Indy Autonomous Challenge: le monoposto da 290 km/h con guida autonoma

La guida autonoma ha diversi campi di applicazione, dal più famoso stradale fino a quello nell'ambito del motorsport come ci insegna la Indy Autonomous Challenge.

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a cura di Luca Rocchi

Managing Editor

Aggiornamento: in calce all'articolo è stata aggiunta un'intervista realizzata con Paul Mitchell, Chairman e President della Indy Autonomous Challenge.

Indy Autonomous Challenge è il campionato di monoposto Indy con guida completamente autonoma; nate ufficialmente nell’ottobre del 2021 all’Indianapolis Motor Speedway, le gare di IAC hanno riscosso sempre più successo fino ad arrivare a debuttare anche al prossimo appuntamento di Milano Monza Motor Show 2023 che si terrà a giugno.

IAC punta a stimolare lo sviluppo di veicoli con guida autonoma e ogni team, universitario, ha la possibilità di testare le nuove tecnologie in ambienti di simulazione e cloud computing, così da dimostrare la maturità dei propri algoritmi. Le monoposto devono essere in grado di sfrecciare fino a 290 km/h, avere accelerazioni e decelerazioni elevate, essere affidabili e soprattutto comprendere l’ambiente circostante per effettuare sorpassi sicuri e precisi.

Come funziona la gara

Le gare di Indy Autonomous Challenge sono diverse da quelle di qualsiasi altro campionato e, per certi versi, anche meno entusiasmanti da vedere in TV (almeno per il momento). Le monoposto non scendono in pista tutte insieme, ma a coppie, e si sfidano in una serie di sorpassi con difficoltà crescente. L’auto lepre, leader, deve seguire un determinato passo (a velocità fissa) mentre chi la segue ha diritto ad una sopra di “turbo” per completare il sorpasso. A disposizione dei team due giri per compiere la manovra, in caso contrario la vittoria va a chi non si è fatto superare.

Qualora il sorpasso vada in porto, si prosegue incrementando la difficoltà e la velocità fino a quando uno dei due team compie un errore. Per dare una misura, i sorpassi possono avvenire anche a velocità estremamente sostenute come 290 km/h.

Con una configurazione delle gare di questo tipo non è difficile immaginare quanto possano lunghi e dilatati i tempi tra le varie sessioni e, di conseguenza, rendere questo sport motoristico ancora poco avvincente per il grande pubblico. Sono sempre gare di monoposto, ma il focus qui è ricercare la prima postazione in termini assoluti.

Come sono le monoposto

A differenza di quanto si potrebbe pensare, le monoposto di Indy Autonomous Challenge non sono elettriche come quelle che gareggiano nella Formula E ma utilizzano un propulsore endotermico. Esteticamente assomigliano quasi al 100% ad una monoposto da Formula, con l’unica eccezione che l’abitacolo è occupato interamente dal cervellone elettronico.

Sviluppate dalla Clemson University, le monoposto utilizzano un telaio in carbonio firmato Dallara potenziato con numerosi sensori, processori e controller per consentire una completa guida autonoma. Concettualmente simili alle Dallara AV-21, le Dallara dell’IAC (IL-15 IAC racecar) sono a trazione posteriore con un propulsore quattro cilindri turbo da 2 litri e 450 cavalli (+50 cavalli extra per il “DRS”) e un peso di poco inferiore ai 650 kg (pilota e serbatoio inclusi).

Le auto che partecipano al campionato IAC sono tutte identiche e i team, al di là della normale manutenzione, non possono modificare in alcun modo la parte motoristica. Ogni team ha la sola possibilità di lavorare sul software, al fine di sviluppare la formula migliore e vincente.

Per percepire l’ambiente circostante, la monoposto è dotata di sei monocamere, quattro radar, tre LiDAR e un GPS RTK. L’unita di elaborazione deputata a gestire la mole di dati è un computer dotato di processore Intel Xeon E 2278 GE (8 core, 16 thread, 3.30 GHz fino a 4.70 GHz e 80W TDP), abbinato ad una NVIDIA Quadro RTX 8000 e 64 GB di RAM DDR4.

I team

Chi partecipa alla Indy Autonomous Challenge? Squadre delle più prestigiose Università mondiali; dalla Germania agli Stati Uniti, dalla Polonia fino alla Corea del Sud passando naturalmente per l’Italia. Il nostro Bel Paese partecipa con l’Università di Modena e Reggio Emilia, Università di Pavia e Politecnico di Milano; ed è proprio quest’ultimo Ateneo, con il nome di Polimovimento, che ha ottenuto i migliori punteggi e traguardi in senso assoluto.

Cosa si vince

In palio, per il team che si ottiene la prima posizione un premio da 1,5 milioni di Dollari.

Dove si corre

Come accennato, il circuito principe della IAC è la pista di Indianapolis: un anello di 4 chilometri con quattro enormi paraboliche. Successivamente, in occasione del CES 2022, l’organizzazione ha realizzato un secondo tracciato a Las Vegas da 2,48 chilometri seguendo la forma di un “ellisse schiacciato”. Lo scorso gennaio, con il CES 2023, si è disputata una nuova gara sempre a Las Vegas e Polimovimento ha ottenuto la prima posizione superando tutti gli altri 9 team provenienti da 17 Università di rappresentanza sparse per tutto il mondo. La monoposto ha ottenuto una velocità di 289,68 km/h.

Ora, in occasione del MiMo 2023, ci sarà un nuovo appuntamento direttamente alle porte di Milano. Un nuovo accordo, della durata di due anni, prevede la possibilità al Campionato AIC di gareggiare all’interno dell’Autodromo di Monza; si tratta di una novità molto interessante, in quanto verrà realizzato un circuito ad hoc privo, tuttavia, di una forma da “ovale”.

Invervista Paul Mitchell

Abbiamo avuto la possibilità di intervistare il President e Chariman di Indy Autonomous Challenge, Paul Mitchell, e di seguito trovate le domande che gli abbiamo posto.

MotorLabs: Sappiamo che le auto della Indy Autonomous Challenge sono spinte da un propulsore a benzina e il motivo è piuttosto chiaro: possiamo attendere in futuro l’arrivo di un sistema elettrico simile a quello impiegato sulla Formula E?

Paul Mitchell: Nelle prime fasi dello sviluppo del campionato abbiamo cercato di immaginare quale sarebbe stato il veicolo migliore per questo genere di competizione e la scelta è ricaduta sui modelli da Indy, ovvero quelle soluzioni a ruote scoperte vicine come filosofia alla classe della Formula 2. Le motivazioni sono diverse e legate alla progettazione stessa delle vetture e delle difficoltà che sono state affrontate. L’intenzione era quella di avere una vettura semplice, facilmente riparabile, equipaggiata di un propulsore tradizionale e meccanico; tutti obiettivi che sono stati centrati utilizzando il quattro cilindri che tutt’ora utilizziamo.

Un altro limite è stato il peso: un propulsore elettrico con la relativa batteria sarebbe stato troppo pesante e avrebbe richiesto un lavoro extra da parte dei team per ottimizzare ulteriormente la vettura. Le auto che partecipano alla AIC hanno un peso tendenzialmente vicino a quello delle Indycar dotate di pilota: l’utilizzo delle batterie avrebbe incrementato notevolmente le masse.

Infine, la sicurezza: le auto subiscono spesso piccoli o gravi incidenti che possono anche danneggiare l’unità di calcolo, la presenza di una batteria che può potenzialmente innescare un incendio sarebbe un ulteriore problema a cui dovremmo pensare. Le auto della Indy Autonomous Challenge sono ricche di tecnologia che chiaramente ha un prezzo non indifferente.

Cambieremo il sistema propulsivo? Probabilmente no, soprattutto con questo form factor. Se dovessimo passare ad una categoria più vicina alle supercar o LMP, con maggiore spazio, allora forse è possibile.

MotorLabs: Hai citato che le auto hanno un costo importante: ma quanto costano davvero?

Paul Mitchell: Pensiamo che il valore sia oltre al milione di dollari: abbiamo tanti sponsor che si occupano di offrire alcuni componenti delle auto, dal telaio in carbonio ai componenti hardware. Il costo delle auto di per sé è vicino alle monoposto della Indycar, al quale va aggiunto 4-500mila euro per la sezione hardware.

Alcune persone potrebbero pensare che è un valore tremendamente elevato per un sistema di guida autonoma, ma la nostra tecnologia è all’avanguardia e superiore a qualsiasi cosa disponibile sul mercato. Ad esempio, sono presenti sei monocamere, quattro radar, tre LiDAR e molto altro.

MotorLabs: Sappiamo che il tracciato che utilizzerete per MiMo sarà completamente differente rispetto a quelli fino ad ora percorsi. Non ci sarà un ovale, ma più un tracciato ricco di curve, frenate e accelerazioni. Cosa possiamo attendere, quanto sarà lungo e quali saranno le difficoltà maggiori? Saranno raggiunte le medesime velocità (290 km/h)?

Paul Mitchell: Abbiamo iniziato con gli ovali perché negli Stati Uniti sono comuni e famosi, e l’intenzione è sempre stata quella di ottenere superamenti ad altissima velocità. Ora che abbiamo raggiunto l’obiettivo per due anni di fila, abbiamo bisogno di sviluppare qualcosa di innovativo e scoprire i limiti della tecnologia. I team, che sono da sempre a stretto contatto con il settore della guida autonoma, avranno la necessità di aggiustare gli algoritmi e lo faranno nella più completa sinergia. Quest’anno non assisterete ad una vera e propria Challenge, ma più ad un continuo sforzo globale per ottenere le configurazioni migliori per il tempo perfetto.

Oltre alla parte di programmazione, saranno necessarie delle modifiche telaistiche sul veicolo (come il differenziale a slittamento limitato, in arrivo su tutte le vetture) necessarie per affrontare tutte le curve previste. Sarà aggiornato anche il sistema drive-by-wire che al momento opera correttamente anche se ci piacerebbe avere una tecnologia più efficace per gestire la coppia e la potenza a disposizione.

I dati che raccoglieremo durante l’appuntamento di MiMo 2023 saranno così tanti che ci permetteranno di avere uno studio più che approfondito durante tutto il prossimo anno e arrivare più pronti per la tappa del 2024.

MotorLabs: I team che prendono parte all’Indy Autonomous Challenge provengono dalle Università e riconosciamo che si tratti di un ambiente estremamente stimolante e ricco di opportunità. In quest’ottica, non è difficile immaginare che possano nascere nuove start-up. Pensate che i produttori di auto possano facilmente acquisire queste piccole aziende in piena espansione o sono due settori che viaggiano su binari ben distinti?

Paul Mitchell: Se facciamo un salto nel passato e osserviamo l’impatto che hanno avuto le gare di guida autonoma (nel 2003 e 2004) con l’industria delle auto, non è difficile osservare sia uno spiccato interesse da parte delle case sia qualche acquisizione di start-up da parte di grandi player (come GM, con Cruise). I nostri team lavorano a stretto contatto con le società di guida autonoma e anche qualche costruttore; in termini di acquisizione pura, però, le case automobilistiche sono più interessate ai talenti puri ovvero alle singole persone.

I nostri rapporti con le industrie sono duraturi, anche se le collaborazioni più solide le abbiamo probabilmente con chi produce componenti hardware (tipo sensori o LiDAR) da provare sulle singole vetture. Le nostre piattaforme di guida autonoma, come accennato, sono estremamente avanzate e superiori a quelle che si possono trovare in numerosi prototipi (spesso abilmente camuffati per farli apparire più reali di quello che siano realmente) anche se la tecnologia di bordo è ancora molto distante da quello che un domani potrebbero trovare su strada.