Mediamente, quello che si sente dire è questo: "tutto costa sempre di più, gli stipendi non cambiano, i ricchi fanno sempre più soldi e tutti gli altri sono sempre più poveri". È vera questa cosa? E se è vera, cosa succederà fra 5, 10, 20 o 30 anni se il trend dovesse continuare? Siamo tutti destinati a finire a gambe all'aria, schiacciati da un sistema che sembra fare di tutto per diminuire il nostro potere d'acquisto? Ho lavorato recuperando un bel po' di dati per rispondere a queste domande.
L’indice dei prezzi al consumo
Iniziamo con il CPI, l'indice dei prezzi al consumo. Questo indicatore misura come variano nel tempo i prezzi di un paniere di beni e servizi che le famiglie acquistano abitualmente: alimentari, energia, affitti, trasporti, spese sanitarie, tecnologia, tempo libero e via discorrendo. Ognuno di questi beni o servizi ha un peso differente, a seconda di quanto incide mediamente sulle spese familiari.
Questo indice, a sua volta, definisce l'inflazione. Ogni anno si osserva di quanto aumenta o diminuisce il costo totale del paniere e, di conseguenza, si definisce il valore dell'inflazione. In sintesi, ci dice di quanto è salita o scesa in media la spesa necessaria per vivere rispetto all'anno di riferimento.
Facciamo un esempio pratico. Se il CPI nel 1995 era 69 e oggi è 122, significa che quello stesso paniere di beni e servizi oggi costa circa l'85% in più. Quindi, se nel 1995 spendevamo 1.000€ al mese, oggi, per mantenere lo stesso tenore di vita, dovremmo guadagnare l'85% in più.
Questo esempio non è campato in aria. Riprendendo i dati Istat, vediamo che la differenza tra il 1995 e il 2025 equivale proprio a un +85% del costo della vita. Ma come siamo arrivati a questo raddoppio?
- 1995 - 2008: Abbiamo vissuto un'inflazione stabile e moderata, con una media annua dei rincari che si assestava intorno al 2,5%. Sebbene nel 2002, con l'entrata nell'euro, si sia percepito un netto rialzo dei prezzi, statisticamente il rincaro è stato moderato.
- 2009 - 2019: Questa è stata una fase di rallentamento graduale, fino a un appiattimento. I prezzi sono rimasti pressoché inalterati, con rincari anno su anno anche inferiori allo 0,5%.
- 2020 - 2023: Gli anni 2020-2021 sono stati ancora "piatti", ma stava per accadere qualcosa di drastico: pandemia, guerra e crisi energetica. Tra il 2021 e il 2023 abbiamo subito picchi di rincari di quasi l'8%, uno dei periodi più violenti degli ultimi 30 anni.
- 2024 - 2025: Ora viviamo un periodo di stabilizzazione, con incrementi più normali, intorno al 2% annuo.
Per i più attenti, specifico che questi sono i dati dell'inflazione totale, che include energia e beni di prima necessità. Se escludiamo questi ultimi (la cosiddetta "inflazione core"), notiamo che solo nel periodo pandemico e bellico la differenza con l'inflazione totale è stata di circa il 2%. In tutti gli altri periodi, i numeri sono rimasti molto simili. Questo ci dice che il rincaro costante è la normalità, e paghiamo solo un 2-3% in più a causa diretta di pandemia e guerre.
Come sono cambiati gli stipendi?
Andiamo veloci su questa parte, poiché un'analisi super accurata richiederebbe calcoli complessi che tengano conto del tipo di lavoro, della dimensione della famiglia e della regione di residenza. Generalmente, ad esempio, nel Sud Italia i redditi sono inferiori, ma lo sono anche i costi di una parte dei beni nel paniere del CPI. Possiamo dire che i redditi pro capite in Italia sono cambiati in questo modo (valori aggiustati all'euro):
- 1995: 13.000€
- 2000: 15.500€
- 2005: 17.500€
- 2010: 19.000€
- 2015: 20.005€
- 2020: 22.000€
- Oggi: circa 25.500€
Questi numeri si traducono in stipendi netti mensili che vanno, in media, dai 1.400€ ai 1.780€ al mese.
Attenzione: sto parlando di stipendi netti calcolati su 12 mensilità. Se il vostro netto in busta paga è inferiore, ricordatevi di aggiungere la tredicesima o la quattordicesima. È normale che, con più mensilità, il percepito sulla singola busta sia più basso.
Analizzando il trend, tra il 1995 e il 2007 il reddito pro capite è cresciuto in maniera abbastanza lineare, da 13.000€ a 18.000€. I salari salivano lentamente, ma salivano. Quando si parla di "salivano", non ci si riferisce alla benevolenza dei datori di lavoro, ma agli adeguamenti previsti dai contratti nazionali, escludendo bonus o altre agevolazioni. Tra il 2008 e il 2014, la crescita non è stata lineare. Dal 2015 è ripresa in modo costante ma lento, per poi bloccarsi di nuovo con il Covid nel 2020 e tornare alla normalità nel post-crisi.
Quindi, negli ultimi 30 anni, i nostri stipendi sono cresciuti e sono quasi raddoppiati. Perché, allora, ci lamentiamo?
Il reddito reale: il nocciolo della questione
Per ottenere il reddito reale, cioè quanti soldi abbiamo veramente a disposizione, dobbiamo "deflazionare" il reddito nominale, correggendolo con l'indice dei prezzi al consumo (CPI). In altre parole, se nel 2005 guadagnavamo 10.000€ e tutti i beni costavano la metà di oggi, era come se guadagnassimo il doppio, perché, pagate le spese fisse, ci rimaneva metà dello stipendio in tasca.
Mettendo in relazione i numeri, scopriamo che il reddito pro capite del 1995, pari a 13.000€, corrispondeva a un potere d'acquisto di quasi 20.000€ reali di oggi. In 30 anni, nonostante il raddoppio nominale degli stipendi, il valore del reddito reale è aumentato di appena un migliaio di euro.
A partire dal 2010, siamo entrati in una fase di appiattimento: nonostante la salita degli stipendi, i costi dei beni sono aumentati ancora di più, annullando la crescita e schiacciando il potere d'acquisto. Questo spiega perché percepiamo una continua stagnazione economica, una sensazione costante che i soldi non bastino mai.
Di chi è la colpa?
Quali sono state le fonti di crescita della nostra povertà? Negli ultimi 30 anni i principali elementi di erosione del reddito sono stati gli immobili (con case e affitti aumentati enormemente dal 2000 ad oggi, dal doppio al triplo), l’energia (con le impennate di gas ed elettricità), gli alimentari (soprattutto negli ultimi 3 anni), la sanità e le assicurazioni (con rincari spesso superiori all’inflazione) e i costi legati all’infanzia (istruzione e servizi aumentati costantemente). Molte di queste spese sono incomprimibili: non possiamo fare a meno di pagare per la sanità, l'energia, la casa o i servizi per un bambino. Sono spese obbligate che impattano pesantemente sull’economia familiare.
Per quanto riguarda la tecnologia, non ha avuto un rincaro reale. Certo, il primo iPhone costava un terzo rispetto a oggi, ma nessuno è obbligato a comprarlo. Il costo di TV, elettrodomestici e dispositivi non incide sul benessere familiare se si acquistano modelli economici. Può incidere molto, invece, se si decide di spendere uno stipendio per uno smartphone o una TV costosa.
Cosa accadrà in futuro e come prepararsi?
Si possono ipotizzare tre scenari. Il primo, quello ottimistico, prevede un leggero incremento del reddito superiore all’inflazione, che ci permetterà di risparmiare fino al 25% sulle spese mensili. Il secondo scenario, più probabile, è quello della stagnazione, dove tutti gli incrementi salariali vengono mangiati dall’inflazione.
Infine c'è lo scenario pessimistico: se si dovessero ripetere eventi come la pandemia e la guerra, il potere d’acquisto potrebbe calare ulteriormente. A questo si aggiunge la possibilità che l’IA possa arricchire solo una parte della popolazione, aumentando le disuguaglianze e rallentando il Paese.
Non aspettatevi che lo Stato o le aziende risolvano i problemi. Il cambiamento deve venire da voi. Il consiglio è quello di investire in modo sicuro, aumentare il proprio capitale umano aggiornando le competenze, evitare debiti eccessivi, investire in efficientamento energetico, fare assicurazioni, costruire un fondo di emergenza di 3-6 mesi e tagliare il superfluo. In pratica, bisogna costruire una propria strategia anti-ansia.
Non possiamo controllare il mercato, la politica o l'inflazione, ma possiamo controllare il nostro tasso di risparmio, la crescita professionale, la diversificazione finanziaria, la gestione dei debiti e la riduzione degli sprechi.