GamerGate: il gioco deve essere maschio o femmina?

Il dibattito sul GamerGate negli Stati Uniti non accenna a spegnersi, ma di cosa stiamo parlando?

Avatar di Elena Re Garbagnati

a cura di Elena Re Garbagnati

Negli Stati Uniti imperversa il GamerGate, un dibattito sulla promozione e produzione di giochi da parte di donne, in cui i personaggi femminili non incarnano lo stereotipo della principessa in pericolo o dell'eroina.

La miccia si è accesa quando Anita Sarkeesian, fondatrice dell'associazione Feminist Frequency, ha annullato una conferenza all'Università Statale dello Utah dopo avere ricevuto pesanti minacce contro di sé e chi eventualmente avrebbe assistito. Il problema non è ristretto alla Sarkeesian, ma a quanto pare si allarga a diverse sviluppatrici di giochi, che sono scese in campo nel dibattito e per risposta hanno ricevuto minacce di violenza via Internet.

Anita Sarkeesian

Twitter è esploso di messaggi con hashtag #StopGamerGate2014. Anche se l'idea è quella di interrompere le manifestazioni di approvazione o sostegno ai sostenitori del GamerGate, è inutile dire che la sua stessa esistenza pubblicizza il messaggio opposto così come quello voluto in egual misura.

I riflettori insomma sono di nuovo puntati sui videogiochi. La pietra dello scandalo stavolta non sono violenza o dipendenza ma il ruolo delle donne: una questione che per dirla tutta si dibatte nel mondo dal giorno della creazione e che non finirà certo con una partita alla PS4.

Forse sarebbe il caso di ammettere che stiamo parlando di una costola del problema (sempre ammesso che ce ne sia uno) di parità dei sessi a tutti i livelli della società, non di un problema dei videogiochi. E forse il discorso è talmente complesso che ridurlo a un videogioco rischia di ridicolizzarlo più che valorizzarlo.

Forse chi ama giocare potrebbe limitarsi a scegliere un gioco che gli piace e ignorare gli altri, e chi li sviluppa potrebbe semplicemente puntare a fare un buon prodotto, nell'ottica del fatto che la qualità premia portando un pubblico ampio. Fare una campagna contro i simulatori di volo perché non ci piace volare è demenziale, ma lo è altrettanto pubblicizzare un gioco di volo dicendo che se non ti piace volare sei un cretino. O è troppo difficile?