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Spedire i dati nella nuvola

L’infrastruttura ICT è al centro dei processi per il business aziendale: ottimizzarne i costi e aumentarne il rendimento è fondamentale per le imprese che vogliano trovare risorse per la ripresa

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a cura di Gaetano Di Blasio

Pubblicato il 31/12/2012 alle 23:12 - Aggiornato il 15/03/2015 alle 01:44
  • Data Center Optimization
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Spedire i dati nella nuvola

La quantità di dati prodotta in azienda cresce in maniera esponenziale (si veda anche il riquadro). Acquistare capacità di storage per immagazzinare questi dati è inevitabile, ma è altresì possibile ottimizzarne lo sfruttamento e impostare una strategia precisa di gestione che riduce allo stretto indispensabile il fabbisogno. Da tempo si parla di Information Lifecycle Management. Ormai tali soluzioni sono mature e perfettamente integrate con soluzioni per la riduzione drastica dei volumi di dati e della quantità di storage necessario, quali la deduplicazione e il thin provisioning. Senza entrare nel dettaglio, osserviamo che la prima tecnologia consente di eliminare i dati ridondanti, riducendoli in “particelle elementari”, memorizzando solo queste ultime. Il thin provisioning, invece, permette di svincolare la richiesta di storage da parte delle applicazioni (che sovrastimano il loro fabbisogno) dall’allocazione fisica dei volumi sui dischi di memoria. In altre parole, grazie a queste e altre tecnologie (come la compressione) è possibile ridurre al minimo lo storage, con tutti i benefici che ne conseguono in termini di capex e opex. Non solo meno acquisti e più dilazionati nel tempo, ma anche un minor impatto sul data center a livello di consumi energetici e di calore dissipato.La soluzione che, però, si sta prospettando per molte aziende è quella di risolvere alla base la problematica storage, ricorrendo ai servizi di storage cloud. Service provider specializzati si possono prendere carico della gestione e memorizzazione di tutti i dati aziendali o di una loro parte, tipicamente i dati di backup. Già di per sé un sistema di disaster recovery richiede la remotizzazione dei dati e di tutte le risorse d’infrastruttura. Rivolgersi a un “cloud” provider significa spostare i dati presso realtà professionalmente meglio organizzate per questo lavoro. Una buona connessione risolverebbe i problemi di disponibilità e, almeno per i dati considerati meno sensibili, ci si potrebbe togliere un bel peso.

Sussiste, però, il problema della sicurezza. Aldilà delle regolamentazioni e di ciò che il Garante della Privacy sarà orientato a fare, occorre considerare con attenzione su quali dati si vuole mantenere un totale controllo e su quali basi è possibile fidarsi del provider scelto. In particolare, uno dei servizi cloud che maggiormente si stanno diffondendo riguarda la posta elettronica: ma quanti dati e informazioni delicate sull’azienda circolano via mail? Troppe considerando che questi messaggi sono poco sicuri.

A tutela di un’azienda non bastano le rassicurazioni sulla compliance da parte del provider: occorre siglare il contratto prevedendo le clausole necessarie a, per esempio, sollevare l’impresa da qualsiasi responsabilità nel momento in cui dati sensibili dei suoi clienti, memorizzati presso un provider, venissero trafugati. Purtroppo l’offerta è oggi caratterizzata da molti servizi “esteri” che impongono proprie condizioni e non permettono di “discutere” un contratto. I provider italiani, se non altro, possono essere “raggiunti” forse più facilmente.

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