Grazie alle fibre ottiche gli scienziati ci vedono più chiaro sulla radiazione di Hawking

Uno studio pubblicato su Physical Review Letters consente agli scienziati di avvicinarsi al modello matematico di Stephen Hawking per descrivere la radiazione di Hawking. Un passo avanti teorico importante per comprende meglio il Cosmo.

Avatar di Antonio D'Isanto

a cura di Antonio D'Isanto

Stephen Hawking
, nel corso della sua fenomenale carriera, ha sondato molti misteri del Cosmo, contribuendo in maniera sostanziale nell’avanzamento delle conoscenze teoriche che abbiamo sulla struttura e sul comportamento dell’Universo in cui viviamo. Tuttavia, ciò che forse attraeva maggiormente il suo interesse era lo studio dei buchi neri. Non è un caso dunque che la scoperta per la quale sia maggiormente conosciuto riguardi proprio questi mostri cosmici. Mi riferisco ovviamente alla famosa radiazione di Hawking.

Il concetto alla base di questo fenomeno è tutto sommato semplice. Come saprete, un buco nero è un oggetto che, per sua stessa definizione, è completamente isolato del resto dell’Universo. Qualunque cosa oltrepassi una superficie detta orizzonte degli eventi, persino la luce, non ha più modo di ritornare indietro, a causa della micidiale attrazione gravitazionale. Parlando in termini strettamente relativistici, la stella collassata distorce lo spazio-tempo in maniera tale da creare una sorta di pozzo gravitazionale senza fondo, ciò che matematicamente viene definita una singolarità: un punto in cui le leggi fisiche per come le conosciamo non hanno più validità. Il fatto che non ci sia possibile vedere una singolarità, perché nascosta dall’orizzonte degli eventi, risponde al nome di “legge della censura cosmica”. In qualche modo, la scoperta di Hawking ha “ammorbidito” questo principio, ridefinendo i buchi neri come oggetti in interazione termodinamica con il resto dell’Universo, proprio grazie alla radiazione che da lui prende il nome.

La radiazione di Hawking è dovuta a un fenomeno tipicamente quantistico, quello dell’energia del vuoto. Quest’energia può dare luogo a quelle che vengono definite “fluttuazioni quantistiche del vuoto”, ovvero la repentina comparsa e susseguente annichilazione di coppie particella-antiparticella. Se questo fenomeno si verifica in prossimità dell’orizzonte degli eventi, può accadere che una delle due particelle venga assorbita dal buco nero, mentre la seconda vi sfugga. Ciò dà luogo a due fenomeni: l’emissione di una seppur debolissima radiazione, la radiazione di Hawking appunto, e una contemporanea, piccolissima perdita di energia, e dunque di massa, da parte del buco nero, il quale a lungo andare tenderà perciò a “evaporare”.

Tale radiazione è, come potrete immaginare, difficilissima da misurare, in quanto molto molto piccola, e infatti nessuno sino a questo momento è stato in grado di darne una prova definitiva per via sperimentale. Così i fisici hanno cominciato a cercare strade alternative, costruendo modelli che potessero riprodurre il comportamento di un buco nero, per verificare se un qualche tipo di radiazione potesse essere indotta in tal modo. Ci sono stati diversi tentativi in passato, ma con risultati non del tutto soddisfacenti. Ora però le cose potrebbero cambiare, grazie a un nuovo lavoro pubblicato di recente da un gruppo di ricercatori su Physical Review Letters.

Gli scienziati, in questo caso, hanno adottato un modello basato sull’utilizzo di fibre ottiche in cui, propagando opportunamente impulsi elettromagnetici, sarebbe possibile generare l’equivalente di un orizzonte degli eventi grazie alla loro interferenza. Utilizzando un terzo impulso, il sistema così stimolato rispondeva emettendo una radiazione a frequenza negativa, assimilabile di fatto a quella di Hawking. Si tratta in questo caso di una risposta del sistema a uno stimolo, ma la speranza futura è quella di poter osservare anche una radiazione spontanea da parte di un sistema siffatto.

A questo punto bisogna chiarire un aspetto fondamentale. Gli scienziati non hanno prodotto un buco nero, né osservato la “vera” radiazione di Hawking. Piuttosto, hanno costruito un modello basato su una matematica identica a quella utilizzata dal fisico britannico per descrivere il fenomeno. Il modello ha poi fornito risposte in linea con le previsioni teoriche. Perciò, come specificato dagli autori stessi dell’articolo, non si tratta della prova definitiva dell’esistenza della radiazione di Hawking, ma sicuramente questo lavoro rappresenta un passo importante per arrivare a quella prova. Questo perché consente di verificare che la matematica utilizzata funziona ed è possibile costruire modelli che rispondono correttamente alle previsioni fatte con l’analisi teorica.

Sicuramente si tratta di un’ulteriore conferma, quantomeno, della genialità di Hawking, il quale era in grado di vedere e immaginare cose impensabili per tutti gli altri, grazie a una profondissima conoscenza dell’Universo e delle leggi che lo regolano. Inoltre, lavori di questo tipo ci fanno comprendere come a volte la ricerca scientifica debba procedere per vie traverse, ingegnandosi per ricostruire fenomeni lontanissimi da noi e, a volte, impossibili da osservare. Ciò a maggior ragione in astronomia, l’unica scienza in cui non è possibile costruire un laboratorio e fare esperimenti. Bisogna dire che, dopotutto, viste le conoscenze attuali, dai tempi di Galileo non ce la siamo cavata poi così male.

Antonio D'Isanto è ricercatore postdoc presso l’Heidelberg Institute for Theoretical Studies in Germania. Ha conseguito il dottorato in astronomia presso l'Università Ruperto Carola di Heidelberg e ha all'attivo pubblicazioni su importanti riviste come MNRAS e Astronomy&Astrophysics. Si occupa prevalentemente di astroinformatica, ovvero l’applicazione di tecnologie e metodologie informatiche per la risoluzione di problemi complessi nel campo della ricerca astrofisica. Si interessa inoltre di reti neurali, deep learning e intelligenza artificiale. Da diversi anni si occupa attivamente di divulgazione scientifica. Da sempre appassionato di sport, è cintura nera 2°dan di Taekwondo, oltre che di lettura, cinema e tecnologia. Collabora con Tom’s Hardware per la produzione di contenuti scientifici.

Se gli argomenti accennati in questo articolo vi attirano leggete  La natura dello spazio e del tempo, un libro scritto da Hawking e Penrose che tratta di buchi neri, Big Bang, inflazione