I minerali pregiati (terre rare), che si nascondono dentro ai dispostivi elettronici, sono totalmente in mano ai cinesi. Stati Uniti, Unione Europea e Giappone hanno depositato una denuncia presso il World Trade Organization per risolvere la situazione. Il rischio è che il mercato mondiale delle "terre rare" venga condizionato per quantità e listini da questo incredibile monopolio. Le lobby del segmento hi-tech ovviamente hanno iniziato a pungolare i governi per reagire ed evitare gli effetti collaterali negativi sui costi produttivi e sullo sviluppo.
La Cina oggi detiene il 95% della produzione mondiale di terre rare, come ad esempio il Mobildeno, Tungsteno, Neomidio e Disprosio. Si parla di circa 17 minerali fondamentali per i settori hardware, mobile e anche militare. Dalle auto ibride come la Toyota Prius o ai tablet come l'iPad, l'unica certezza è che condividono l'utilizzo di questi minerali.
Scandio, una terra rara
Il problema è che vengono estratti per lo più in Cina, oppure provengono da miniere africane - e non solo - che Pechino ha barattato con opere civili. Negli ultimi anni, con il potenziamento dell'industria nazionale, l'esportazione di terre rare è stata ridotta sensibilmente, passando dalle 65mila tonnellate annuali del 2005 alle attuali 30mila tonnellate. La giustificazione giocata anche in sede WTO è che l'estrazione crea problemi ambientali, senza contare ovviamente gli effetti sulle riserve.
Insomma, in questa querelle convivono più verità . La prima incontrovertibile è che la Cina effettivamente sta condizionando illegalmente il mercato mondiale. Il WTO si è già espresso al riguardo nel luglio 2011. In secondo luogo è vero che l'estrazione di questi materiali è pericolosa e costosa, quindi normale che a lungo andare la Cina si sia ritrovata a dominare il settore.
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Insomma, l'esito di questa vicenda non è scontato e infatti gli Stati Uniti e altri paesi stanno reagendo programmando la riapertura di vecchie miniere nazionali. Si stima che questa corsa mondiale possa raggiungere un volume estrattivo analogo a quello cinese entro il 2020.
A questo punto non resta che attendere le consultazioni tra Stati Uniti, UE, Giappone e Cina, Se non giungeranno a un compromesso entro 60 giorni deciderà il tribunale del WTO. Ci vorrà comunque del tempo, perché una vertenza analoga ha richiesto quasi 3 anni prima di giungere a una sentenza.