True Detective S01, un cult istantaneo per molti

Comparsa come un fulmine a ciel sereno, la prima stagione di True Detective ha stregato il pubblico televisivo di tutto il mondo con una storia noir forte e audace nelle tematiche, accompagnata da una cura visiva più unica che rara.

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a cura di Andrea Balena

Cosa definisce lo status di "cult" per un'opera? I fattori sono molteplici e variano da medium a medium, specialmente nei sotto-generi della settima arte. Ogni spettatore è libero di dire la sua su un determinato prodotto, e siate certi che la probabilità che due opinioni coincidano sono veramente basse! Una serie cult è quindi uno show che, oltre al successo economico, porta con sé una sorta di "acclamazione universale", dove tutti, ma proprio tutti, ne riconoscono i pregi e le innovazioni.

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True Detective, l'opera prima dello scrittore Nic Pizzollatto e del regista Cary Fukunaga, è considerata una vera mosca bianca nel panorama televisivo. Questa serie è divenuta talmente famosa da esser l'argomento per saggi e analisi, in particolare sulla riuscita e affascinante figura del protagonista Rust Cohle, interpretato dal premio Oscar Matthew McConaughey. Lo show ha avuto anche il merito di rinnovare l'interesse verso le serie antologiche (con stagioni autoconclusive e con interpreti sempre diversi), fino ad allora un campo in cui si distingueva solo American Horror Story.

Lungo le 8 puntate assistiamo alla vicenda dei due detective Rust e Marty (Woody Harrelson), che seguono il lungo caso di un serial killer di giovani ragazze nelle paludi della Louisiana dal 1995 al 2012, anno in cui il fascicolo viene misteriosamente riaperto. Ormai in pensione, i due ex colleghi raccontano davanti a una telecamera i retroscena della loro investigazione, in un lungo flashback che svela il loro travagliato rapporto di amicizia e odio e che mostra quanto i due siano legati indissolubilmente dagli indescrivibili orrori a cui hanno assistito.

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La storia risulta atipica per il genere: viene posto il focus sui protagonisti e la loro caratterizzazione, mentre l'investigazione è lasciata in secondo piano e trattata nel modo più freddo e distante possibile. I personaggi sono rappresentati come specchi infranti, incapaci di vedere il proprio riflesso e di evolversi, intrappolati in quel flat circle che è il tempo. Da una parte abbiamo Marty, un padre di famiglia ottimista e responsabile, il quale però nasconde forti insicurezze che cedono il passo a vizi e adulteri; dall'altra il suo opposto Cohle, segnato dal lavoro sotto copertura nella Narcotici e da traumi personali che lo hanno portato ad essere un nichilista. Due figure agli antipodi ma complementari nel loro lavoro, anche se con una buona dose di conflitti interni.

Grazie alla presenza di un singolo sceneggiatore e un unico regista, il prodotto risulta compatto e si evolve gradualmente, con un ritmo che sale esponenzialmente e non viene mai intaccato. L'autore ha dichiarato che True Detective è nato per rispettare uno schema in tre atti, tipico della narrativa cinematografica. La presenza dei flashback crea però un altro livello narrativo che si rapporta di continuo con il filone principale. Senza la presenza di filler, lo show acquisisce una struttura a scatole cinesi che continua a espandersi fino alla bellissima conclusione.

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La regia di Fukunaga si rivela l'elemento più sorprendente del pacchetto. I grandi campi larghi dei suoi shot, uniti a una fotografia dai toni grigi con appena una punta di colori caldi, rappresentano la Louisiana come una terra desolata, dove la presenza umana ci viene a malapena comunicata con chiese diroccate o austeri edifici pubblici quasi deserti. I momenti più spiazzanti sono anche qui legati all'ambigua figura di Rust: attraverso il suo punto di vista assistiamo a misteriose visioni mistiche; lo sceneggiatore non chiarisce mai pienamente se siano il frutto della sua immaginazione o effetti retroattivi della droga, e nemmeno se il personaggio le veda o meno. Le sequenze d'azione colpiscono per la loro intensità, come ben rappresentato nel lungo e complicato piano sequenza del quarto episodio.

True Detective è una serie che ha mischiato sapientemente le carte in tavola della serialità moderna e che ha polarizzato il pubblico. Accanto ai tanti sostenitori vi sono alcuni detrattori che le imputano una eccessiva pesantezza e lentezza. Invito alla visione chi ancora non lo conosce, per poterne discutere in seguito. In Italia la trovate doppiata su Sky Atlantic ma a chi può, come sempre, consiglio di seguirla in lingua originale per non perdersi la parlata lenta ed efficace con accento texano di quel visionario (o pazzoide) di Rust Cohle.

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Prossimamente parleremo della seconda e criticatissima stagione e come sia riuscita a deludere il gigantesco hype suscitato dalla prima annata.