Colpo d'occhio

Siamo saliti a bordo del sottomarino Enrico Toti e con la guida del Capitano di Vascello Antonio Bellini della Marina Militare abbiamo ricostruito la vita di bordo. Un viaggio appassionante ricco di curiosità.

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a cura di Elena Re Garbagnati

Colpo d'occhio

A vederlo da fuori il Toti non sembra un pezzo di storia, merito del restauro che è stato fatto prima di farlo approdare al Museo della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci, degli interventi di bonifica (le batterie al piombo sono state smaltite) e di adattamento per le visite guidate, però la maggior parte del battello non è stata toccata. Fuori si vedono un'elica, due timoni, una vela (quella che volgarmente qualcuno chiama torretta), quattro portelli dei lanciasiluri a prua. Adesso ci sono anche due "porte" ritagliate ad hoc per far salire (a poppa) e scendere (a prua) i visitatori.

Enrico Toti arriva a Milano
Enrico Toti arriva a Milano

A vederlo fuori dall'acqua il Toti sembra grande, ma so bene che è un'illusione ottica dovuta alla mancanza di un termine di paragone. Basta un'occhiata veloce al compendio tecnico per sapere che è molto piccolo (46 metri di lunghezza per 4,75 metri di larghezza, con un dislocamento di 593 tonnellate in immersione). Sapevo che gli U-Boot della Seconda Guerra Mondiale arrivavano a 1800 tonnellate in immersione e una settantina di metri a seconda dei modelli, e che i sottomarini nucleari russi di classe Typhoon (i fratelli minori dell'Ottobre Rosso, il settimo Typhoon nella finzione cinematografica, che non è mai stato costruito nella realtà) arrivano a 33.800 tonnellate di dislocamento in immersione, una lunghezza di 173 metri e una larghezza di 25 metri.

Insomma il Toti non ha nulla a che vedere con i sottomarini nucleari. "Avevano un'altra filosofia" mi spiega paziente Bellini. "Il nucleare è fatto per gli Oceani, per l'Atlantico dove c'è bisogno di dislocarsi in tempi brevi, e di usare armi completamente differenti, con scopi completamente differenti. Il sommergibile per gli americani o per i russi era uno strumento politico-strategico. Gli americani sapevano che se il politico russo schiacciava un bottone poteva partire qualcosa. Era un deterrente, ma anche un pericolo concreto perché il battello poteva effettivamente fare qualsiasi danno a distanza notevole dal proprio paese, muovendosi in tempi brevi. Il Mediterraneo ha esigenze diverse".

"Il Toti fu il primo battello ricostruito dopo la seconda guerra mondiale, e per gli output che dava dal punto di vista operativo – piccolino, silenzioso – era l'ideale". Il Toti era un battello spia, fatto per individuare altri sottomarini muovendosi silenziosamente e rapidamente. Non a caso la sigla NATO del Toti è SSK, che sta per Submarine Submarine Killer. "La sua missione era sorvegliare il passaggio di altri sottomarini nelle acque di interesse nazionale in un periodo delicatissimo passato alla storia come Guerra Fredda".

Enrico Toti Matricola

In più il piccoletto Toti aveva dei bei vantaggi. I battelli di classe Typhoon "avevano un dislocamento enorme, è vero che godevano di un'elevata velocità però è anche vero che sott'acqua a velocità sostenute si sentivano lontanissimi. Il fattore occulto che caratterizza il sottomarino (non si vede e non si sente) svaniva. Quando faceva gli spunti di velocità diveniva ben udibile, quindi perdeva il fattore sorpresa. I Toti non si sentivano, erano silenziosissimi".

Un guizzo di fantasia mi fa immaginare una battaglia fra il Toti e un Typhoon, con il secondo che salta fuori dall'acqua come il classe Los Angeles. Bellini sornione ci pensa, entra nel film immaginario e riflette a voce alta… "in una guerra fra un battello come si suol dire convenzionale com'era il Toti e uno nucleare …mmm… le potrei dire che …mmm… questo nucleare forse forse c'andava a rimettere". Hehe.

Strategia a parte, l'altro vantaggio di un battello così piccolo era l'equipaggio poco numeroso, che permetteva di instaurare un clima familiare fra tutti i membri. "Io sono stato anche sulle navi. È più difficile mantenere un rapporto confidenziale con i propri uomini quando si comincia a parlare di 200-220 persone. Sul Toti ci si conosceva tutti per nome e cognome. Tutte le difficoltà che si potevano incontrare per il fatto che il mezzo era piccolo alla fine passavano in secondo piano" mi dice Bellini.