L'industria dei semiconduttori, che vale centinaia di miliardi di dollari e produce quotidianamente miliardi di transistor presenti nei nostri smartphone e computer, potrebbe presto mettere la sua esperienza al servizio di una rivoluzione tecnologica ancora più ambiziosa. I ricercatori australiani della UNSW hanno infatti dimostrato che è possibile costruire i componenti base dei computer quantistici utilizzando gli stessi processi produttivi che già oggi creano i chip tradizionali, aprendo una strada concreta verso la realizzazione di macchine di calcolo quantistico su larga scala.
La sfida dell'equilibrio impossibile
Gli ingegneri si trovano di fronte a un paradosso apparentemente irrisolvibile quando si parla di quantum computing. Da un lato devono proteggere gli elementi di calcolo da qualsiasi interferenza esterna che potrebbe compromettere le delicate operazioni quantistiche. Dall'altro, questi stessi elementi devono necessariamente comunicare tra loro per eseguire calcoli significativi. Questa tensione ha dato vita a diverse tipologie di hardware quantistico: alcune piattaforme eccellono nella velocità di esecuzione ma soffrono di disturbi, altre mantengono una purezza quantistica eccellente ma risultano difficili da far funzionare e ampliare. Il team australiano ha scelto di puntare su una delle tecnologie più promettenti ma finora limitate: lo spin nucleare degli atomi di fosforo impiantati in chip di silicio. Come spiega il professor Andrea Morello della UNSW, "lo spin di un nucleo atomico rappresenta l'oggetto quantistico più pulito e isolato che si possa trovare allo stato solido", una caratteristica che però fino ad oggi ne ha limitato le possibilità di interconnessione.
Quando gli elettroni diventano telefoni
La ricerca, pubblicata sulla rivista Science lo scorso settembre, ha risolto questo dilemma utilizzando gli elettroni come intermediari di comunicazione tra nuclei atomici distanti. La dottoressa Holly Stemp, che ha guidato lo studio, utilizza una metafora efficace per spiegare il breakthrough: "Fino ad oggi, i nuclei erano come persone rinchiuse in stanze insonorizzate. Potevano conversare chiaramente tra loro solo se si trovavano nella stessa stanza, ma non sentivano nulla dall'esterno e lo spazio era limitato".
Venti nanometri che cambiano tutto
I numeri dell'esperimento rivelano l'importanza tecnologica della scoperta. La distanza tra i nuclei coinvolti era di circa 20 nanometri, un millesimo dello spessore di un capello umano. Pur sembrando minuscola, questa distanza assume proporzioni cosmiche nel mondo atomico: se ogni nucleo avesse le dimensioni di una persona, la separazione corrisponderebbe alla distanza tra Sydney e Boston. Ma il vero significato di questi 20 nanometri risiede nella loro compatibilità con l'industria esistente. Questa è precisamente la scala alla quale vengono prodotti i chip di silicio moderni che alimentano computer personali e telefoni cellulari. Come sottolinea la dottoressa Stemp, "ognuno di noi ha in tasca miliardi di transistor di silicio di circa 20 nanometri. Questo rappresenta il nostro vero breakthrough tecnologico: far comunicare i nostri oggetti quantistici più puri alla stessa scala dei dispositivi elettronici esistenti".
Dalla teoria alla produzione di massa
L'approccio sviluppato dal team australiano mantiene la compatibilità fondamentale con i metodi di produzione attuali dei chip. Gli atomi di fosforo sono stati introdotti nel chip utilizzando una lastra di silicio ultra-puro, dimostrando che non servono tecnologie produttive radicalmente diverse da quelle già consolidate. Il metodo elimina inoltre la principale limitazione precedente: la necessità che i nuclei atomici fossero collegati allo stesso elettrone. Come evidenzia il professor Morello, "la nostra tecnica è notevolmente robusta e scalabile. Qui abbiamo utilizzato solo due elettroni, ma in futuro potremo aggiungerne altri e modellarli in forme allungate per distribuire i nuclei ancora più lontano". Questa flessibilità rappresenta un vantaggio cruciale perché gli elettroni sono relativamente facili da spostare e modellare, permettendo di attivare e disattivare le interazioni con precisione e rapidità: esattamente ciò che serve per un computer quantistico scalabile.