Vite a fumetti: Thomas Pistoia racconta Batman

Vite a fumetti: Thomas Pistoia ci guida in un viaggio alla scoperta dell'animo di uno dei simboli del fumetto supereroistico, Batman

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a cura di Tom's Hardware

Non è un fumetto. Non è nemmeno un cartone animato. Non è il personaggio di un telefilm, di un film, o di un videogioco. Attenzione a non confonderlo con i media attraverso i quali si manifesta, sarebbe un grave errore. Significherebbe assimilarlo a decine di altri eroi e supereroi , che dal secolo scorso svolazzano e combattono, tentando invano di eguagliarne il carisma, di avvicinarsi alla leggenda. No. Lui è diverso. Lui è di più.

Batman è prima di tutto spirito, ideale. Batman è il desiderio di giustizia che c'è in ognuno di noi. Il desiderio di una giustizia imperterrita, infinita, mai doma, a volte anche fallibile, comunque irrinunciabile. Non voglio parlare qui del personaggio, della sua storia, non direi niente di nuovo. Vorrei invece sottolineare l'utopia, il bisogno platonico di porre fine al crimine; questo è ciò che lo anima, questo lo tortura.

L'animo di Batman

La fisima, la mania, derivano dal trauma vissuto nell'infanzia, va bene, ma Il Cavaliere Oscuro incarna, in realtà, una tensione verso il mondo che tutti noi vorremmo, quello in cui il bene, anche a costo di enormi perdite e sacrifici, vince sul male e sulla cattiveria. Una necessità che sentiamo tutti, perché fa parte del nostro essere umani, così come è umana la ricerca delle possibili soluzioni.

Sì, sono estetici, divini, gli esseri superiori invulnerabili, con capacità straordinarie, ma sono irrimediabilmente finti, impossibili. Li leggiamo, li guardiamo al cinema, ma mentre lo facciamo li sentiamo come svago, come sogno, narrazione, avventura. Batman, invece, pur nella sua veste di personaggio di fantasia, è umano, perfettibile, e il fine a cui tende spasmodicamente, fa parte di noi.

Così il pipistrello diventa un simbolo, in tutte le sue versioni, da quella sguaiata di Adam West, a quella bambinesca di Hanna&Barbera, a quella di tutti gli altri, O’Neil, Miller, Moore, Morrison, Lansdale, ecc. ecc. Nei Batman di tutte le epoche, con ogni autore, in un modo o nell'altro, emerge questo elemento umano, diverso e per molte ragioni migliore rispetto a quello degli altri eroi. Lo ha spiegato bene Nolan nella sua trilogia, quando nel primo e nel terzo film fa dire a Bruce Wayne:

“Come uomo di carne e ossa mi possono ignorare o schiacciare, ma come simbolo... come simbolo potrei essere incorruttibile. Potrei essere immortale.” (Batman Begins)

 “L'idea era essere un simbolo. Batman poteva essere chiunque, era quello il punto.” (Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno).

 

Ecco il punto: possiamo sognare di essere Superman, ma il sogno resterà irrealizzabile. Invece tutti possiamo essere Batman. Basta essere onesti, basta rifiutare, odiare qualunque forma di sopraffazione, di prepotenza, di violenza, i tre ingredienti fondamentali del crimine. Basta avere il carattere, la coerenza, essere disposti al sacrificio.

La vera forza di Batman non sta nel suo addestramento, non sta nella sua attrezzatura. Sta nella volontà incrollabile di riscatto del bene. Perseguirebbe il suo obiettivo anche se privato delle sue prerogative. Anche senza armi, senza arti marziali, senza cappuccio e mantello. Lo fa ad esempio nel ciclo KnightQuest (1994), quando, dopo essere stato sconfitto da Bane, nei panni di Hemingford Gray, combatte anche con la schiena spezzata, brandendo il bastone che gli serve per camminare e qualsiasi altro oggetto gli capiti sotto mano.

 Batman combatte finché c'è vita, con quello che ha, senza mai lamentarsi, è sufficiente che sia giusto farlo.

Notevole la riflessione di Dick Grayson/Nightwing nel ciclo Prodigal (1996). Nell'episodio “One night in the war zone”, dopo aver passato una notte di caccia ai criminali nei panni di Batman (su richiesta di Bruce Wayne), il giovane pensa che “ci vuole fegato per portare un pistrello sul cuore”. Inutile ricordare che lo sta dicendo uno che è stato anche Robin, vale a dire ha combattuto a fianco di Batman sin da ragazzino, dovrebbe essere abituato. Alla fine della storia aggiunge:

“Non si ferma mai. Non finisce mai… E se un intero corpo di polizia può subire e demoralizzarsi, come può un solo uomo, perso in un'eterna notte di violenza sopportarlo? Può farlo solo se è motivato molto più di un uomo normale... […] Bruce, torna… La notte ha bisogno di te. E tutto quello che posso fare è maledire il pipistrello che mi attanaglia il cuore.”

 Il pipistrello sul cuore, lo spirito, il bisogno di giustizia, eccolo, incrollabile nella supplica rivolta al vero Batman. Perché, come tutti i simboli, lui può non finire mai, non arrendersi mai, resistere per sempre. “Lui può sopportarlo” direbbe Nolan. Deve farlo, perché è l'esempio, il modello a cui tendere. Come dice lo stesso Cavaliere Oscuro in un'altra occasione:

"Sai quante volte me lo sono sentito ripetere? Riposa in pace, Batman! Non hai scampo, Batman! E' tempo di morire, Batman! Ogni notte. Ancora e ancora e ancora. Per molti anni. E' la tua fine, Batman! Ogni dannata notte. Eppure… Sono ancora qui."

Il pipistrello sul cuore

Questa forza di volontà così semplicemente umana è la vera forza del giustiziere. Nessun super potere, solo un pipistrello sul cuore, a volte così pesante da portare. Nella nostra realtà esistono uomini e donne che portano il pipistrello sul cuore, anche se non lo sanno, anche se non lo vedono, anche se magari non hanno mai letto un albo o visto un film.

Mi permetto di ricordare, ad esempio, una persona che non ho avuto il piacere di conoscere, lui sì, Batman lo aveva di certo letto (eccome! Anche tradotto.). Ecco, un uomo che fa da apripista a tir carichi di medicinali, armato solo delle insegne della Croce Rossa, come ha fatto Enzo Baldoni mentre attraversava una zona di guerra, sì, uno così, per me, ha per forza il pipistrello sul cuore. E tutta la vicenda che lo ha visto protagonista fino alla sua fine, non fa che dimostrarlo.

Per me, Gino Strada ha il pipistrello sul cuore. Ce l'hanno avuto anche Falcone e Borsellino. Ce l'ha Di Matteo.

Hanno indossato il pipistrello Mandela, i vigili del fuoco di Chernobyl e Giuseppe Girolamo, l'uomo che, durante il naufragio della Costa Concordia, cedette la scialuppa di salvataggio su cui stava per salire a una famiglia con dei bambini. Li nomino così, a caso, i primi che mi vengono in mente, più o meno conosciuti. L'elenco può continuare all'infinito. Sono quelli che quando gli dici “vieni via, hai già dato tutto”, ti rispondono “non tutto, non ancora”.

Il pipistrello, dunque, possiamo indossarlo anche noi, uomini e donne, nel nostro quotidiano. Se lo vogliamo, possiamo essere Batman. Senza cappuccio, senza mantello. Facendo il nostro dovere.

E non venite a dirmi che faccio retorica, non è retorica, anzi, è il motivo sacrosanto per cui vanno mandati affanculo quelli che considerano i fumetti roba da bambini. Quelli che li considerano inferiori, roba di serie B.

Tutte le vite del Pipistrello

Io non lo so se Bob Kane e Bill Finger (al netto della diatriba sulla paternità del personaggio) fossero consapevoli di quello che stavano creando. Direi di no. In fondo avevano ideato un tizio mascherato con un costume da pipistrello, nulla che facesse presagire un simile successo a livello planetario, né il significato che il personaggio avrebbe assunto in futuro. E sicuramente non ne erano coscienti neanche gli autori dei decenni successivi, quale che fosse il media su cui agivano.

La leggenda sembra quasi essersi difesa da sola, tra le loro mani, anche quando per discutibili motivi di marketing, l'eroe veniva cambiato in peggio e ridicolizzato. L'ideale che incarna ha sempre resistito al tempo e alle mode. Forse è un demone che, quando gli autori esagerano, si impossessa di loro e pone rimedio. Così potete cambiargli costume, renderlo più o meno tecnologico. Potete farlo danzare o farlo parlare con una scimmietta. Potete guardarlo in film orribili come quelli di Schumacher, Snyder e Whedon. Potete trasformarlo in un pupazzetto della Lego. Potete fargli subire un'atroce sconfitta, o addirittura farlo morire. Lui tornerà sempre, proprio perché umano. Proprio perché leggenda.

E la sua umanità si fa ancora più evidente quando cogliamo nei suoi comportamenti l'assenza di serenità, il disagio, la follia. Sì, anche quando viene fuori la sua anima più oscura e gotica, Batman è un uomo. Un uomo che, dopo decenni, parla con il suo acerrimo nemico perché

“Non lo conosco, Alfred. Tutti questi anni e non so niente di lui. E lui non sa niente di me. Come possono due persone odiarsi tanto senza neanche conoscersi?” (The Killing Joke, 1988)

 E scopre di non essere poi così diverso dal Joker. Due matti su un fascio di luce sospeso tra i tetti. Il Joker è l'avversario che, nella sua immensa malvagità, gode nel rammentare più volte al Cavaliere Oscuro le sue debolezze. Gli sbatte in faccia la difficoltà dell'essere simbolo, del voler rappresentare, ancora una volta umanamente, la giustizia. E quando lo fa, gli causa più dolore di quando lo colpisce fisicamente.

“Ho dimostrato la mia teoria. Ho provato che non c'è nessuna differenza tra me e gli altri. Basta una brutta giornata per ridurre l'uomo più assennato del pianeta a un pazzo. Ecco tutto ciò che mi separa dal resto del mondo. Solo una brutta giornata!” (The Killing Joke, 1988)

“Per loro, sei solo un mostro. Come me! Ora gli servi. Ma tra un po'... ti cacceranno via. Come un lebbroso! La loro moralità, i loro principi sono uno stupido scherzo. Li mollano appena cominciano i problemi. Sono bravi solo quanto il mondo permette loro di esserlo. Te lo dimostro: quando le cose vanno male, queste... persone "civili" e "perbene" si sbranano tra di loro. Vedi, io non sono un mostro; sono in anticipo sul percorso.” (Il Cavaliere Oscuro)

 E non sono solo gli avversari a sottolineare queste vulnerabilità. C'è anche l'ironia caustica di Alfred.

- Alfred.

- Signore.

- Quando è successo ai miei genitori. Come mi hai... Aiutato?

- Padron Bruce, con tutto il rispetto... Lei esce tutte le notti da questa splendida villa per lanciarsi dai grattacieli vestito da pipistrello gigante. Davvero pensa che io l'abbia aiutata in qualche modo?

(Batman Rinascita n. 6 - Io sono Gotham, 2011)

Ma l'uomo Batman (perché la maschera è Bruce Wayne) è caduto così tante volte che ormai ha imparato a rialzarsi e recupera sempre il senso della sua esistenza.  

 “Vuoi sapere che cos'è il potere? Il vero potere? Non è togliere una vita, è salvarla. È guardare qualcuno negli occhi... e scorgere quella scintilla di comprensione... nell'istante in cui si rende conto di una cosa che non dimenticherà mai... Ti è debitore. A te restano solo cicatrici... [...] Vuoi sapere che cos'è il potere? Il vero potere? È guardare qualcuno negli occhi... nell'istante in cui si rende conto di una cosa che non dimenticherà mai... Ti è debitore. Gli hai salvato la vita.” (Batman: Gotham Knights)

 Insomma, non esiste nessun altro eroe in grado di competere con lui, perché Batman è soltanto  un uomo. “Sì, ma è l'uomo più pericoloso della terra”, dice Superman, ai marziani che lo tengono prigioniero. Nessuno può saperlo meglio dell'uomo d'acciaio che, da lui, ha preso più volte un fracco di botte.

E Darkseid in “Apocalypse” si complimenta:

“Bella mossa. Se il kryptoniano o l'amazzone avessero tentato questo azzardo, avrebbero perso. Loro non avrebbero mai la forza di distruggere un intero pianeta pur di raggiungere il loro obiettivo. Ma tu sei un umano.”

Un uomo solo. Solo contro tutti, a volte anche contro i suoi alleati, quando teme che possano in qualche modo ostacolare i suoi principi.

Batman l'immortale

Potrei citare altre millanta storie, potrei cercare di spiegare ancora cos'è che rende Batman così importante, non soltanto per me. Ma una leggenda così radicata nell'immaginario mondiale non ha bisogno di altre parole. E' qualcosa di vivo, non un fumetto. Nemmeno un cartone animato. Qualcosa di vivo, non il personaggio di un telefilm, di un film, o di un videogioco.

Esiste, è dentro di noi. E ci sopravvivrà.

Altre generazioni, le prossime, passeranno il tempo con lui.  Ci saranno bambini che ne seguiranno le avventure in Tv, al cinema e (speriamo) ancora e sempre nei fumetti. Bambini che, come accade oggi a noi, da grandi, si renderanno conto di avere dentro qualcosa di più. Padri di famiglia che, davanti a uno specchio, apriranno la camicia e vedranno, soltanto loro, un pipistrello nero dentro un elisse gialla, al centro del proprio petto.

E basterà questa magia, per un po', a renderli felici.

Thomas Pistoia è scrittore, poeta e sceneggiatore di fumetti. Tra i suoi lavori il romanzo La leggenda del Burka, e numerose sceneggiature per Sergio Bonelli Editore, tra cui La lunga marcia e Fuga da Europa, entrambe storie di Nathan Never. Quando non è impegnato a scrivere, veste i panni del Cavaliere Oscuro, ma questo è un segreto.