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Il 63% di chi rifiuta il rientro in ufficio viene licenziato

Un nuovo sondaggio getta luce sul perché il lavoro da remoto è sempre più un miraggio

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Avatar di Antonino Caffo

a cura di Antonino Caffo

Editor

Pubblicato il 21/05/2025 alle 11:59

Il panorama lavorativo post-pandemico continua a essere teatro di un acceso dibattito, con la questione degli obblighi di rientro in ufficio che alimenta tensioni e incertezze tra i dipendenti. A gettare ulteriore benzina sul fuoco è intervenuto recentemente anche il Presidente Trump, firmando un ordine esecutivo che impone a tutti i dipendenti federali il ritorno al lavoro in presenza. Questa mossa ha ulteriormente intensificato le discussioni sul futuro delle modalità lavorative, spingendo aziende e lavoratori a interrogarsi su quale sarà la nuova normalità.

In questo contesto di profonda trasformazione, LiveCareer, piattaforma di servizi per la carriera specializzata nella creazione di curriculum e lettere di presentazione, ha pubblicato il suo ultimo rapporto intitolato "Rientro in ufficio: realtà e previsioni". Lo studio, che è qui, basato su un sondaggio condotto a gennaio 2025 su oltre 1.000 lavoratori, offre uno spaccato significativo delle percezioni e delle aspettative dei dipendenti. Emerge con chiarezza una preferenza maggioritaria per il lavoro da remoto rispetto a quello tradizionale in presenza. Tuttavia, questa preferenza si scontra con una realtà in cui le richieste di ritorno in ufficio sono sempre più diffuse. Ben il 91% degli intervistati ha dichiarato di conoscere qualcuno a cui è stato richiesto di tornare a lavorare in sede a partire dal 2023. Di questi, una percentuale allarmante, l'86%, ha osservato ripercussioni negative per coloro che hanno manifestato opposizione a tale direttiva. Nonostante queste pressioni e le potenziali conseguenze, i lavoratori continuano a dare un valore immenso ai benefici offerti dal lavoro da remoto, privilegiando in particolare il risparmio di tempo e denaro e la possibilità di un migliore equilibrio tra vita privata e impegni professionali.

Tra chi si è rifiutato di aderire a queste politiche, il 63% è stato licenziato, mentre il 23% richiamato formalmente

Più ufficio, meno casa

Analizzando più nel dettaglio i risultati del sondaggio, si osserva come il 60% dei partecipanti preveda che nel corso del 2025 un numero crescente di aziende imporrà il ritorno in ufficio rispetto all'anno precedente. Questa percezione è supportata dal dato, già menzionato, secondo cui il 91% dei lavoratori conosce qualcuno a cui è stato chiesto di rientrare in sede dal 2023. Le conseguenze per chi si è rifiutato di aderire a queste politiche sono state spesso severe: il 63% dei casi ha portato al licenziamento, mentre il 23% si è tradotto in richiami formali. Sorprendentemente, due terzi dei lavoratori intervistati hanno dichiarato che non scambierebbero la possibilità di lavorare da remoto nemmeno per un aumento di stipendio del 15%, a testimonianza del valore attribuito a questa modalità lavorativa. Un altro dato interessante riguarda l'evoluzione dei curriculum vitae: le menzioni di "lavoro da remoto" sono quasi triplicate, passando dal 4% nel 2018 all'11% nel 2025, segno di una crescente ricerca di opportunità flessibili.

Guardando al futuro prossimo, i dipendenti sembrano prepararsi a una continua e progressiva spinta verso il ritorno al lavoro in presenza. Il 60% degli intervistati ritiene infatti che un numero maggiore di aziende richiederà il lavoro full-time in ufficio. Solo il 31% si aspetta una diminuzione di tali obblighi, mentre un esiguo 9% non prevede cambiamenti significativi rispetto alla situazione attuale. La percezione che il ritorno in ufficio sia ormai un processo a pieno ritmo è forte: alla domanda se conoscessero qualcuno a cui fosse stato chiesto di tornare in sede dal 2023, il 73% ha risposto di conoscere una persona e il 18% addirittura diverse. Soltanto il 9% degli intervistati ha affermato di non essere a conoscenza di casi simili.

I rischi associati al rifiuto di rientrare in ufficio sono concreti e tangibili. Tra coloro che conoscono qualcuno che si è opposto alle politiche di rientro, l'86% ha riportato che ci sono state delle conseguenze. La più drastica, il licenziamento, ha riguardato il 63% dei casi, mentre i richiami formali hanno interessato il 23%. Solamente nel 9% dei casi il rifiuto non ha comportato alcuna conseguenza, a dimostrazione del fatto che la clemenza da parte delle aziende sembra essere un'eccezione piuttosto che la regola.

Perché remoto è meglio?

Ma cosa rende il lavoro da remoto così apprezzato dai dipendenti? Il sondaggio di LiveCareer ha messo in luce diverse ragioni chiave. Quasi la metà degli intervistati, il 49%, ha indicato il tempo risparmiato evitando gli spostamenti quotidiani casa-lavoro come il beneficio principale. Il 42% ha sottolineato il significativo risparmio economico derivante dalla riduzione delle spese di trasporto e dei pasti consumati fuori casa. Un altro 40% ha evidenziato la maggiore flessibilità e il conseguente miglioramento della produttività. Il 32% ha dichiarato di beneficiare di un migliore equilibrio tra lavoro e vita privata, un aspetto sempre più cruciale nel mondo contemporaneo. Infine, il 20% ha ammesso di preferire il lavoro da remoto per evitare la routine e gli obblighi legati alla presenza in ufficio, come la necessità di vestirsi in modo formale o di curare l'aspetto ogni giorno. L'analisi dei dati dei curriculum presenti nel database di LiveCareer conferma ulteriormente questo crescente interesse: le menzioni al "lavoro da remoto" sono passate dal 4% nel 2018 all'11% nel 2025, un aumento di quasi tre volte in soli sette anni.

Nonostante la forte preferenza per il lavoro flessibile, alcuni lavoratori hanno indicato a quali condizioni sarebbero disposti a considerare un ritorno stabile in ufficio. Il 37% tornerebbe per un aumento di stipendio di almeno il 15%. Curiosamente, il 35% rinuncerebbe al lavoro da remoto in cambio di una settimana lavorativa di quattro giorni, suggerendo che la flessibilità oraria può essere un valido compromesso. Un ulteriore 10% sarebbe disposto a rientrare in cambio di ferie pagate illimitate. Questi dati, tuttavia, evidenziano con chiarezza quanto i dipendenti tengano al lavoro da remoto: per la stragrande maggioranza di loro, infatti, gli incentivi puramente economici non sono sufficienti a compensare la perdita dei benefici associati alla flessibilità.

"I dati mostrano un mondo del lavoro a un punto di svolta", ha commentato Jasmine Escalera, esperta di carriera per LiveCareer. "Anche se molti prevedono un aumento delle richieste di rientro in ufficio, la forte preferenza per il lavoro da remoto sottolinea un cambiamento profondo nei valori professionali. I datori di lavoro che daranno priorità alla flessibilità e capiranno queste esigenze avranno un vantaggio nell’attrarre e mantenere i migliori talenti in un mercato del lavoro in continua evoluzione".

Fonte dell'articolo: www.livecareer.it

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