
C’è una differenza sottile tra correre veloce e correre senza ostacoli. L’Intelligenza Artificiale, oggi, sembra fare entrambe le cose. Le aziende che la sviluppano chiedono più libertà per innovare, ma nel frattempo i governi faticano a capire come regolamentarla. E nel mezzo, il diritto d’autore — nato per bilanciare creazione e tutela — si ritrova a inseguire un mondo che non riconosce più.
Due notizie molto diverse tra loro raccontano lo stesso problema: le regole attuali bastano ancora per proteggerci? Due visioni. Una stessa domanda: chi stabilisce cosa è lecito, quando le leggi sono nate in un altro secolo?

Le motivazioni della sentenza: Anthropic ha usato i lavori dei tre autori per addestrare i modelli di intelligenza artificiale alla base di Claude, un chatbot che può conversare con un linguaggio naturale. Qui la news.
Anthropic, libri e AI: quando leggere non è reato
Un tribunale federale di San Francisco ha stabilito che Anthropic non ha violato la legge statunitense sul diritto d'autore utilizzando libri per addestrare la propria intelligenza artificiale in quanto i testi sono stati comprati legalmente. La società, fondata da Dario Amodei, aveva usato testi di tre autori — Andrea Bartz, Charles Graeber e Kirk Wallace Johnson — per sviluppare i modelli alla base del chatbot Claude.
Secondo il giudice, si tratta di fair use, cioè di un uso legittimo delle opere, che la legge americana consente in alcuni casi come l’educazione, la ricerca o lo sviluppo tecnologico. Il giudice ha motivato la decisione con un paragone diretto: “La denuncia degli autori non è diversa da quella che farebbero se si lamentassero che insegnare ai bambini a scrivere bene porterebbe a una proliferazione di opere concorrenti”.
Ma la vittoria di Anthropic è solo parziale. Un altro procedimento resterà aperto: quello che riguarda il download di oltre 7 milioni di libri piratati da una “libreria centralizzata”. In quel caso, ha precisato il tribunale, non si può invocare il fair use: non è giustificabile usare materiale ottenuto illegalmente, anche se destinato a uno scopo potenzialmente legittimo. Inoltre, la sentenza non si pronuncia sulla questione cruciale: se i contenuti generati da una Intelligenza Artificiale possano violare, a loro volta, il diritto d'autore. Nel frattempo, la causa contro Anthropic resta una delle tante che coinvolgono OpenAI, Microsoft, Meta e altre big tech, accusate da autori e testate di usare opere protette per addestrare i propri modelli senza autorizzazione.

Anthropic non ha violato il copyright: lo stabilisce un tribunale federale di San Francisco. Tuttavia, il caso non è chiuso: Anthropic dovrà affrontare un altro processo per l’uso di milioni di opere scaricate da fonti non autorizzate, che potrebbero non rientrare nella stessa tutela legale. Qui la news.
Danimarca: volto e voce diventano copyright
La Danimarca ha annunciato una proposta di legge che rappresenta un punto di svolta in Europa nella lotta ai deepfake generati con intelligenza artificiale. Il governo danese vuole modificare la normativa sul diritto d’autore per attribuire alle persone la proprietà legale del proprio volto e della propria voce.
La legge — prima nel suo genere in Europa — definisce i deepfake come rappresentazioni digitali che riproducono fedelmente aspetto e voce di una persona, spesso con intenti fraudolenti o manipolativi. Se approvata, consentirà agli individui di richiedere la rimozione dei contenuti creati senza consenso e ottenere un risarcimento in caso di danni.
Il Ministro della Cultura Jakob Engel-Schmidt è stato chiaro: “Con questa legge vogliamo inviare un messaggio chiaro: ogni persona ha il diritto sul proprio corpo, sulla propria voce e sui propri tratti somatici. Questo diritto non è adeguatamente protetto dalla normativa attuale”. E ha aggiunto: “Gli esseri umani non devono essere trasformati in copie digitali da sfruttare impropriamente per qualsiasi scopo”.
La proposta danese cerca di rispondere a un vuoto normativo evidente: quello di un’epoca in cui non solo le opere, ma le persone stesse possono essere imitate e riprodotte digitalmente senza alcun controllo.

La normativa, prima nel suo genere in Europa, permetterebbe agli individui di chiedere la rimozione di contenuti digitali non consensuali e ottenere un risarcimento per i danni subiti. Il ministro della Cultura danese ha sottolineato che ogni individuo ha il diritto esclusivo sul proprio corpo, sulla voce e sui tratti somatici, e che la legge intende rispondere alle nuove minacce della manipolazione digitale. Qui la news.
Un Diritto d’autore proattivo
Ma torniamo a noi. Tra l’approccio permissivo della giustizia americana e quello protettivo della legislazione danese si apre una frattura sempre più evidente: le regole non solo arrivano in ritardo, ma parlano lingue diverse. A ogni latitudine, il diritto d'autore si ritrova a mediare tra potenze industriali che spingono per l’accesso illimitato e individui che chiedono di essere riconosciuti come più che semplici fornitori di dati.
Il concetto stesso di fair use — nato per democratizzare l’accesso alla cultura — rischia di trasformarsi in un unfair game, dove a vincere non è chi crea, ma chi dispone della maggiore potenza computazionale. Le aziende tech rivendicano il diritto di attingere a libri, volti e voci per far crescere i propri modelli, ma difendono con rigore assoluto il codice, i pesi e gli output che ne derivano. Libertà in ingresso, protezione in uscita.
La Danimarca, con la sua proposta di legge, non si limita a porre un freno tecnico o normativo. Compie un salto concettuale: sposta l’oggetto della protezione dal prodotto della mente alle componenti fondamentali dell’identità umana. Non è più solo la creazione intellettuale a meritare tutela, ma il volto, la voce, l’essenza stessa della persona. In un mondo in cui l’AI può imitare tutto, la legge danese sembra ricordarci che non tutto è replicabile senza conseguenze, soprattutto ciò che ci rende unici.
In questo contesto, non basta più chiedersi se un utilizzo è legale. La vera questione è cosa vogliamo rendere legittimo, e per chi. Serve un cambio di passo: non un copyright che si limiti a difendere l’opera conclusa, ma un diritto d’autore proattivo, capace di prevenire lo sfruttamento sistemico, di riconoscere il valore dell’umano prima che venga dissolto nel rumore dei dati.
Perché quando tutto può essere convertito in codice, la vera posta in gioco non è la proprietà di un contenuto, ma la proprietà di ciò che ci definisce. E se la tecnologia non conosce limiti, la responsabilità di tracciarli non può che ricadere su di noi. Non per bloccare l’innovazione, ma per non smarrire ciò che, nel frattempo, ci rende ancora autenticamente umani.

“Stop the clock”: è l’appello firmato da 38 aziende italiane del settore AI, insieme a investitori, centri di ricerca e associazioni europee, per chiedere una sospensione temporanea dell’AI Act. La normativa, secondo i promotori, rischia di bloccare l’innovazione e spingere capitali e talenti fuori dall’Europa. Tra le critiche, i costi di adeguamento stimati fino a 300.000 euro annui per startup, la classificazione automatica come “alto rischio” di modelli AI basata su criteri considerati arbitrari e la mancanza di strumenti flessibili come sandbox regolatorie. Qui la news.
Ascolti Podcast?
Allora ci vediamo, anzi, ci ascoltiamo su tutte le piattaforme audio con il nostro Podcast: Intelligenza Artificiale Spiegata Semplice.
E su tutte le piattaforme audio gratuite
