L'enorme problema del nuovo adattamento di Evangelion

Neon Genesis Evangelion arriva su Netflix portando con sé una marea di critiche relative il nuovo adattamento attuato da Netflix.

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a cura di Raffaele Giasi

Senior Editor

Come forse sarebbe stata accolta la proverbiale “manna dal cielo”, Evangelion arriva infine su Netflix, dopo la richiesta forsennata di un nugolo di fan che, forse giustamente, chiedeva di poter fruire di una serie che definire “di culto” sarebbe quanto mai riduttivo.

Neon Genesis Evangelion è LA serie. Quella per antonomasia, che ha animato le serate di una moltitudine di ragazzi della generazione Mtv, quando la rete musicale si fece baluardo della diffusione della cultura animata in Italia, al di la di quella che è una passione che, in ogni caso, anima il nostro paese sin dai tardi anni '70. Capirete bene che l'arrivo di una serie cult, lontana dagli schermi da tanto, forse troppo tempo, relegata alla discussione nella nicchia più squisitamente nerd della rete, suonava prepotentemente come una grande, e doppia, occasione: da un lato il succitato spunto per una nuova visione da parte degli aficionados, dall'altra la possibilità di apprezzare qualcosa di bello ed iconico da parte di tanti nuovi neofiti del mondo dell'anime.

Tutto perfetto insomma. No, decisamente no. Il problema di Evangelion in questa “Netflix version” è infatti uno, ed esula schiettamente dal prodotto originale la cui qualità, come avrete capito, è fuori scala. Paradossalmente, però, è un problema così grande che finisce per affossare la visione tanto per i cultori quanto per i nuovi arrivati.

Di che stiamo parlando? Dell'adattamento. Una discussione che spesso influisce su tutti i prodotti che arrivano nel nostro paese, dai film alle serie tv, e che spesso riguarda la “legittimazione” di un lavoro che, a conti fatti, in qualche modo snatura l'opera originale. Tuttavia, non è questo il caso in cui si vorrà aprire una lunga, e inutile, diatriba sul senso dell'adattamento in lingua (e dell'annesso doppiaggio), semmai solo constatare la sostanza di un lavoro indegno, se non offensivo.

Il problema, chiariamolo subito, una volta tanto non è il doppiaggio, che come spesso abbiamo detto è una questione piuttosto personale, ma proprio il modo in cui è stato scelto di adattare i dialoghi originali nella nostra lingua. Un problema che non è proprio dell'edizione originale, ma che invece si rifà alla necessità di Netflix di dover ri-doppiare la serie, non detenendo i diritti del lavoro di localizzazione originale, ma solo quelli per la diffusione dell'anime.

Il nuovo adattamento apportato da Netflix, a cura di Gualtiero Cannarsi (storico adattatore della stragrande maggioranza delle edizioni nostrane dei film di Studio Ghibli) è infatti indecente, inutilmente barocco, quanto poi talvolta proprio sgrammaticato e incomprensibile. Ai cultori di Evangelion serviranno forse pochi minuti per rendersi conto che c'è qualcosa che non va, partendo dall'immotivata e inspiegabile volontà di modificare delle terminologie che sono state assodate in ben 19 anni, ovvero dal 2000, data della prima messa in onda sulla nostrana versione di Mtv. Ma fidatevi, non è che ai “non fan” servirà molto di più per capire che ci sono dei problemi che prescindono l'adattare o meno i tecnicismi partoriti dalla serie. Perché il problema è proprio nella sintassi di molte, moltissime linee di dialogo, che sembrano ignorare le più comuni regole di soggetto, predicato e complemento.

Dal punto di vista delle traduzioni più “tecniche”, ovvero relative alle parole convenzionalmente utilizzate per definire alcuni personaggi di questa serie, in ogni caso, non si viaggia comunque su binari più sicuri. Sono molti gli esempi lampanti, ma capendo che questi sarebbero incomprensibili a chi non è pratico del linguaggio di Evangelion, ci limiteremo a tirare in ballo solo quello più noto e discutibile, ovvero la scelta di modificare la nomenclatura delle mostruose creature presenti nella serie, gli “Angeli”, optando per quello che è considerato un più fedele “Apostoli”, in riferimento al termine utilizzato in lingua originale, ovvero “shito”.

Shito, in effetti, è traducibile con il nostro “apostolo”, in virtù invece di “tenshi”, che significa angelo e che comunque nella serie è utilizzato, ma non quando si parla direttamente delle creature. Per intenderci in modo semplice e veloce, i personaggi che dialogano chiamano i mostri “shito”, ma se si tratta di parlare delle stesse creature nella sigla, o anche nei numerosissimi materiali ufficiali diffusi dopo il successo della serie, si utilizza allora il termine “tenshi”, se non addirittura l'inglese "angels", cioè angeli.

Le ambiguità tra le due parole, entrambe usate per le stesse creature, hanno ricevuto negli anni molteplici spiegazioni, ma per quel che ci riguarda ci basti sapere che l'utilizzo della parola “angelo”, per quanto non precisamente aderente al doppiaggio originale, va comunque considerato corretto, sia per i succitati riferimenti nella serie (che potrete scoprire anche da soli, visto l'ampio utilizzo della parola inglese “angel”, anche nell'anime), sia per l'ufficialità che è stata data al termine dal creatore della serie, Hideaki Anno.

Non val la pena spendersi neanche nel citare fonti, riferimenti e simili, basta la visione dell'anime per confermare l'uso della parola, ed il fatto che il termine "angelo" sia rimasto comunque in uso è stato spiegato, nel tempo, come una semplice disambiguazione. Come a dire – e scusate se si vuole semplificare - “ok li abbiamo chiamati apostoli in giapponese, ma sono Angeli a tutti gli effetti”.

Non è un caso che nelle diverse traduzioni apportate in tutto il mondo, la parola angelo sia stata ampiamente utilizzata, complice molte parti dello stesso anime in cui tra citazioni cabalistiche e non solo, gli stessi animatori hanno inserito nell'animazione la parola “angel”, senza considerare il fatto che le stesse creature hanno nomi estrapolati direttamente dalla tradizione della cabala ebraica in cui, appunto, sono presenti i vari nomi delle creature angeliche.

Capirete che con 19 anni di “tradizione” sulle spalle, pretendere di modificare il nome delle creature di Evangelion ha il sapore di una presa di posizione faziosa e inutile. La pretesa di chi, evidentemente, sentiva il bisogno di dire la propria in nome di una presupposta fedeltà. Una fedeltà che, ripetiamo, sarebbe plausibile se non esistesse disambiguazione, ma così non è.

La questione degli Angeli, che proprio nelle ultime ore infiamma i fan italiani, è comunque del tutto superflua se si considera un qualcosa che, a giudizio di chi vi scrive, è forse molto più grave. L'adattamento scelto da Netflix è infatti spesso incomprensibile e forzatamente barocco, e cerca delle costruzioni grammaticali inspiegabili, se non proprio errate. Gli errori sono numerosi, e si manifestano in ogni episodio, e fa specie che si scontrino persino con i più accurati sottotitoli, che non seguono le logiche dell'adattamento, optando per una traduzione più logica, per quanto forse meno “divertente”.

Per altro facendo un veloce passo indietro, genera quanto meno un sorriso il fatto che i testi relativi all'anime presenti su Netflix, come ad esempio la sintesi dei vari episodi, facciano uso della parola “angeli”.

Giusto per farvi un esempio che, personalmente, mi ha fatto seriamente riflettere sulla qualità del lavoro svolto, nel terzo episodio della serie, l'arrivo di un angelo (o apostolo se proprio ci tenete) porta la città di Neo Tokyo-3 in stato di allerta, obbligando i civili a rifugiarsi negli appositi bunker sotto l'occhio attento della NERV, ovvero l'organizzazione militare che si occupa di combattere le creature. L'anime mostra i vari passaggi della messa in sicurezza degli edifici e delle persone, ed al minuto 12:25, quando viene chiesto ad un componente della NERV se le persone siano state messe al sicuro, questi risponde (e citiamo testualmente): “ci è giunto comunicato che hanno già completato di prendere rifugio”. Attivate i sottotitoli, e qualcuno evidentemente più illuminato tradurrà il tutto con “l'evacuazione risulta completata”.

Il problema? Qualcuno deve aver pensato che valesse la pena ignorare le regole della lingua italiana, nonché il buon senso, per tradurre in modo pressoché letterale le espressioni utilizzate in lingua originale, con tanto di ricopia della costruzione sintattica. Non val neanche la pena discutere se sia giusto o meno, perché per quanto (forse) possa essere lodevole la volontà di preservare gli schemi della sintassi originale di un prodotto, ne converrete che ogni buona volontà si perde se poi il risultato stona pesantemente con le regole della lingua in cui poi il prodotto deve essere fruito. E badate, questo è solo un esempio eclatante tratto da uno degli episodi visionati prima di scrivere questo articolo (per la precisione ci si è fermati al numero 5: Rei, al di la del suo cuore), ma di esempi ce ne sarebbero ancora e ancora. La sostanza è quella di un lavoro che nella sua volontà di essere preciso in modo assoluto finisce per essere sciatto, deturpando persino la visione di quello che è un prodotto originale di livello assoluto.

E dire che sarebbe bastato pochissimo per portare a casa il risultato. Pur capendo la volontà di creare un adattamento più fedele, bastava rispettare la lunga tradizione dettata dalla nomenclatura nostrana, anche quando magari non proprio precisissima, procedendo alla traduzione dei dialoghi con un adattamento fedele ma grammaticalmente corretto. Un lavoro che, a ben pensarci, dovrebbe essere la base di qualunque adattamento, secondo un principio che non vuole per forza insegnare agli altri a fare il proprio lavoro (e ci mancherebbe), ma che vorrebbe semplicemente suggerire l'utilizzo di una logica del buon senso.

Se in virtù di una “fedeltà a tutti ci costi” si perde il comune rispetto della lingua, allora non ha senso parlare di adattamento e del valore della lingua in sé. Proprio per la delicatezza del compito, nella personalissima idea di chi vi scrive, il compito del responsabile dell'adattamento dei dialoghi dovrebbe scegliere non di privilegiare la lingua originale, in quanto per forza migliore della lingua in cui poi si adatterà (ed a prescindere che sia l'italiano), ma di dare invece lo stesso valore tanto all'idioma originale, quanto a quello in cui si effettuerà la traduzione. Per quel che ci riguarda, sacrificare le regole della sintassi italiana, in virtù di una pretestuosa traduzione dal giapponese, per supposta tesi di “rispetto linguistico”, non ci sembra un'idea particolarmente illuminata, semmai una barbarie.

Evangelion è tornato, sì. Ed è ancora quel cult epocale capace di mandare in tilt i sensi ma voi, se proprio dovete fruirne, a prescindere che siate fan o meno, optate per il doppiaggio originale supportato dai sottotitoli. Quelli, almeno, nella loro sintesi, hanno il buon gusto di ricordarsi le buone regole dettate dalla scuola dell'obbligo: soggetto, predicato e complemento.

Nonostante sia nato direttamente come un anime, Evangelion è stato poi trasposto anche in una vendutissima serie manga, perché non dargli una chance?