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La consapevolezza che con gli ambienti open ci si fa del business, porta all'esigenza di certificare le competenze degli operatori di canale che aggiungono valore alle soluzioni

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a cura di Italo Vignoli

Il software open source nasconde opportunità di business che in Italia sono state colte solo da un piccolo numero di operatori, che hanno avuto il coraggio - o forse l'incoscienza - di investire in questo settore, costruendo delle competenze che si sono rivelate fondamentali quando le prime aziende clienti hanno deciso che era giunto il momento di migrare da sistemi proprietari a OpenOffice.

In realtà, questo avveniva poco dopo il rilascio della prima versione della suite, nel 2002, quando ci voleva una mistura di fede e di fiducia smisurata nell'evoluzione del progetto, che aveva poco più di un anno di vita ed era ancora alla release 1.0: un'antologia di bug che lasciava solo intravedere le potenzialità del prodotto. Fortunatamente, OpenOffice si è sviluppato in modo talmente rapido e positivo da arrivare a una versione 2.0 capace di rispondere alle esigenze di un numero molto ampio di utenti e a una versione 3.0 in grado di fare concorrenza a nomi blasonati al punto di diventarne il concorrente più agguerrito, il solo in trent'anni di storia ad arrivare a una quota di mercato superiore al 5% (che poi è diventata il 10%, e poi anche il 15%). 

Sfortunatamente, la gestione del progetto da parte di Sun non è mai stata abbastanza 'smart' da trasformare questa quota di mercato in un successo di tipo commerciale, nemmeno quando le richieste da parte delle aziende lasciavano trapelare la necessità di un ecosistema in grado di sostenere il prodotto. 

Un'offerta e un canale strutturato

Come succede nelle migliori famiglie del software libero, a un certo punto - vista l'incapacità di Sun di sviluppare fino in fondo il progetto e la successiva acquisizione da parte di Oracle - la comunità ha deciso che era giunto il momento di fare quello che i vendor non erano stati in grado di fare in dieci anni, ovvero creare un ecosistema intorno a una fondazione indipendente capace di portare avanti non solo lo sviluppo di LibreOffice - tecnicamente, un fork di OpenOffice - ma anche di un canale di operatori focalizzati sulla costruzione di valore aggiunto.

È così che il 28 settembre 2010 è nata The Document Foundation (TDF), e all'inizio del 2012 è nato il Programma di Certificazione. Una gestazione piuttosto lunga, certo, ma dovuta al fatto che una comunità del software libero ha bisogno di raggiungere il consenso al suo interno senza che nessuno imponga la propria visione o le proprie idee, e questo, anche se richiede un po' più di tempo, si traduce poi in un impegno comune verso l'obiettivo che nessun tipo di organizzazione aziendale riesce a emulare.

Oggi, migrare a LibreOffice - oppure a OpenOffice, che ora viene sviluppato da Apache Foundation, ed è strettamente legato a Ibm, che ha obiettivi simili a quelli che un tempo aveva Sun - è diventato molto più facile, e ancora più facile sarà in futuro quando anche in Italia ci sarà quell'ecosistema di aziende capaci di fornire valore aggiunto, sotto forma di consulenza alla migrazione, sviluppo di template, macro ed estensioni, formazione degli utenti, supporto di primo, secondo e terzo livello, che già esiste in Paesi come la Germania, la Francia e la Danimarca, ed è in fase di sviluppo in Spagna e in numerosi Paesi del Sud America, come Brasile e Venezuela.