Avv. Giuseppe Croari – Dott.ssa Silvia Di Paola
Su Whatsapp sta per arrivare la pubblicità, e la novità riguarderà anche noi consumatori europei, ma a partire dal 2026. Meta ha deciso di prendersi un po’ di tempo in più, nel Vecchio Continente, proprio per gestire le più complesse normative - in particolare in tema di protezione dei dati personali.
Come sempre quando si parla di Meta e di social media, infatti, si pone una questione di raccolta e utilizzo dei dati degli utenti. Questione da cui Whatsapp non è esente: l’applicazione può “vedere” alcune delle cose che facciamo e come la usiamo, e Meta può usare queste informazioni per “profilare” gli utenti e alzare così il valore degli spazi pubblicitari.
In altre parole, più cose sanno di noi e più cara possono vendere la pubblicità, perché l’inserzionista potrà contare su maggior probabilità di raggiugnere il giusto tipo di consumatore. In altre parole, cibo per gatti per i proprietari di gatti, automobili a chi deve cambiare un diesel Euro 5, telefoni a chi sta cercando un nuovo smartphone, e così via...
Ma per sapere se stiamo cercando una nuova auto, cibo per gatti o un nuovo smartphone, Meta ci deve osservare e analizzare in un modo che potrebbe non andare d’accordo con le regole europee sulla tutela dei dati personali. E infatti Meta si sta impegnando per raccogliere solo dati generici.
Non agli annunci nelle chat
Secondo quanto anticipato dall’azienda, gli annunci non verranno inseriti all’interno delle chat private, ma saranno visibili nella sezione "Aggiornamenti". Meta ha, inoltre, chiarito che si tratterà di annunci personalizzati che, tuttavia, si baseranno su dati considerati “generici”, quali la lingua del dispositivo, il paese, la città, i canali seguiti nonché le interazioni con gli annunci e i contenuti della sezione “Aggiornamenti” da parte dell’utente (per maggiori informazioni sul tema della profilazione clicca qui).
Non costituiranno, invece, oggetto di profilazione il numero di telefono dell’utente medesimo e il contenuto relativo alle chat, alle chiamate e agli aggiornamenti di stato.
La critica di NOYB e il Digital Markets Act (DMA)
L’organizzazione NOYB – None of Your Business, guidata dall’attivista per la privacy Max Schrems, ha sollevato critiche all’annunciata introduzione della pubblicità su WhatsApp, evidenziando seri rischi in termini di protezione dei dati personali. In particolare, NOYB ha sottolineato che, nell’eventualità in cui l’utente abbia collegato il suo account Whatsapp alle piattaforme di Facebook e Instagram, esiste il concreto pericolo che tra le piattaforme medesime si verifichi una fuga di dati non autorizzata.
Ad essere violato, secondo NOYB, sarebbe, in tal caso, anzitutto l’art. 5, comma 2, lett. b), del Digital Market Act, il quale stabilisce che “il gatekeeper non combina dati personali provenienti dal pertinente servizio di piattaforma di base con dati personali provenienti da altri servizi di piattaforma di base o da eventuali ulteriori servizi forniti dal gatekeeper o con dati personali provenienti da servizi di terzi”, “a meno che sia stata presentata all'utente finale la scelta specifica e quest'ultimo abbia dato il proprio consenso ai sensi dell'articolo 4, punto 11), e dell'articolo 7 del regolamento (UE) 2016/679”.
Secondo NOYB, dunque, Meta starebbe cercando di aggirare il meccanismo del consenso e quindi starebbe, altresì, violando l’art. 7 del GDPR secondo il quale il consenso deve essere esplicito, libero, informato e specifico. Una simile condotta, ad avviso di NOYB, entrerebbe altresì in conflitto con i principi di limitazione della finalità, di minimizzazione e della trasparenza, anch’essi disciplinati dal GDPR (per maggiori informazioni sul contenuto del GDPR clicca qui).
Mentre le autorità europee fanno gli accertamenti necessari in questa situazione, chi usa Whatsapp può fare qualcosa sin da subito, come, per esempio, disattivare l’upload automatico dei dati tra i servizi Meta, non collegare o scollegare, se è già stato fatto, l’account Whatsapp a Facebook o Instagram, e ancora monitorare gli aggiornamenti delle app e le richieste di consenso.
Cosa possono fare consumatori e aziende
L’introduzione della pubblicità su WhatsApp rappresenta un cambio di paradigma per una app che, fino ad oggi, si è distinta per l’assenza di modelli pubblicitari intrusivi. Se da un lato Meta cerca nuove fonti di monetizzazione, dall’altro questa mossa solleva questioni giuridiche e di privacy non trascurabili, soprattutto nel contesto europeo, dove il GDPR e il Digital Markets Act impongono standard elevati in materia di protezione dei dati personali e trasparenza.
Il rinvio al 2026 per il lancio delle inserzioni pubblicitarie in Europa non è solo una scelta tecnica, ma riflette le difficoltà di conciliare il modello pubblicitario di Meta con la normativa UE, che richiede consenso esplicito, libertà di scelta e tutela dalla profilazione abusiva. Le osservazioni sollevate da organizzazioni come NOYB e i dubbi delle autorità regolatorie dimostrano che non si tratta semplicemente di un aggiornamento funzionale, ma di una questione che tocca i diritti fondamentali degli utenti.
Saranno le scelte della stessa Meta a determinare gli esiti di questa vicenda, su come sarà strutturata la richiesta di consenso, quali dati verranno effettivamente utilizzati, e se saranno rispettati i principi di minimizzazione, finalità e trasparenza.
Nel frattempo, gli utenti possono e devono adottare buone pratiche di protezione della privacy, restando informati e attenti alle prossime modifiche dei termini di servizio. Perché, in un contesto in cui la pubblicità diventa sempre più pervasiva, il vero potere di controllo resta ancora nelle mani dell’utente consapevole.
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