La transizione verso l'elettrico nel settore automobilistico non è più una questione di "se", ma di "quando" e soprattutto di "come". Mentre l'Italia si confronta con ritardi evidenti rispetto al resto d'Europa, emergono chiaramente le sfide industriali e geopolitiche che caratterizzeranno i prossimi anni. Il dibattito non riguarda più la destinazione finale del viaggio, ma la capacità di governare un cambiamento che richiede una vera rivoluzione dell'intero ecosistema produttivo nazionale.
I numeri raccontano una storia di divari significativi: le auto elettriche rappresentano appena il 5,1% del mercato italiano, mentre altri Paesi europei hanno già raggiunto quote del 18-20%. Una disparità che, secondo il ministro dell'Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, non ha radici culturali ma economiche. "L'Italia ha fatto la sua parte, con incentivi compatibili con il bilancio dello Stato", ha spiegato durante la conferenza "Innovazione automotive: un pilastro della competitività europea", dove è stato presentato il Libro Bianco di Motus-E sull'elettrificazione del Paese.
La metafora utilizzata dal ministro per descrivere il futuro dell'automotive è emblematica: "L'elettrico è la direzione naturale, perché è più semplice, con meno parti meccaniche, più facile da costruire e più efficiente. È come i frigoriferi: ha pochi pezzi e dura a lungo". Una visione che non ammette incertezze sul destino tecnologico del settore, pur riconoscendo la complessità del percorso di transizione.
Dietro la corsa all'elettrificazione si nasconde una partita geopolitica cruciale per l'Europa. La dipendenza dalla Cina rappresenta il vero tallone d'Achille della transizione: il gigante asiatico controlla oltre il 50% delle materie prime critiche e lavora l'80% del litio mondiale. "Noi dobbiamo trovare un modo per rientrare nel gioco", ha sottolineato Pichetto Fratin, evidenziando la necessità di sviluppare una filiera nazionale delle batterie.
Il settore automotive italiano si trova di fronte a un paradosso: pur essendo la seconda manifattura d'Europa con 250.000 occupati diretti e oltre un milione considerando l'intera filiera, il Paese fatica a tenere il passo nella transizione elettrica. "Non possiamo comprare tutto da fuori, dobbiamo attrezzarci per rafforzare la nostra filiera industriale", ha ammonito il ministro, delineando una strategia che va ben oltre i semplici incentivi all'acquisto.
La questione infrastrutturale rivela ulteriori complessità del processo di transizione. Pichetto Fratin ha dovuto dirottare quasi 600 milioni di euro destinati alle colonnine per finanziare i bonus auto, "perché le colonnine non venivano usate. Il cavallo non beveva, come si dice". Un episodio che illustra perfettamente le contraddizioni di una transizione ancora alla ricerca del giusto equilibrio tra domanda e offerta.
Nonostante le difficoltà, l'Italia ha oggi 60.000-65.000 colonnine di ricarica su tutto il territorio nazionale, con l'obiettivo di continuare l'espansione utilizzando anche strumenti futuri come il Fondo Sociale per il Clima. La strategia governativa riconosce che "non possiamo pensare che tutto si trasformi dall'oggi al domani", ma al tempo stesso non lascia spazio a dubbi sulla direzione intrapresa.
Il ripensamento industriale richiesto dalla transizione elettrica non può limitarsi a spingere semplicemente sull'adozione di nuove tecnologie. Come ha precisato il ministro, serve "un vero ripensamento industriale, che coinvolga tutti i livelli della produzione". La sfida riguarda batterie, tecnologia, accordi con i costruttori, scelte europee e normative: un ecosistema complesso che richiede coordinamento e visione strategica a lungo termine.
Accanto all'elettrico, il futuro dell'automotive vedrà anche la presenza di ibridi, carburanti alternativi, cattura della CO2 e modelli con impatto neutro o compensato. Un approccio pragmatico che riconosce la necessità di soluzioni diversificate per accompagnare la transizione, senza perdere di vista l'obiettivo finale. Il settore automotive italiano si prepara così ad affrontare una delle trasformazioni più radicali della sua storia, con la consapevolezza che il successo dipenderà dalla capacità di governare il cambiamento piuttosto che subirlo.