Le sfere esistono davvero e servono sulla ISS

L'Italia ha vinto la competizione internazionale ZeroRobotics stracciando gli avversari nella finalissima giocata a bordo della Stazione Spaziale Internazionale. Ecco le strategie e le regole del gioco spaziale più emozionante a cui si possa partecipare.

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a cura di Elena Re Garbagnati

Le sfere esistono davvero e servono sulla ISS

Benché in questa occasione fossero strumenti di gioco, gli SPHERES (Synchronised Position Hold, Engage, Reorient, Experimental Satellites) esistono davvero: sono robot altamente tecnologici sviluppati dalla NASA e attualmente ce ne sono tre in fase di test all'interno della Stazione Spaziale per collaudare cicli di istruzioni per eseguire rendezvous autonomi e operazioni di attracco.

Saranno usati per attività automatizzate nello Spazio, come per esempio la riparazione dei veicoli spaziali che richiedono operazioni all'esterno della ISS, la manutenzione e l'assemblaggio di satelliti e/o il recupero di materiale che può essere riutilizzato, e molte altre ancora.

Immaginateli come una squadra a cui possono essere affidate vere e proprie missioni spaziali. Secondo i ricercatori del MIT in futuro potranno essere usati come tuttofare delle missioni spaziali, da inviare al posto degli astronauti per esaminare e riparare veicoli spaziali, comunicando fra loro e dividendosi i compiti.

Esteriormente sembrano delle palle da basket con un diametro di circa 40 centimetri e per muoverle occorrono nozioni di fisica e la capacità di scrivere algoritmi. Ciascun satellite è autonomo e dispone di un sistema di propulsione, un computer e apparecchiature di navigazione.

Tommaso Chemello, strategist e curatore dell'immagine del gruppo e dei contatti con i compagni stranieri, ci ha spiegato le difficoltà nel governare questi oggetti. "Il MIT consente di programmare gli SPHERES e fare il 95% della gara al simulatore e solo le finalissime a bordo della Stazione Spaziale. Una delle difficoltà è quella di  capire il funzionamento di questi oggetti dal punto di vista teorico.

Inoltre il simulatore introduce un certo 'rumore', quindi le informazioni che ha il robot richiedono un certo margine di errore e bisogna governare informazioni come posizione e velocità del tuo SPHERES con una determinata approssimazione, che non è piccolissima quindi c'è un certo margine di variabilità nel comportamento degli oggetti con cui si lavora. Per questo il programma deve essere in grado di controllare in continuazione la propria posizione e di preparare delle mosse di conseguenza".

"Nelle prime fasi, con la simulazione prima 2D e poi 3D sui server del MIT, bisognava riprodurre nel modo migliore possibile i movimenti della SPHERE compatibilmente con le possibilità del sistema e degli oggetti, che sono comunque strumenti di serie A. Nell'ultima fase, che si svolge sulla Stazione Spaziale, gli oggetti sono fisici quindi introducono ulteriore margine di variabilità che a volte è imprevisto".

 

Oltre alla parte ludica, i ragazzi ci hanno spiegato che "questo gioco serve anche ai ricercatori per migliorare il simulatore tramite le prove a cui viene sottoposto con RetroSpheres per avere uno strumento più preciso e affidabile possibile. Dall'altra parte i ricercatori fanno esperimenti sulla ISS perché devono avere dei programmi in grado di funzionare nelle situazioni reali perché il futuro dello spazio è nei robot".

In sostanza, quello che per gli studenti è un gioco per i tecnici della NASA e del MIT è una prova continua per migliorare gli algoritmi e il controllo autonomo di questi oggetti. "Loro infatti diventano proprietari dei nostri codici - ci spiega il professor Macchietto. Non che siano particolarmente evoluti rispetto a quelli che fanno gli ingegneri però per certe operazioni sono interessanti". Lumetti aggiunge che in questo modo i ricercatori accumulano un grande numero di programmi che li aiutano a capire le differenze fra il comportamento degli SPHERES nelle simulazioni e nella realtà.