Il buco nero M87 fotografato dall'EHT e le conseguenze sulla Fisica e sull’Astrofisica, spiegate dall'esperto

La fotografia di un buco nero ieri ha affascinato tutti, ma non si tratta solo di una fotografia sensazionale, è un evento che avrà conseguenze sulla Fisica e sull’Astrofisica dei prossimi anni. Ecco perché.

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a cura di Antonio D'Isanto

Gli ultimi anni sono stati decisamente esaltanti per la comunità scientifica, grazie a una serie di scoperte rivoluzionarie, come l’osservazione del bosone di Higgs o delle onde gravitazionali, tanto per citarne alcune.

L’annuncio fatto ieri dal team di Event Horizon Telescope (EHT), con la cattura della prima immagine diretta di un buco nero, rientra senza dubbio nel novero ristretto di quelle scoperte in grado di cambiare per sempre lo studio e la comprensione dell’Universo. Vediamo di capire meglio quanto rivelato ieri e, soprattutto, le ricadute che questa scoperta avrà sulla Fisica e sull’Astrofisica dei prossimi anni.

Di EHT abbiamo già avuto modo di parlare più volte. Si tratta di un telescopio virtuale che, mettendo in collegamento diversi radiotelescopi sparsi sul tutto il globo, e sfruttando la tecnica detta Very Long Baseline Interferometry (VLBI), oltre che la rotazione terrestre, ha reso possibile effettuare osservazioni con un potere risolutivo pari a quello di uno strumento del diametro del nostro pianeta. Due gli obiettivi della campagna osservativa, che ha avuto luogo nel 2017: Sagittarius A*, nel centro della Via Lattea, e M87, il cuore pulsante della galassia attiva Virgo A. Le osservazioni, che hanno prodotto diversi petabyte di dati, e richiesto circa due anni di analisi, hanno infine fornito un’immagine senza precedenti. La prima in assoluto di un buco nero, ovvero M87.

Come molti di voi sapranno, un buco nero è per sua stessa definizione invisibile. Si tratta infatti di un oggetto prodotto da un inarrestabile collasso gravitazionale, che ha prodotto un vero e proprio mostro, così denso e compatto che neppure la luce è in grado di sfuggire alla sua forza di gravità. Il punto di non ritorno è quello che comunemente viene definito orizzonte degli eventi, ovvero la superficie oltre la quale non è più possibile tornare indietro e in cui le leggi fisiche che conosciamo non hanno più senso.

Tuttavia le previsioni teoriche, basate sulla Relatività Generale di Einstein, ci dicevano che ad un’osservazione diretta, un buco nero dovrebbe apparirci come un disco scuro, una sorta di zona d’ombra, circondata da un anello luminoso asimmetrico. Negli ultimi anni numerose simulazioni avevano indirettamente confermato queste previsioni. Su simulazioni simili era basata anche la rappresentazione del buco nero mostrata nel famoso film Interstellar. La tecnologia però non era ancora in grado di fornirci la prova diretta, ovvero quella osservativa. Questo fino all’avvento di EHT.

L’immagine svelata ieri è perfettamente compatibile con le previsioni teoriche fatte finora. Essa è spiegabile con la presenza di un buco nero supermassiccio caratterizzato da una massa di circa 6,5 miliardi di volte quella del Sole. L’anello che circonda la zona d’ombra è generato da un effetto di lensing gravitazionale che il buco nero genera sui fotoni che si avvicinano all’orizzonte degli eventi. Il buco nero è circondato da plasma in rotazione attorno all’oggetto. Questo plasma si riscalda a causa della forte gravità del buco nero, ed emette radiazione. A seconda della distanza alla quale la radiazione si propaga, i fotoni possono essere assorbiti, deflessi, oppure catturati in un’orbita circolare che forma proprio l’anello mostrato nell’immagine. L’asimmetria che caratterizza l’anello è spiegabile tenendo conto della rapida rotazione del buco nero, oltre che di ulteriori effetti relativistici. Ciò è compatibile con un buco nero del tipo di Kerr, ovvero caratterizzato da due soli parametri: massa e rotazione. Inoltre dai calcoli effettuati è possibile provare che l’asse di rotazione del buco nero non è diretto verso la Terra, ma bensì inclinato.

Cosa significa tutto questo?

Innanzi tutto, che i buchi neri esistono. Finora tutte le conferme sperimentali erano indirette, ma mancava un’osservazione diretta di tale oggetto. Ipotesi alternative, come gravastar, stelle di bosoni, singolarità nude, ponti di Einstein-Rosen, e così via, non sono compatibili con l’osservazione effettuata da EHT.

Ancora, per l’ennesima volta, abbiamo la prova che Einstein aveva ragione, e che la Relatività Generale funziona, in quanto le previsioni teoriche effettuate utilizzando tale teoria sono state poi puntualmente verificate.

La prova della presenza di un buco nero nel centro di una galassia come Virgo A, conferma le teorie sulla struttura delle galassie stesse e sui nuclei galattici attivi, con profonde ricadute sui modelli che ne descrivono la nascita e l’evoluzione.

Infne, l’esistenza dei buchi neri è fondamentale per le teorie di unificazione tra Relatività Generale e Meccanica Quantistica, proposte negli anni da scienziati come Stephen Hawking e Roger Penrose.

Al contrario, se EHT avesse osservato qualcosa di diverso, tutto ciò sarebbe stato messo in discussione, con implicazioni potenzialmente devastanti su conoscenze fisiche che oggi consideriamo pressoché assodate.

L’avventura di EHT però non finisce qui. Infatti, il prossimo obiettivo è Sagittarius A*, il buco nero al centro della Via Lattea. In questo caso, l’osservazione è più complessa, poiché l’oggetto è oscurato dalla fitta coltre di gas e polveri che si trovano nel piano della galassia. Inoltre l’attività di M87 lo rende un bersaglio più facile di Sagittarius A*, che è per lo più quiescente. Ciò rende le operazioni molto più complesse, ma non impossibili. Osservare Sagittarius A* ci consentirebbe di compiere un ulteriore passo in avanti nella comprensione della struttura della galassia in cui viviamo.

In generale, oggi si apre una nuova era per l’astronomia, in cui oggetti fino a poco tempo fa considerati insondabili, e sui quali molti dubitavano persino della loro esistenza, sono stati finalmente svelati. Combinando tutto ciò con lo studio delle onde gravitazionali, abbiamo la possibilità di aprire una nuova, incredibile finestra sull’Universo, con possibilità pressoché illimitate.

Solo una cosa rende questa giornata un po’ più triste: il fatto che il grande Stephen Hawking non abbia fatto in tempo ad assistervi. Sicuramente, dopo aver dedicato la sua vita allo studio dei buchi neri, ne sarebbe stato esaltato.

Antonio D’Isanto è ricercatore postdoc presso l’Heidelberg Institute for Theoretical Studies in Germania. Ha conseguito il dottorato in astronomia presso l’Università Ruperto Carola di Heidelberg e ha all’attivo pubblicazioni su importanti riviste come MNRAS e Astronomy&Astrophysics. Si occupa prevalentemente di astroinformatica, ovvero l’applicazione di tecnologie e metodologie informatiche per la risoluzione di problemi complessi nel campo della ricerca astrofisica. Si interessa inoltre di reti neurali, deep learning e intelligenza artificiale. Da diversi anni si occupa attivamente di divulgazione scientifica. Da sempre appassionato di sport, è cintura nera 2°dan di Taekwondo, oltre che di lettura, cinema e tecnologia. Collabora con Tom’s Hardware per la produzione di contenuti scientifici.

Se gli argomenti accennati in questo articolo vi attirano leggete  La natura dello spazio e del tempo, un libro scritto da Hawking e Penrose che tratta di buchi neri, Big Bang, inflazione