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Macchie stellari, un nuovo metodo aiuta gli astronomi

Un nuovo modello chiamato StarryStarryProcess permette di mappare con precisione le macchie stellari, migliorando lo studio degli esopianeti.

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Avatar di Patrizio Coccia

a cura di Patrizio Coccia

Editor

Pubblicato il 03/09/2025 alle 14:57

La notizia in un minuto

  • Un nuovo sistema chiamato StarryStarryProcess permette di mappare le macchie stellari utilizzando i dati dei transiti planetari, rivelando che le stelle non sono dischi uniformi ma superfici complesse e macchiate
  • Il modello è stato testato su TOI 3884 b, un gigante gassoso a 141 anni luce di distanza, rivelando concentrazioni di macchie al polo nord della sua stella ospite
  • La futura missione NASA Pandora sfrutterà questa tecnologia per distinguere meglio i segnali stellari da quelli planetari, migliorando la ricerca di vapore acqueo nelle atmosfere degli esopianeti
Riassunto generato con l'IA. Potrebbe non essere accurato.

L’aspetto irregolare e macchiato delle stelle lontane non è più un mistero per gli astronomi. Un team di ricercatori ha sviluppato un innovativo sistema di mappatura che sfrutta i dati dei transiti planetari – quando un pianeta passa davanti alla sua stella – aprendo nuove prospettive nello studio degli esopianeti e della loro abitabilità. Il modello, chiamato StarryStarryProcess, segna un passo avanti rispetto alle tecniche tradizionali per analizzare le caratteristiche stellari.

Oltre la superficie perfetta: la vera natura delle stelle

Sabina Sagynbayeva, dottoranda alla Stony Brook University di New York e autrice principale dello studio pubblicato su The Astrophysical Journal, spiega che molti modelli assumono che le stelle siano dischi luminosi uniformi. “Guardando il nostro Sole sappiamo che la realtà è molto più complessa”, sottolinea. Il nuovo approccio consente infatti di stimare non solo il numero delle macchie stellari, ma anche la loro posizione precisa e le variazioni di luminosità che provocano.

Missioni come Kepler e TESS hanno rivoluzionato la scoperta degli esopianeti osservando le variazioni di luminosità durante i transiti. Normalmente le curve di luce mostrano un calo regolare, ma a volte compaiono picchi e avvallamenti che tradiscono la presenza di macchie stellari, simili a quelle del nostro Sole.

Quando le curve rivelano i segreti stellari

Il modello di Sagynbayeva si distingue perché integra i dati dei transiti con quelli sulla rotazione della stella. Questo permette di ottenere informazioni più accurate sul livello di “macchiettatura”, sull’angolo dell’orbita planetaria e sull’orientamento dell’asse di rotazione della stella rispetto alla Terra.

La conoscenza della stella aiuta a comprendere meglio il pianeta

Brett Morris, coautore e ingegnere software dello Space Telescope Science Institute, sottolinea che capire meglio la stella significa anche conoscere meglio il pianeta. Questo è cruciale per distinguere i segnali atmosferici - come il vapore acqueo, indicatore di abitabilità - dai disturbi generati dall’attività stellare.

Verso nuovi orizzonti con Pandora

Per testare il modello, il team ha analizzato TOI 3884 b, un gigante gassoso cinque volte più grande della Terra e 32 volte più massiccio, scoperto da TESS nel 2022 a 141 anni luce di distanza. L’analisi ha mostrato che la stella ospite presenta concentrazioni di macchie al polo nord, proprio lungo la traiettoria del pianeta durante i transiti.

Al momento, StarryStarryProcess elabora solo dati nel visibile, escludendo le osservazioni infrarosse del James Webb Space Telescope. Ma la futura missione NASA Pandora, sviluppata dal programma Astrophysics Pioneers, potrà sfruttare pienamente questo approccio.

Come spiega Allison Youngblood, scienziata del progetto TESS presso il Goddard Space Flight Center, Pandora osserverà una ventina di mondi, migliorando la capacità di distinguere i segnali stellari da quelli planetari. Comprendere in dettaglio ogni componente di un sistema è infatti la chiave per decifrare il puzzle cosmico e, in ultima analisi, capire meglio il nostro posto nell’universo.

Fonte dell'articolo: www.sciencedaily.com

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