Xenosaga: il glorioso insuccesso di Monolith Soft

In occasione del 20° anniversario di Xenosaga, ripercorriamo la storia dell'iconica ma sfortunata serie di Monolith Soft.

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a cura di Marco Patrizi

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Ci sono titoli che sono figli perfetti del proprio tempo e altri che a un primo impatto risultano fuori fase rispetto ai trend comuni. Degli underdog con addosso un’aura di dissonanza rispetto a ciò a cui siamo abituati, che trasmettono l’idea di non essere per tutti e che richiedono pazienza per essere apprezzati. Nei primi anni 2000 Xenosaga si distinse per essere una delle produzioni più temerarie e uniche nel suo genere, tanto più notevole se si pensa che ha visto la luce in un’epoca e su una console estremamente floride di JRPG. Nonostante col senno di poi il progetto possa essere classificato come un fallimento, si è comunque guadagnato il proprio status di cult e ha lasciato, nel bene e nel male, la sua impronta nell’industria e nei cuori di innumerevoli fan.

Proprio oggi ricorre il 20° anniversario dell’uscita del primo capitolo di Xenosaga e ci è sembrato giusto celebrare la trilogia con una retrospettiva per ricordarla insieme e fare luce su alcuni aspetti del suo travagliato percorso.

Xenosaga affonda le sue radici creative direttamente nelle ceneri di Xenogears, altro titolo di culto uscito per PS1 pensato come un episodio di una serie ben più ampia. Purtroppo il progetto venne stroncato sul nascere da Squaresoft, che decise di non investire nel suo futuro per concentrarsi maggiormente sulla sua saga di bandiera Final Fantasy, anche per via delle difficoltà economiche incontrate in quegli anni. Il director Tetsuya Takahashi e la moglie sceneggiatrice Kaori Tanaka (anche conosciuta come Soraya Saga), però, credevano risolutamente nel progetto, tanto da prendere la decisione di lasciare Squaresoft e, assieme ad altri sviluppatori di Xenogears, mettersi in proprio fondando nel 1999 Monolith Soft.

Namco si rivelò il partner giusto per finanziare il nuovo progetto e si prese carico di Monolith Soft come sua filiale sussidiaria, occupandosi di marketing e logistica e permettendo al team di concentrarsi sullo sviluppo. Takahashi e Tanaka, assieme al producer Hirohide Sugiura (tutt’ora presidente di Monolith Soft), avevano finalmente i mezzi per dare la luce all’opera che avevano in mente, che pianificarono dovesse articolarsi in ben 6 capitoli.

L’unico intoppo alla realizzazione del progetto originale era che i diritti creativi di Xenogears erano di proprietà di Squaresoft, quindi non era possibile creare dei sequel diretti. Fu quindi necessario ambientare Xenosaga in un universo che non fosse esattamente lo stesso, ma che ne ereditasse genericamente il concept, e riadattare la storia ideata in origine. Xenosaga è dunque considerato un sequel solo spirituale di Xenogears, che contiene riferimenti familiari ma non troppo diretti: nomi, design di personaggi e mech, concetti generali ecc.

Lo sviluppo del primo capitolo, dal nome in codice “Project X”, non proseguì spedito come si sarebbe sperato, principalmente perché il team ebbe bisogno di un notevole lavoro preparativo per prendere confidenza col nuovo hardware. Era la prima volta che sviluppava un gioco per PS2, quindi la poca esperienza rallentò notevolmente il processo. Basti pensare che il motore grafico del gioco venne ultimato appena sei mesi prima dela release.

Nel 2002 vide infine la luce Xenosaga Episode I: Der Wille zur Macht, dal sottotitolo apertamente tratto dalla raccolta di appunti postuma di Friedrich Nietzsche focalizzata su un concetto chiave del suo pensiero: la Volontà di Potenza, appunto. Per Tetsuya Takahashi il filosofo tedesco ha sempre rappresentato una fonte di ispirazione già ai tempi di Xenogears, ma era evidente che il suo pensiero sarebbe stato più centrale in Xenosaga.

A livello artistico Xenosaga Episode I portava avanti una solida eredità grazie al coinvolgimento di personalità chiave come Kunihiko Tanaka, che già si era occupato del character design di Xenogears, Kouichi Mugitani che ha gestito i design dei mech come aveva fatto in passato e Yasuyuki Honne, art director che aveva lavorato anche a Chrono Cross.

Per l’occasione il fenomenale compositore Yasunori Mitsuda (già autore delle colonne sonore di Chrono Trigger, Xenogears e Chrono Cross) tornò a collaborare con Takahashi, creando brani “cuciti” su specifiche scene piuttosto che un ensemble di tracce tematiche. La colonna sonora venne fatta eseguire nientemeno che dalla London Philharmonic Orchestra.

Alla sua pubblicazione Xenosaga Episode I: Der Wille zur Macht non ebbe difficoltà a distinguersi e ad attirare una certa attenzione per i suoi contenuti: fantascienza, temi filosofici, riferimenti religiosi, scene di una certa crudezza e quant'altro condensati in una trama che si faceva via via sempre più densa e misteriosa. Condensati per modo di dire, dato che l’impressionante durata complessiva delle cutscene ammontava a più di 7 ore; non a caso il gioco dovette essere commercializzato in 2 DVD, un fatto raro per quell’epoca.

Alcuni avanzarono l’opinione che un titolo con una tale quantità di scene non interattive fosse assurdo, addirittura un pessimo esempio da non seguire per non rovinare l’essenza stessa dei videogiochi; polemica che all'epoca era già cominciata a emergere con l’uscita di Metal Gear Solid 2. Effettivamente certe cutscene potevano durare anche oltre 20 minuti, spezzando non poco il ritmo di gioco, ma allo stesso tempo erano capaci di coinvolgere in modo più cinematografico.

Xenosaga Episode I venne accolto generalmente bene dalla critica ed ebbe un buon debutto di vendite in Giappone. Dopo sei mesi dalla release occidentale (che non superò gli Stati Uniti) Namco annunciò che le vendite internazionali avevano superato il milione di copie. Sicuramente non un risultato misero, ma che Namco giudicò deludente a fronte dell’investimento intrapreso. Questo portò inevitabilmente all'interferenza del publisher sul futuro della saga.

Da un lato potremmo dire che Namco abbia agito in modo ingiusto nei confronti di Monolith Soft, negandogli la libertà creativa che era giusto avesse. Ma d’altro canto è evidente che il publisher avesse fatto i suoi conti e capito che sarebbe stato impossibile per Monolith Soft sviluppare altri cinque giochi della stessa portata in un lasso di tempo ragionevole, e allo stesso tempo produrre dei guadagni soddisfacenti.

Sicuramente però le decisioni del publisher per revisionare il progetto originale con l’intento di risollevare la situazione furono molto poco sagge e lungimiranti. Per Episode II: Jenseits von Gut und Böse non venne riconfermata Kaori Tanaka nel ruolo di sceneggiatrice e pertanto anche Takahashi fece un passo indietro dal suo ruolo di director; entrambi rimasero attivi solo come supervisori. Anche il producer Hirohide Sugiura venne sostituito.

Il primo intento di Namco fu quello di mitigare lo stile grafico prettamente anime del primo episodio per cercare un appeal che potesse attirare maggiormente il pubblico occidentale. Al nuovo art director Norihiro Takami venne assegnato il compito di rendere il design dei personaggi più realistico (per quanto possibile). Il risultato fu che alcuni personaggi, a partire dalla protagonista Shion, cambiarono notevolmente di aspetto diventando quasi irriconoscibili; inoltre per qualche motivo i modelli poligonali non guadagnarono affatto in espressività, nonostante il motore grafico fosse stato revisionato. Non che l’effetto grafico fosse necessariamente brutto, semplicemente il risultato fu una transizione insipida che comprensibilmente stranì i giocatori del primo capitolo.

Per il design dei nuovi mech venne fatto invece un ottimo lavoro e rispetto al primo capitolo, in cui risultavano sostanzialmente inutili, vennero coinvolti maggiormente nell'intelaiatura del gioco, sia nelle cutscene che nel gameplay. Il battle system venne anch'esso rivisitato e reso più profondo… anche troppo in effetti. I combattimenti divennero tanto strategici quanto inutilmente macchinosi. Il gameplay in generale subì diversi cambiamenti incoerenti come l’eliminazione di equipaggiamenti e negozi, l’appiattimento delle abilità personali e l’inclusione di missioni secondarie che richiedevano tediose traversate a piedi da un luogo a un altro.

Anche il comparto sonoro subì un cambiamento piuttosto significativo. Yasunori Mitsuda, da sempre in ottimi rapporti con Takahashi, rifiutò di partecipare alla produzione del secondo episodio dato che non approvava il cambio di direzione imposto da Namco. Al suo posto vennero ingaggiati Yuki Kajiura per i temi principali e le cutscene e Shinji Hosoe per le ambientazioni. Gli stili dei due compositori erano molto diversi e lo stacco si faceva sentire. La maggior parte del lavoro venne fortunatamente affidato a Kajiura, che riuscì a creare una colonna sonora emotiva dalla forte personalità.

Per Xenosaga Episode II: Jenseits von Gut und Böse l’intento di Namco era quello di creare una storia più corta e meno dispersiva. In effetti il secondo capitolo si concentrò particolarmente sul rapporto tra Jr. (aka Rubedo) e l’antagonista Albedo, il loro passato travagliato e la loro conseguente rivalità. L’accento story-driven della serie non venne snaturato, ma le cutscene vennero snellite e limitate a un totale di circa 4 ore e mezza. Furono comunque necessari dei tagli alle bozze originali di Tetsuya Takahashi e Kaori Tanaka, e questo determinò a catena una deviazione dalla visione originale nel capitolo successivo.

I rimaneggiamenti di Namco per tentare di risollevare le vendite sortirono l’effetto opposto. Episode II ottenne infatti un’accoglienza abbastanza tiepida dalla critica e delle vendite inferiori rispetto al primo episodio, arrivando a coprire appena la metà delle previsioni di vendita. Paradossalmente fu anche l’unico a ricevere una release europea, di cui però si occupò Sony.

Quello successivo all'uscita di Episode II fu senza dubbio il periodo peggiore che Monolith Soft abbia mai passato. La prospettiva di realizzare il progetto di Takahashi per come lo aveva ideato era sostanzialmente sfumata, un’altra volta. Il programma di produrre sei episodi a quel punto era ormai irrealizzabile, pertanto venne deciso di chiudere la serie con il terzo capitolo. Allo studio di sviluppo venne affidato il disagevole compito di condensare in modo dignitoso la trama che avrebbe dovuto essere raccontata nei quattro restanti capitoli in uno solo.

Data l’incombenza gravosa a cui dovette rispondere, Xenosaga Episode III: Also Sprach Zarathustra fu narrativamente il capitolo più irregolare e compresso della serie. Eppure, incredibilmente, si rivelò essere anche il più appagante e meglio eseguito. Il team rimase per lo più lo stesso, ma questa volta non ci furono veti sullo stile “realistico”. Il nuovo character design venne calibrato per essere una via di mezzo tra quello anime puro del primo capitolo e quello del secondo, in modo tale da non lasciare di nuovo spaesati i giocatori. Il risultato fu davvero ottimale e i modelli poligonali godettero di espressività e animazioni migliori.

Ovviamente, data l’immane quantità di storia da rappresentare, ci fu bisogno di includere una grande quantità di dialoghi; per ottimizzare i tempi e i costi di produzione si decise di alternare cutscene completamente animate con scene statiche con finestre di dialogo. Il risultato fu comunque accettabile anche grazie agli eloquenti artwork dei volti dei personaggi che accompagnavano il testo.Yuki Kajiura tornò come compositrice unica per il gioco e riuscì a superare sé stessa, creando una colonna sonora ancora più vigorosa e intensa della precedente.

Ascoltando i feedback sul gameplay non esattamente entusiasti, questa volta il team di sviluppo sfoltì tutte gli elementi inutilmente complicati del predecessore e si concentrò su un battle system più classico e sorprendentemente efficace, riuscendo a migliorare anche le battaglie a bordo dei mech che divennero particolarmente entusiasmanti.

Nonostante dovesse rappresentare una chiusura quasi sbrigativa di una saga da cui ormai non ci si aspettava un grande successo, Xenosaga Episode III ricevette una grande attenzione e cura nel suo sviluppo, segno che, nonostante le tante difficoltà, il team desiderava chiudere l’esperienza al meglio delle proprie possibilità. In effetti il terzo capitolo nel suo insieme può essere considerato il migliore della serie, ma anche uno dei migliori JRPG sviluppati per PlayStation 2.

Quella di Xenosaga è stata senza dubbio un’esperienza ambigua e controversa. Al livello di produzione si è dovuta scontrare dolorosamente con le leggi del mercato, con l’esigenza di tutte le opere videoludiche di generare un profitto adeguato ad auto-sostenersi, a prescindere dalla loro valenza creativa e artistica. Col senno di poi è facile vedere come il progetto fosse troppo grande e temerario per essere realizzato e completato sul lungo termine. Non possiamo però certo biasimare Tetsuya Takahashi e tutta Monolith Soft per aver inseguito il sogno di poter creare qualcosa di straordinario, con un fervore fuori dal comune in questa industria.

Nonostante il fallimento produttivo, la trilogia di Xenosaga ha comunque rappresentato un unicum nel suo genere. A parte Xenogears, probabilmente non esiste un’altra opera videoludica che coinvolga così tanti elementi e temi, capace di coniugare fantascienza, filosofia, psicologia e iconografia religiosa in un’unica trama stratificata, portata avanti da un cast di personaggi memorabili.

Possiamo solo vagamente immaginare la frustrazione che ha accompagnato per anni Tetsuya Takahashi per non aver potuto realizzare una visione così potente e ambiziosa come l’aveva immaginata. Con tutta probabilità è stata tale delusione a spingerlo a ideare titoli più autonomi, come in seguito ha fatto con Xenoblade Chronicles.

La richiesta degli utenti di una remaster HD della trilogia di Xenosaga aveva raggiunto anni fa Katsuhiro Harada, general manager di Bandai Namco, che aveva chiesto in prima persona ai fan di farsi sentire per destare l’attenzione dell’azienda. Lo stesso Harada ha in seguito comunicato su Twitter che, nonostante il progetto stesse iniziando ad essere preso in considerazione, un’analisi di mercato non aveva dato esito positivo in quanto a previsioni di vendita, e quindi è stato bloccato. Da allora sono passati più di due anni, chissà se prima o poi Bandai Namco cambierà idea.