suo debutto anche sul grande schermo con la prima pellicola, diretta da W. S. Anderson e interpretata da Milla Jovovich, di una saga cinematografica destinata a durare tanto (forse troppo) nel corso degli anni a seguire. In tutto ciò i fan non vedevano l’ora di mettere le mani su un nuovo episodio, mentre dal canto suo Capcom si stava prendendo tutto il tempo necessario per realizzare qualcosa di davvero eccezionale.

Nel 2001 usciva il primo Devil May Cry che, come qualcuno di voi già saprà, fu inizialmente pensato come un restyling di Resident Evil: il progetto prese poi una direzione differente, e l’avventura di Dante è oggi un altro franchise di successo del tutto indipendente. Per vedere Resident Evil 4 toccherà aspettare appunto fino al gennaio 2005 e l’attesa, che gli appassionati non riuscivano ormai più a sostenere, venne ampiamente ripagata.

Con questo nuovo capitolo Capcom riesce a cambiare l’impostazione della saga, sconvolgendola e lasciando molti giocatori a bocca aperta: il titolo divide sin da subito il pubblico, tra chi grida al miracolo e chi invece si sente “tradito” da questo cambio così repentino e radicale rispetto al concept iniziale. A distanza di anni l’avventura di Leon è però considerata uno dei migliori videogiochi di sempre, nonché una delle esperienze più rivoluzionarie mai prodotte: rinnovandosi, Resident Evil aveva gettato nuove basi per un futuro sempre più promettente. O forse no.

Nel 2009 esce l’attesissimo quinto capitolo che, per la prima volta nel corso della serie principale, rappresenta un grosso buco nell’acqua. La qualità del gioco, della narrazione e dell’esperienza in sé non riescono a incidere come in passato: dal level design ad alcune sezioni al limite della decenza, Resident Evil 5 non riesce purtroppo a far breccia nel cuore degli appassionati. Tre anni dopo arrivano Operation Raccoon City, spinoff sviluppato da Slant Six Games, e soprattutto il sesto capitolo della saga: due giochi, anch’essi, che non hanno lasciato traccia e che anzi hanno contribuito a diffondere un certo pensiero all’interno della community. L’idea che Resident Evil, dopo tanti anni, non avesse più nulla da dire.

Il grande ritorno, che nessuno si aspettava

La sensazione diffusa era che il brand appartenesse ormai al passato, nel quale rimaneva tutta la gloria che si era riuscito a costruire negli anni. Una riflessione avvalorata dal fatto che, nel mentre, Resident Evil era sbarcato nel mainstream in maniera decisamente esagerata: quel gioco che aveva terrorizzato il mondo a fine anni Novanta si era trasformato in una serie di film (e non solo) di dubbio valore a livello qualitativo. Era tutto troppo, decisamente troppo.

Serviva un cambio di rotta, che fosse netto e deciso: una piccola grande rivoluzione insomma, proprio come quella messa in atto con Resident Evil 4. L’annuncio del settimo capitolo lasciò il pubblico inizialmente poco impressionato, perlopiù perché le aspettative nei confronti di Capcom non erano più particolarmente elevate. Qualcosa di diverso però c’era eccome, a partire dalla concezione vera e propria del gioco. Il nuovo RE Engine dà vita per la prima volta a un’esperienza in prima persona, totalmente diversa da quanto visto fino a quel momento nella serie e più simile a diversi titoli degli ultimi anni.

Il risultato finale? Resident Evil 7: Biohazard è un capolavoro, una vera opera horror in grado di terrorizzare raccontando una storia unica e in un modo davvero particolare. La visuale in prima persona riesce a coinvolgere ancor di più il giocatore, accentuando radicalmente l’emozione di puro terrore che egli andrà a provare. E il tutto grazie a un completo e profondo rinnovamento, che in pochissimi pensavano potesse funzionare.

Il gioco ha il merito non solo di dare nuova linfa vitale al brand, ma di risvegliare nel pubblico quella passione verso una delle saghe fondamentali del videogioco Survival Horror… E non solo! Gli ottimi risultati di vendita testimoniano un interesse anche da parte di un pubblico del tutto nuovo: generazioni di giocatori che si affacciano per la prima volta al mondo di Resident Evil, e che perciò hanno bisogno di (ri)scoprire per come si deve una serie così importante per il medium videoludico. Come fare? Anche qui Capcom è stata geniale, con una trovata studiata e soprattutto seguita con cura nei minimi dettagli.

Nel 2019 esce il remake del tanto amato secondo capitolo: un’edizione completamente rinnovata di un grande classico, alla quale seguirà appena un anno la medesima operazione su Resident Evil 3. Due prodotti capaci di emozionare i fan storici e di attirarne di nuovi, dando a questi ultimi la possibilità di conoscere la saga e di apprezzarla al suo meglio. Lo scorso anno ci ha poi consegnato Resident Evil Village, ottavo episodio della serie che ha raccolto il plauso congiunto di critica e pubblico: dopo anni di alti e bassi, insomma, la saga ideata da Shinji Mikami è finalmente tornata. Davvero.

Cosa ci riserverà il futuro ancora non lo sappiamo con certezza: data l’attività di Capcom negli ultimi anni è lecito pensare che, in tempi relativamente brevi, potremo finalmente avere tra le mani un remake anche del quarto capitolo della serie. Una prospettiva niente male, che se seguita con attenzione non rappresenterebbe altro che il naturale proseguo dell’ottimo lavoro svolto dall’azienda giapponese nel passato recente. Un lavoro che oggi più che mai è bene lodare, osservare e studiare come uno dei maggiori esempi di come resuscitare un franchise. Indipendentemente dal medium di cui stiamo parlando.

In pochi avrebbero scommesso sulla rinascita di Resident Evil ma, con la giusta cura e con la ferma volontà di ripartire (davvero) da zero, è stata scritta qualche pagina molto bella nella storia dei videogiochi. Sono diversi i brand “rinati” nel corso degli anni - da Tomb Raider a Devil May Cry passando per Crash Bandicoot - ed è solo questione di tempo prima di assistere ad altre operazioni di questo tipo. Con la speranza nelle generazioni a venire di riabbracciare alcuni di quei brand davvero, davvero leggendari di cui il videogioco ha assolutamente bisogno.