Tredici, uno show discusso e discutibile

La serie teen drama del momento ha sollevato un polverone mediatico senza precedenti. Vale la pena vederla oppure è il caso di dimenticare Hannah Baker e il suo gesto estremo?

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a cura di Andrea Balena

Quando una serie TV si può veramente definire un successo? La risposta più corretta e ampia sarebbe "quando se ne parla, nel bene e nel male". Viviamo nell'era dell'informazione e della visibilità, dove non è più importante il contenuto del discorso ma come viene pronunciato e quante persone lo ripetono in coro. La serie Netflix Tredici (o 13 Reasons Why in originale) sposa perfettamente questo pensiero, in quanto propone una storia dalla sceneggiatura non perfetta e altamente controversa, che non ha mancato di infiammare le tastiere degli appassionati. Eppure lo show non si propone come uno spunto di riflessione per il tema del bullismo, ma preferisce essere una cruda invettiva senza approfondimenti.

13 reasons why

Il centro della discussione è il personaggio principale e demiurgo della vicenda, quella Hannah Baker (Katherine Langford) il cui suicidio ci viene rivelato sin dai primi momenti. La famiglia e la scuola sono ancora in pieno shock e vogliono risposte sul suo gesto improvviso. Il protagonista nonché punto di vista dello spettatore è Clay (Dylan Minnette), un ragazzo introverso, gentile e innamorato della defunta Hannah. Un giorno gli vengono consegnate delle vecchie audiocassette registrate da lei in persona, in cui incolpa tredici persone a causa delle quali si è tolta la vita, una lista di cui apparentemente pure Clay fa parte.

La vicenda si snoda in un continuo alternarsi fra passato e presente, dove a guidarci è la voce narratrice delle cassette di Hannah, che ripercorre il suo ultimo anno di vita sin dal trasferimento nella cittadina per passare alle sue prime amicizie scolastiche e le tante delusioni che le hanno dato, ma soprattutto i tanti episodi di bullismo e bodyshaming che ha subito da praticamente chiunque. Molte delle persone che incolpa non sono malvagie in senso stretto, ma le loro azioni, per quanto piccole e circoscritte possano essere, hanno avuto ripercussioni enormi sul suo quotidiano. Nel presente seguiamo una storyline più simile a un thriller ambientato fra i banchi di scuola, con Clay che ricerca la verità degli avvenimenti narrati in ogni cassetta. Scoprirà, anche a sue spese, che il Liberty High è una realtà molto più oscura e complicata di quanto appaia, che lo staff e gli adulti ignorano.

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Non aspettatevi però chissà quale profondità e originalità: Tredici è un teen drama fatto e finito, e come tale usa il filtro degli adolescenti per cercare una spiegazione a ogni evento illogico o superficiale che avviene su schermo. Lo show soffre di una sceneggiatura sviluppata male, frammentata e rattoppata peggio. Le fondamenta della vicenda di Hannah sono fragili e il suo suicidio non viene pienamente giustificato. Anzi, sembra quasi che tutti gli elementi - le cassette, le regole da seguire e ovviamente l'atto finale - siano parte di un elaborato piano di giustizia, piuttosto che l'abbandono della vita da parte di una ragazza depressa. Una depressione che neanche viene messa in scena, se non nell'ultima puntata.

Paradossalmente la depressione e la frustrazione di Clay e di un altro personaggio secondario invece vengono mostrati in maniera articolata e fin troppo esaustiva, l'evidente prova di uno scrittura mal calibrata. La caratterizzazione dei personaggi vive di alti e bassi, dovuti più alla strana e anacronistica decisione di rappresentare molti di questi come stereotipi - quasi ai livelli che si possono trovare nelle pellicole degli anni '80 - che uniti a dialoghi assolutamente legnosi e artificiosi non fanno che peggiorare la visione. Dei genitori e degli adulti neanche l'ombra, con la sola eccezione di quelli di Hannah che affrontano il dolore della sua scomparsa e pretendono risposte dall'istituzione scolastica, ma che assurdamente erano all'oscuro della sua situazione.

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La messa in scena non si dimostra eccezionale né capace di stupire: assolutamente piatta e standard, con qualche buon passaggio fra passato e presente, alternando due stili di fotografa diversi nei colori (simili alle soluzioni adottate in Better Call Saul). Infastidisce particolarmente la ricerca ossessiva per il cliffhanger in molte puntate, piazzato strategicamente per risvegliare l'interesse dello spettatore, che risulta spesso forzato, slegato dagli eventi narrati nella puntata, presentati al solo scopo di smuovere le vicende.

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Anche considerando l'immenso successo che la serie ha ottenuto, risulta difficile capire le ragioni per consigliarne la visione. Non eccelle in nessun campo, risulta pesante da vedere per le tematiche trattate e per come le rappresenta, non offre una morale salutare per gli adolescenti. La storia di Hannah si è quasi del tutto esaurita, ma i produttori hanno già dato il via libera per una seconda stagione, che continuerà la narrazione da dove è stata interrotta. Ha senso? Per noi è solo una mossa commerciale un filino becera.