Oggi molti temono che traduttori e interpreti "umani" possano diventare figure obsolete di fronte agli algoritmi sempre più sofisticati. Ma la realtà del settore racconta una storia diversa. Le competenze di alto livello nel campo della mediazione linguistica e culturale restano insostituibili, soprattutto quando si tratta di contesti professionali complessi che richiedono non solo precisione terminologica, ma anche sensibilità culturale e capacità di cogliere sfumature che vanno ben oltre il semplice trasferimento di parole da una lingua all'altra.
Simone Borile, direttore di CIELS Campus e antropologo di formazione, porta alla luce un episodio emblematico che chiarisce perfettamente i limiti attuali della tecnologia. Durante un convegno organizzato da un'associazione nazionale, la performance inadeguata di un mediatore linguistico ha compromesso completamente una trattativa commerciale. I potenziali acquirenti si sono alzati e hanno abbandonato il tavolo, rifiutandosi di proseguire fino a quando non fosse stato sostituito con un professionista più competente. Questo esempio dimostra come la qualità della mediazione linguistica possa determinare l'esito di negoziazioni economicamente rilevanti.
La distinzione tra traduzione scritta e interpretariato orale rappresenta un punto cruciale per comprendere l'impatto reale dell'intelligenza artificiale sul settore. "Il settore è cambiato molto nel corso del tempo e ancora più a seguito delle opportunità offerte dall'IA. Sia nell'insegnamento che nell'apprendimento, l'intelligenza artificiale aiuta ad avere un'opzione in più quando si tratta di trasferire un testo, ossia un universo di segni, simboli e significati, fino alle sfumature culturali, nella traduzione scritta almeno. A livello orale, l'IA non può ancora far evolvere concretamente l'attività di interpretariato" continua il direttore.
Apporto umano ancora fondamentale
Mentre nel campo della traduzione di testi gli algoritmi hanno fatto passi da gigante, offrendo risultati spesso accettabili per comunicazioni standard, l'interpretariato rimane un territorio dove l'intervento umano risulta ancora fondamentale. Gli strumenti di traduzione simultanea con auricolare, pur esistendo sul mercato, si rivelano efficaci solo per conversazioni basilari del tipo "come si raggiunge la stazione" o "che ore sono", ma falliscono miseramente quando il contesto diventa più articolato.
Il problema delle espressioni idiomatiche illustra perfettamente le carenze dell'intelligenza artificiale. L'esempio dell'augurio "in bocca al lupo" è illuminante: un algoritmo potrebbe tradurlo letteralmente, generando un'immagine grottesca di qualcuno azzannato dalle fauci di un lupo, mentre l'equivalente inglese corretto sarebbe "break a leg", letteralmente "rompiti una gamba". Solo un mediatore esperto riconosce immediatamente queste sfumature culturali e sceglie l'espressione appropriata tra le varie opzioni che la tecnologia può proporre.
L'intelligenza artificiale sta però trasformando profondamente la formazione e la pratica professionale dei mediatori. Borile sottolinea come il suo istituto abbia introdotto due anni fa, in modo quasi forzato, moduli specifici sull'uso di questi strumenti nei piani di studio. La tecnologia è diventata un alleato prezioso che velocizza enormemente il lavoro: dove un tempo serviva consultare dizionari cartacei e sfogliare pagine per trovare il termine giusto, oggi l'accesso alle informazioni è istantaneo. Tuttavia, la scelta finale tra le diverse opzioni proposte richiede ancora il giudizio di un professionista preparato.
La dimensione culturale
La dimensione culturale della mediazione emerge con particolare evidenza in contesti internazionali delicati. Borile racconta di aver assistito personalmente a una situazione in un paese arabo dove le convenzioni sociali prevedevano che gli uomini si salutassero con una stretta di mano, mentre le donne dovevano battere il pugno tre volte sul tavolo. Nessun algoritmo di traduzione automatica può fornire questo tipo di informazione, eppure violare tali codici culturali può compromettere irreparabilmente una trattativa commerciale, impedendo quella costruzione di empatia e fiducia indispensabile per il successo professionale.
Nel settore dei microlinguaggi specialistici la competenza umana diventa ancora più cruciale. "Quando si tratta di congressi scientifici, seminari di robotica, trattative bilaterali o traduzione di manuali per strumentazioni mediche, i termini tecnici richiedono una precisione assoluta. La terminologia specifica di questi ambiti non può essere gestita adeguatamente da sistemi automatici", sottolinea il direttore, "che, pur eccellenti per conversazioni colloquiali, non possiedono la profondità di conoscenza necessaria per contesti altamente specializzati.
La questione dei livelli di competenza solleva interrogativi interessanti sul futuro del mercato del lavoro linguistico. Chi possiede competenze linguistiche di base, magari acquisite durante gli studi superiori o universitari senza successivi approfondimenti, potrebbe effettivamente trovarsi in difficoltà. "Per email informali o richieste di informazioni semplici, l'intelligenza artificiale rappresenta già un valido supporto. Ma chi aspira a fare dei servizi linguistici una professione vera e propria deve puntare a competenze di livello molto elevato, quelle che permettono di gestire situazioni complesse e contestualizzate" conferma Borile.
Un approccio integrato
Le piattaforme di e-commerce più famose offrono un esempio tangibile delle conseguenze di traduzioni automatiche di bassa qualità: le descrizioni dei prodotti presentano spesso errori imbarazzanti, eppure nella maggior parte dei casi permettono comunque di capire cosa si sta acquistando. Questo scenario suggerisce che il mercato potrebbe effettivamente ridursi per i professionisti con competenze medie, mentre rimarrà solido per chi offre servizi di eccellenza. La distinzione tra prestazioni professionali di routine e interventi specialistici di alto livello diventerà sempre più marcata.
L'approccio più lungimirante consiste nell'integrare lo studio approfondito delle lingue con la padronanza degli strumenti di intelligenza artificiale. Proprio come gli architetti utilizzano software di progettazione o i chirurghi si avvalgono della laparoscopia, anche i mediatori linguistici devono abbracciare le nuove tecnologie senza farsi sostituire da esse. La chiave sta nel comprendere quali piattaforme siano più efficaci ed efficienti, perché non tutti i dispositivi di traduzione automatica offrono le stesse prestazioni e la capacità di selezionare gli strumenti giusti diventa essa stessa una competenza professionale.
Al di là delle questioni strettamente tecniche, emerge una riflessione antropologica più ampia. Borile, forte della sua formazione in scienze sociali, mette in guardia contro la progressiva deumanizzazione che accompagna l'uso massiccio dei dispositivi digitali.
Il consiglio di un libro
Nel suo libro "La radicalizzazione del male", Simone Borile analizza come la diminuzione dei rapporti umani diretti stia portando a una riduzione delle funzioni esecutive, della capacità critica e dell'empatia. L'anestesia affettiva che caratterizza sempre più le interazioni mediate dalla tecnologia rischia di normalizzare comportamenti problematici, rendendo le persone più insensibili e vulnerabili.
La professione del mediatore linguistico e culturale rappresenta quindi un baluardo importante contro questa deriva. Mantenere viva la dimensione umana della comunicazione, con tutte le sue sfumature emotive e culturali, diventa un valore ancora più prezioso in un mondo sempre più digitalizzato. La padronanza linguistica di alto livello non serve solo a trasferire informazioni da un codice all'altro, ma a costruire ponti autentici tra universi culturali diversi, facilitando quella comprensione reciproca che nessun algoritmo, almeno per ora, può garantire.