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I data center hanno un problema con l'acqua (e anche noi)

I centri dati consumano sempre più acqua per il raffreddamento, ma a differenza dell'energia non possono contare su generatori di emergenza per gestire le crisi.

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a cura di Valerio Porcu

Senior Editor

Pubblicato il 27/08/2025 alle 08:52

La notizia in un minuto

  • I data center attualmente consumano l'1-2% dell'acqua mondiale, ma le proiezioni indicano un aumento fino al 30% entro il 2030 a causa della crescita di streaming e intelligenza artificiale
  • A differenza dell'energia elettrica, per l'acqua non esistono soluzioni di backup immediate come i generatori di emergenza, rendendo questa risorsa ancora più critica per il funzionamento dei data center
  • Il problema è politico e sociale, non solo tecnologico: non esistono crediti idrici come quelli di carbonio dietro cui nascondersi, richiedendo strategie più concrete e trasparenti
Riassunto generato con l'IA. Potrebbe non essere accurato.

La gestione dei data center si trova ad affrontare una sfida che va oltre le tradizionali preoccupazioni tecnologiche: la scarsità idrica. Queste strutture infatti hanno bisogno di sistemi di raffreddamento sempre più potenti, ma la corretta gestione dell'acqua non è sempre al centro dei progetti. 

Raffreddare i data center (e scaldare il pianeta) è diventato un business milionario

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In genere per la costruzione dei data center si scelgono luoghi dove l'energia costa meno, e a volte - spesso - questi luoghi sono anche colpiti da scarsità idrica. Infrastrutture che assorbono migliaia di litri d'acqua ogni giorno non possono che acuire i problemi già esistenti.

Un data center non consuma acque in senso letterale, ma se ha un sistema di raffreddamento a evaporazione o adiabatico, ha un impatto locale molto significativo. L'acqua viene infatti prelevata dal sistema idrico locale, e torna poi nell'ambiente sotto forma di vapore. Se globalmente non c'è consumo, dunque, a livello locale per gli abitanti della zona l'impatto può essere molto rilevante. E infatti sono già numerose le storie di abitazioni dove i rubinetti restano asciutti molte ore al giorno, dopo che è stato costruito un data center nella zona. 

Il problema si fa anche più complesso quando entrano in gioco altre cause, e succede che data center costati miliardi di euro rischiano di trovarsi all'asciutto. Robert Pritchard, analista principale di GlobalData per la tecnologia aziendale, mette in guardia sulla complessità del problema. "Il cambiamento climatico ha generato fenomeni meteorologici estremi, dagli incendi alle piogge torrenziali, che stanno diventando sempre più intensi a livello globale", spiega l'esperto. Le superfici inaridite assorbono meno acqua piovana per ricaricare le falde acquifere, con conseguenze che si ripercuotono non solo sugli ecosistemi ma anche sui centri elaborazione dati.

La differenza cruciale rispetto al problema energetico è che per l'acqua non esistono soluzioni di backup immediate. Come sottolinea Pritchard, "non si possono installare generatori di emergenza per l'acqua", rendendo questa risorsa ancora più critica dell'energia elettrica per il funzionamento continuativo delle infrastrutture digitali.

Il consumo nascosto dietro ogni click

Le cifre parlano chiaro: attualmente i data center usano tra l'1 e il 2% dell'acqua mondiale, ma le proiezioni per il 2030 indicano un aumento vertiginoso. "Si stima che il consumo raggiungerà il 30%", rivela Aurora Gómez dell'iniziativa "Tu nube seca mi río". L'esperta aggiunge una considerazione preoccupante: "Posso assicurare che sarà anche di più, perché l'uso di internet sta aumentando con lo streaming e l'intelligenza artificiale".

Secondo le stime dell'OCSE riportate da GlobalData, per supportare lo sviluppo dell'intelligenza artificiale servirà una quantità d'acqua equivalente al consumo della Danimarca, o alla metà di quello del Regno Unito. Un paragone che rende tangibile l'enormità del fabbisogno idrico di queste tecnologie apparentemente "virtuali".

Non esistono crediti idrici come quelli di carbonio dietro cui nascondersi

Le grandi corporation tecnologiche stanno già implementando approcci per ridurre l'impatto idrico. Digital Realty, nel suo rapporto d'impatto 2024, riconosce che "l'acqua è essenziale per il nostro business e per le comunità in cui operiamo". L'azienda punta a migliorare del 14% il proprio indice di Water Usage Effectiveness (WUE), con il 42% dell'acqua utilizzata proveniente già da fonti non potabili.

Esempi virtuosi arrivano anche dall'Europa: il data center che T-Systems e Vertiv hanno aperto a Cerdanyola del Vallès, vicino Barcellona, utilizza il freecooling indiretto per ridurre la produzione di acqua refrigerata. Stockholm ha invece sviluppato un modello di economia circolare, utilizzando l'acqua calda residua del raffreddamento dei server per riscaldare le abitazioni cittadine.

Una sfida che va oltre la tecnologia

L'analisi di GlobalData mette in luce come questa non sia una questione meramente tecnica. "È un problema politico e sociale, non solo tecnologico", avverte Pritchard. L'esperto sottolinea una differenza fondamentale rispetto alle strategie utilizzate per le emissioni di carbonio: "Non esiste un equivalente idrico dei crediti di carbonio dietro cui nascondersi", una tecnica che ha spesso permesso alle aziende di praticare il greenwashing.

Le organizzazioni ambientaliste continuano a sollevare dubbi sull'adeguatezza delle misure attualmente adottate. La complessità del problema richiede una strategia olistica che consideri non solo il consumo per il raffreddamento, ma anche la gestione dell'acqua post-processo e l'integrazione con i sistemi urbani esistenti.

Fonte dell'articolo: www.cio.com

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