Una "promessa" dell'intelligenza artificiale è quella di ridurre le mansioni a basso valore aggiunto delle persone. La stessa tecnologia che promette di liberare i lavoratori dalle attività più monotone, come la compilazione di fogli Excel e l'inserimento dati, solleva interrogativi fondamentali sul futuro dell'occupazione. La maggiore produttività si accompagna infatti a scenari inediti che potrebbero ridefinire completamente il rapporto tra lavoro e società.
L'ottimismo iniziale delle imprese che implementano soluzioni di intelligenza artificiale si scontra con una realtà matematica implacabile: dove prima erano necessarie dieci persone, oggi ne bastano tre. Il fenomeno del reskilling rappresenta la risposta immediata a questa trasformazione, riposizionando i lavoratori verso ruoli più strategici e creativi. Tuttavia, questa soluzione apparentemente virtuosa nasconde una dinamica a spirale: anche i nuovi ruoli ad alto valore aggiunto potrebbero essere progressivamente automatizzati, creando un ciclo di sostituzione continua che riduce costantemente il numero di posizioni disponibili.
"Se da una lato la tecnologia avanza, dall'alto si assiste sempre più ad un digital divide, una società divisa. L'ipotesi di un reddito di base universale potrebbe essere una soluzione. Non è un bonus ma una base sociale su cui costruire un nuovo tipo di società" spiega l'esperto Fabrizio Degni.
In Finlandia, California, Canada e Kenya, i progetti pilota di reddito di base universale hanno dimostrato buoni risultati, contraddicendo i pregiudizi più diffusi. Contrariamente alle aspettative, i beneficiari non hanno smesso di cercare lavoro né di investire nella propria formazione, utilizzando invece il sostegno economico per soddisfare le necessità primarie e costruire nuove opportunità professionali.
"Se c'è noia, l'uomo è motivato a creare, a ingegnarsi. Questo dice Galimberti. Questa sorta di apatia di massa legata al reddito universale è più uno spauracchio. Le persone, non avendo più l'obbligo del lavoro, creano nuove attività, fanno altre valutazioni, sono slegate da un pensiero che spesso è una frattura tra volere e potere".
La sfida del finanziamento e della sostenibilità
La questione cruciale rimane quella del finanziamento di un sistema di sostegno universale. La proposta più concreta prevede una tassazione sui benefici dell'automazione: "le aziende che aumentano la produttività riducendo il personale potrebbero contribuire a un fondo destinato a sostenere coloro che perdono il lavoro a causa della tecnologia. Il principio è semplice quanto ambizioso: redistribuire parte del valore aggiunto generato dall'efficienza tecnologica per creare un sistema di protezione sociale adeguato alle nuove sfide".
Tuttavia, la resistenza a questo cambiamento non è solo di natura economica. La cultura occidentale ha costruito l'identità individuale attorno al concetto di lavoro, creando una società in cui ciascuno si definisce principalmente attraverso la propria occupazione professionale. Questo paradigma, profondamente radicato nella nostra storia evolutiva da cacciatori-raccoglitori a lavoratori specializzati, rappresenta l'ostacolo più significativo verso l'accettazione di modelli alternativi di organizzazione sociale.
La transizione verso una società post-lavorativa richiederebbe una rivoluzione culturale profonda. Le persone dovrebbero imparare a trovare significato e realizzazione al di fuori del tradizionale rapporto di lavoro, dedicandosi alla cura familiare, all'arte, allo studio continuo e alla ricerca. Questo cambiamento potrebbe liberare un potenziale creativo e innovativo senza precedenti, permettendo a molte più persone di contribuire allo sviluppo scientifico e culturale della società.
Verso un nuovo rinascimento umano
La prospettiva di un rinascimento del genere umano non è utopica se considerata nel contesto dell'accelerazione tecnologica.
L'automazione spinta e l'intelligenza artificiale potrebbero creare le condizioni economiche per sostenere una popolazione che non è più costretta a dedicare la maggior parte del proprio tempo a attività produttive tradizionali. Questo scenario richiederebbe però un ripensamento radicale dei sistemi previdenziali e una ridefinizione del contratto sociale contemporaneo.
La difficoltà maggiore risiede nel superare il paradosso della sofferenza necessaria che caratterizza l'attuale concezione del lavoro. La società moderna premia la presenza fisica e l'apparente sacrificio più dei risultati effettivi, creando dinamiche controproducenti che impediscono lo sviluppo di modelli più flessibili ed efficaci. "Il cortocircuito mentale della società moderna, che chiede di subire spesso qualcosa altrimenti non ha senso farla, dimostra il deperimento dell'epoca odierna". Il reddito di base universale potrebbe rappresentare lo strumento per spezzare questa logica, permettendo alle persone di esplorare il proprio potenziale senza la pressione della sopravvivenza economica.
"Per molti, il lavoro è una ragione di vita e non è detto che sia giusto" conclude Degni. Il futuro professionale delle nuove generazioni appare sempre più incerto in un contesto di competizione spietata per posizioni lavorative in continua diminuzione. Non bisogna resistere al cambiamento tecnologico, ma nell'accompagnarlo con politiche sociali innovative che preservino la dignità umana e favoriscano lo sviluppo delle potenzialità individuali. La domanda fondamentale non è più "cosa faremo quando i robot sostituiranno il lavoro umano", ma "chi saremo quando non avremo più bisogno di lavorare per vivere".