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Servono ancora i venture capital per il successo delle startup?

L'Italia vive una trasformazione nel mondo delle startup: abbonda il capitale ma mancano opportunità di investimento, creando scenari favorevoli per i progetti migliori.

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a cura di Antonino Caffo

Editor

Pubblicato il 01/10/2025 alle 10:08

La notizia in un minuto

  • Il venture capital italiano cresce più velocemente delle opportunità di investimento, creando abbondanza di capitali ma scarsità di idee innovative davvero promettenti
  • Le exit strategies rimangono il punto debole dell'ecosistema italiano, ostacolate da una mentalità culturale che stigmatizza il fallimento imprenditoriale
  • Gli investitori locali puntano su una strategia di nicchia, finanziando startup che risolvono problemi tipicamente italiani per sfuggire alla concorrenza globale
Riassunto generato con l'IA. Potrebbe non essere accurato.

Più finanziamenti che idee di startup. Questa è la realtà del contesto italiano secondo Andrea Bellini, investitore specializzato in startup, presente a The Bologna Gathering 2025. "Oggi c'è sicuramente un gap in Italia tra i finanziamenti dei venture capital e le reali opportunità di investimento. Ci sono direttive europee e attori nazionali che stanno investendo molto su alcuni contesti, come gli acceleratori, spesso con un livello di ingresso molto basso".

Bellini, con Alpha Venture, investe nelle startup tramite "First ticket", ossia nella fase più primordiale del progetto. La scommessa è su startup di successo entro sei o dodici mesi, il che poggia lo sforzo di investimento realmente sulla soluzione e sul mercato potenziale. "L'ammontare di venture capital complessivo in Italia sta crescendo a un ritmo più veloce di quello che è l'aumento delle opportunità di investimento", spiega Bellini, evidenziando uno squilibrio che fino a pochi anni fa sarebbe stato impensabile.

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Questa trasformazione non significa però che ottenere finanziamenti sia diventato automatico. Gli investitori come Bellini, che operano nel segmento "super early-stage", applicano criteri di selezione rigorosi basati su tre pilastri fondamentali: l'ampiezza dell'opportunità di mercato, la qualità del team e la capacità concreta di eseguire la visione imprenditoriale. "Noi investiamo dove vediamo un'opportunità di mercato abbastanza grande da poter produrre dei multipli", chiarisce l'investitore, distinguendo nettamente tra il valore delle persone e il potenziale del settore di riferimento.

Il nodo irrisolto delle exit strategies

Nonostante l'ottimismo per la fase di raccolta fondi, il sistema italiano mostra ancora fragilità strutturali quando si tratta di concludere il ciclo di investimento. Il momento dell'exit - quando gli investitori vendono le loro partecipazioni per realizzare i guadagni - rimane il tallone d'Achille dell'ecosistema nazionale. Bellini non usa mezzi termini: "Non siamo bravi come altri investitori a far fare, a portare le startup verso l'exit".

Il problema affonda le radici in una mentalità culturale che stigmatizza il fallimento imprenditoriale. Mentre in altri Paesi un insuccesso viene considerato esperienza preziosa per il prossimo tentativo, in Italia si preferisce "trascinare" aziende morenti piuttosto che liquidarle rapidamente per permettere ai fondatori di ricominciare da capo. Questo approccio genera un circolo vizioso dove chi fallisce raramente riprova, privando l'ecosistema di quella contaminazione di competenze che deriva dall'esperienza diretta degli errori.

C'è più cultura verso un modello da imprenditori artigianali, che da startup

La preferenza nazionale per la stabilità dell'impresa familiare tradizionale si scontra con la natura intrinsecamente rischiosa ma potenzialmente esplosiva delle startup tecnologiche. Questa dicotomia culturale rappresenta forse il maggiore ostacolo alla maturazione completa del settore, più ancora della disponibilità di capitali o delle competenze tecniche.

L'Italian "touch" nell'innovazione

Paradossalmente, proprio le specificità del mercato italiano stanno diventando un vantaggio competitivo per chi sa interpretarle correttamente. Gli investitori locali come Bellini hanno sviluppato una strategia di nicchia geografica, concentrandosi su startup che risolvono problematiche tipicamente italiane e che difficilmente attrarrebbero l'attenzione di fondi internazionali.

"Molte delle startup che hanno avuto più successo sono startup che risolvono problemi tipicamente italiani", osserva Bellini. Questa specializzazione permette di sfuggire alla concorrenza diretta con i giganti del venture capital globale, creando un ecosistema protetto dove le peculiarità del mercato domestico diventano barriere all'entrata per i competitor stranieri. Se sei bravo, oggi è molto semplice trovare dei venture capital. Puoi farti notare con più possibilità di un tempo, peraltro scegliendo in un mercato dove la concorrenza è ampia".

In realtà, Alpha Venture agisce ben prima, diventando quasi un "Business Angel potenziato", che agisce in una fase antecedente quella del seed e quindi colmando un vuoto strutturale nel panorama nazionale. La scarsa presenza di investitori individuali - una lacuna culturale più che economica - viene compensata da fondi specializzati che fungono da ponte tra l'idea imprenditoriale e il mercato dei capitali più maturo.

L'equilibrio attuale del settore presenta luci e ombre in egual misura. Se da un lato l'abbondanza di capitale e la competizione tra investitori creano condizioni favorevoli per le startup meritevoli, dall'altro persistono resistenze culturali che limitano la piena espressione del potenziale innovativo nazionale. Il successo di questo nuovo Rinascimento tecnologico dipenderà dalla capacità di tutto l'ecosistema di evolversi, abbracciando una mentalità più aperta al rischio e riconoscendo nel fallimento non uno stigma ma un'opportunità di apprendimento e crescita.

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