Da agosto 2025, il settore tecnologico vive una fase di forte incertezza dovuta all'accumulo di capitali speculativi nell'intelligenza artificiale generativa. Mentre gli investimenti circolari alimentano valutazioni record, gli analisti paventano un improvviso crollo dei mercati. Se la pressione dovesse cedere, i rischi per l'economia globale e le infrastrutture digitali diventerebbero immediatamente critici. In poche parole, da quasi sei mesi nel mondo tech aleggia lo spauracchio della bolla finanziaria.
Una “correzione di mercato” non si limiterebbe a sgonfiare i titoli tecnologici, ma colpirebbe le fondamenta del risparmio gestito e della stabilità energetica. Il passaggio dalla speculazione alla realtà operativa rappresenta il momento della verità per una tecnologia che richiede capitali immensi per esistere. Insomma, se la bolla dovesse scoppiare, l’impatto sarebbe tremendo.
Il fenomeno degli investimenti circolari è una parte centrale di questa tensione strutturale, e c’è chi sta già scommettendo contro Nvidia, puntando sul fatto che entro un paio d’anni l’azienda di Jensen Huang perderà gran parte del suo valore, rendendo ricco chi ha venduto allo scoperto.
I meccanismi circolari non sono un male di per sé, ma alimentano un fenomeno a cui fare attenzione: le grandi aziende del silicio finanziano le startup emergenti che, a loro volta, utilizzano quel denaro per acquistare servizi cloud e chip dai loro stessi investitori. Questo meccanismo genera una crescita fittizia dei ricavi, rendendo difficile distinguere tra valore reale e puro artificio contabile in attesa di un'adozione di massa.
Nonostante l'impossibilità di dichiarare una bolla finché non si verifica la rottura, i segnali di allarme sono oggi troppo numerosi per essere ignorati.
La dipendenza estrema da promesse di produttività futura ha creato una vulnerabilità sistemica che ricorda le fragilità finanziarie dell'inizio del millennio. Se l'intelligenza artificiale non dimostrerà di poter generare utili tangibili, il ritorno alla terraferma sarà estremamente doloroso per l'intera filiera produttiva.
L'architettura del denaro virtuale e della circolarità
Il clima di incertezza che avvolge il comparto tecnologico è alimentato dalla natura spesso opaca dei flussi finanziari tra i giganti del settore. Molte operazioni di finanziamento recenti sembrano rispondere più a una necessità di mantenere elevate le quotazioni azionarie che a una reale strategia di espansione commerciale. In questo contesto, molti analisti cercano ossessivamente gli indizi di una bolla osservando la proliferazione di programmi di supporto alle startup che servono solo ad alimentare i consumi cloud interni. Ma anche tra grandi nomi ci sono passaggi di denaro e servizi totalmente virtuali, come tra Nvidia e OpenAI, e la loro operazione da 100 miliardi.
Le critiche più feroci provengono dai vertici del mondo bancario e dagli stessi pionieri della tecnologia. Un rapporto di Goldman Sachs ha evidenziato come i costi astronomici dell'infrastruttura fisica non siano ancora giustificati da ricavi software proporzionati. Anche Sam Altman ha espresso cautela, suggerendo che l'entusiasmo eccessivo potrebbe portare a una sottovalutazione delle sfide tecniche e dei tempi necessari per rendere questi modelli realmente redditizi per il mercato delle piccole e medie imprese.
La struttura di questi investimenti esagerati poggia sulla convinzione che la potenza di calcolo sia un bene il cui valore non possa che crescere. Tuttavia, la storia ci insegna che l'hardware è soggetto a una rapidissima obsolescenza e che il valore di un asset si azzera se non genera profitto. Inoltre c’è un numero di variabili che potrebbero cambiare lo scenario
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Le aziende non trovano modo di generare un ROI positivo a breve termine, disinvestono
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Si affermano prodotti AI più piccoli e meno affamati di risorse
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Il focus si sposta dal traning all’inference, aprendo la strada a nuove società e mettendo in crisi gli attuali colossi.
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Si afferma hardware diverso da quello Nvidia, abbassando il valore di quest’ultimo e impattando su tutta la catena.
Parecchie variabili, ognuna delle quali può innescare conseguenze imprevedibili. Quindi mancanza di stabilità, ed è comprensibile vedere come molti osservatori temono una correzione violenta dei mercati qualora i bilanci di fine anno non dovessero mostrare margini operativi solidi e indipendenti dai giri di capitale interni tra le consociate.
Intanto, le aziende stanno contraendo debiti significativi per accaparrarsi le GPU, spesso garantiti dagli stessi beni acquistati. Questo meccanismo di leva finanziaria espone le società a rischi enormi in caso di svalutazione improvvisa del calcolo. Se la domanda di addestramento per i modelli dovesse calare, il mercato si ritroverebbe inondato di silicio usato, facendo crollare i prezzi e mettendo in crisi la solvibilità di molti fornitori di servizi infrastrutturali a livello globale.
La pressione energetica è un altro fattore che rende questi investimenti precari nel medio periodo. La costruzione frenetica di centri di elaborazione dati sta entrando in rotta di collisione con le necessità delle comunità locali, sollevando dubbi sulla fattibilità ambientale del gigantismo computazionale. Spesso si sottovaluta l'impatto critico relativo allo sfruttamento delle risorse idriche, un elemento che potrebbe portare a blocchi normativi capaci di fermare l'espansione dei giganti tecnologici.
Cosa succede se scoppia la bolla, i colossi tech
In uno scenario di crisi, le conseguenze non colpirebbero tutte le aziende allo stesso modo, evidenziando le differenze tra i modelli di business. Microsoft e Google possiedono un vantaggio strutturale dato dalla loro diversificazione operativa: esse possono assorbire il colpo grazie ai proventi consolidati del cloud, della pubblicità, dei sistemi operativi e dei servizi per ufficio. Per queste realtà, l'intelligenza artificiale è un investimento massiccio ma non è l'unica fonte di sostentamento finanziario.
Diverso è il discorso per OpenAI, che si configura come un operatore pure play focalizzato esclusivamente sullo sviluppo di modelli generativi. Senza un portafoglio di prodotti alternativi, la sua sopravvivenza è legata a doppio filo alla capacità di raccogliere costantemente capitali dal mercato. Ancora oggi OpenAI non genera utili e dipende dagli investimenti; e quegli investimenti non si possono chiamare “debiti” per pura formalità. Una contrazione degli investimenti renderebbe la sua posizione estremamente precaria, costringendola a una svendita degli asset o a una ristrutturazione che ne comprometterebbe la leadership tecnologica acquisita finora.
Nvidia rappresenta un caso particolare, essendo oggi la principale beneficiaria della corsa all'oro digitale. Se la domanda di processori dovesse subire una frenata, la sua capitalizzazione di mercato subirebbe una correzione drastica. L'azienda si ritroverebbe con una catena di fornitura sovradimensionata e un inventario di hardware carissimo. Il passaggio dalla fase di accumulo a quella di utilizzo reale del calcolo è il momento in cui i margini della Nvidia tornerebbero a livelli storicamente normali.
Apple e Meta, pur avendo approcci diversi, hanno cercato di proteggersi integrando l'intelligenza artificiale all'interno di ecosistemi già popolati da miliardi di utenti. La prima punta sulla privacy e sull'esecuzione locale dei modelli, mentre la seconda cerca di democratizzare la tecnologia tramite standard aperti. Tuttavia, l'esposizione verso il settore tecnologico rimane la variabile critica: se crolla il settore, la sfiducia degli investitori colpirà indiscriminatamente anche chi ha basi industriali più solide.
La stabilità dei giganti tech dipenderà anche dalla capacità di gestire la densità energetica dei nuovi centri di calcolo. L'aumento vertiginoso relativo alla densità dei rack nei data center richiede investimenti in raffreddamento che potrebbero non essere più sostenibili in un regime di tassi di interesse elevati. Chi non saprà convertire le proprie "cattedrali di silicio" in strutture più efficienti e meno costose sarà il primo a soccombere durante la fase di correzione del mercato.
Gli altri aspetti finanziari
Il rischio sistemico più grave risiede nell'eccessiva concentrazione delle sette sorelle e dei titoli tech all'interno dello Standard & Poor 500. Attualmente, queste poche aziende pesano per un terzo (abbondante) dell'intero valore dell'indice, rendendo il benessere finanziario globale dipendente da una singola industria. Un crollo coordinato di questi titoli innescherebbe una reazione a catena capace di travolgere i mercati azionari mondiali, con conseguenze dirette per chiunque possieda quote di fondi indicizzati o strumenti di investimento passivo.
Negli Stati Uniti, questa dipendenza ha ripercussioni sociali immediate attraverso i fondi pensione e i piani 401(k) che costituiscono la base del welfare della classe media. Esiste il timore fondato che ci siano pesanti rischi per i risparmiatori qualora la bolla dovesse scoppiare bruscamente. Una riduzione della ricchezza pensionistica porterebbe a una contrazione dei consumi interni, spingendo l'economia reale verso una recessione che colpirebbe settori apparentemente distanti dal mondo del software.
In Europa, l'impatto finanziario sarebbe mediato ma non meno doloroso a causa della frammentazione del mercato. Sebbene le borse europee siano meno sbilanciate sul comparto tecnologico, il vecchio continente soffre di una dipendenza tecnologica cronica. Le imprese europee utilizzano infrastrutture statunitensi per la propria digitalizzazione; un fallimento sistemico di questi fornitori bloccherebbe i processi produttivi e la modernizzazione delle piccole e medie imprese, causando una perdita di competitività duratura rispetto ai mercati emergenti.
La differenza nella reazione delle autorità monetarie tra le due sponde dell'Atlantico potrebbe accentuare il divario economico. Mentre gli Stati Uniti potrebbero tentare di sostenere il settore tramite incentivi o salvataggi mirati, l'Europa si troverebbe a gestire le macerie di una tecnologia importata. È parte del paradosso europeo: il mercato più grande del mondo, un’economia di dimensioni pantagrueliche, ma con una fragilità che sembra insuperabile: la mancanza di giganti tecnologici locali capaci di fare da ammortizzatore, rendendo il continente vulnerabile alle decisioni prese nei consigli di amministrazione della California.
Difficile dire con certezza chi starebbe peggio, tra USA e UE, se la bolla dovesse scoppiare. Ma possiamo essere certi che su entrambe le sponde dell’Atlantico si faranno i salti mortali per evitare che succeda.
I costi di questo ipotetico scoppio, poi, finirebbero per pesare inevitabilmente sui bilanci dei singoli stati - a cominciare da quelli che hanno erogato incentivi più o meno generosi per l’aggiornamento tecnologico. Ma tutti dovrebbero far fronte a una crisi occupazionale più o meno grave. E i mancati profitti metterebbero a rischio lo sviluppo di nuove infrastrutture, quanto mai necessarie. Insomma sarebbe il caos.
Navigare l'incertezza tra hardware e finanza
Finché la bolla non scoppia, rimane teoricamente possibile che l'adozione di massa salvi la situazione. Tuttavia, una gestione prudente del rischio suggerisce di non rincorrere l'ultima novità senza un piano di ammortamento realistico. Per un'impresa, investire oggi in data center proprietari o in chip carissimi è un azzardo che richiede una copertura finanziaria solida. Spesso è preferibile adottare strategie basate su modelli piccoli, più economici e capaci di girare su hardware meno esasperato.
Ma proprio perché la prudenza è la strategia più raccomandabile, la bolla potrebbe scoppiare.
Valutare se e quanto investire in fondi tecnologici richiede una comprensione profonda delle dinamiche di mercato. Lo Standard & Poor 500 rimane uno strumento di riferimento, ma la sua attuale composizione lo rende più simile a un fondo settoriale che a un indice diversificato. È opportuno bilanciare l'esposizione verso il silicio con asset più tradizionali, proteggendo il capitale dalla volatilità estrema che caratterizza le fasi di transizione tecnologica. La prudenza non è un freno al progresso, ma una difesa contro l'irrazionalità.
Le aziende dovrebbero concentrarsi sulla risoluzione di problemi concreti piuttosto che sulla sperimentazione fine a se stessa. Cercare, per quanto possibile, di portare i progetti AI in produzione e arrivare a un ROI positivo velocemente.
Scegliere soluzioni tecnologiche aperte permette di mantenere la sovranità sui propri dati e di non rimanere ostaggio di fornitori che potrebbero non essere solvibili in futuro. La flessibilità operativa è la chiave per sopravvivere a qualsiasi tempesta finanziaria nel settore digitale.
La decisione di investire deve considerare anche la durata degli asset e la compliance in Europa, altrimenti si rischia di incorrere in altri costi. Bisogna fare attenzione alla sostenibilità finanziaria, e in questo - ci fa piacere dirlo - le PMI italiane hanno il classico “pelo sullo stomaco” che forse altrove nel mondo scarseggia.
La tecnologia deve essere valutata per la sua utilità marginale e per la sua capacità di integrarsi nei processi esistenti senza stravolgimenti costosi. Solo così l'innovazione può diventare un motore di crescita sana e duratura.
Oltre le logiche di Wall Street, emerge la necessità di un'etica dell'investimento che metta al centro la stabilità sociale. Se permettiamo che i risparmi di una vita vengano bruciati in scommesse su algoritmi non ancora pronti, tradiamo il senso profondo dell'economia. La trasparenza sui bilanci e sulla natura circolare dei capitali è l'unica difesa che abbiamo per evitare che la storia si ripeta. Il progresso tecnologico è un bene prezioso, ma non può essere costruito sulle macerie del benessere comune.
Dobbiamo chiederci se la vera intelligenza non consista nell'imparare a gestire le risorse con misura, evitando le iperboli che periodicamente travolgono il mercato. La fine del gigantismo computazionale potrebbe essere il punto di partenza per una nuova informatica, più discreta e realmente al servizio dell'uomo. Una tecnologia che non ha bisogno di bolle per esistere è l'unica che merita di essere definita rivoluzionaria. Forse, il vero successo dell'intelligenza artificiale sarà quello di diventare finalmente invisibile e necessaria.