Vi siete mai chiesti come mai quando cambiate smartphone, o in seguito a un aggiornamento software, o ancora in alcune applicazioni specifiche, la tastiera del vostro smartphone non sembra funzionare come d'abitudine?
Per qualche strana ragione sembra di fare più errori quando si scrive, come se gli input non venissero interpretati correttamente. Ecco, questo perché effettivamente state facendo più errori, o meglio, li avete sempre fatti ma la tastiera del vostro smartphone li ha corretti al posto vostro prima che avvenissero.
Ogni volta che digitiamo un messaggio, dietro quel semplice tocco sul vetro si attivano sensori capacitivi, algoritmi di correzione automatica e motori di intelligenza artificiale che lavorano in perfetta sincronia. Il risultato? Restituire all'utente la sensazione di essere precisissimo anche su schermi di piccole dimensioni, mostrandogli quasi sempre il testo che pensa di avere scritto correttamente.
Come funziona?
La tecnologia che consente di scrivere sugli schermi touch ha attraversato un'evoluzione straordinaria, passando dai primi rudimentali sistemi predittivi agli attuali modelli di machine learning capaci di apprendere le nostre abitudini linguistiche e predire le parole che stiamo scrivendo. Comprendere il funzionamento di questi sistemi significa apprezzare la complessità ingegneristica nascosta dietro un gesto apparentemente banale.
Il cuore delle tastiere degli smartphone moderni risiede nei sensori capacitivi integrati sotto il display touchscreen. Questi componenti creano un campo elettrostatico sulla superficie dello schermo che viene continuamente monitorato dal processore del dispositivo.
Quando il dito dell'utente, conduttore naturale di elettricità, entra in contatto con il vetro, genera una distorsione localizzata del campo elettrostatico e a questo punto il sistema calcola le coordinate precise del tocco attraverso una griglia di sensori microscopici distribuiti su tutta l'area del display.
La velocità di campionamento di questi sensori raggiunge centinaia di rilevazioni al secondo, permettendo di tracciare con precisione millimetrica non solo i singoli tocchi ma anche i movimenti continui del dito.
Questa capacità di rilevamento multi-touch è fondamentale per funzionalità avanzate come la digitazione a scorrimento e lo "scrolling". Il tempo di risposta tra il tocco fisico e il riconoscimento software si misura in millisecondi, garantendo un'esperienza sempre fluida e reattiva.
La vera magia, però, risiede in due aspetti fondamentali: le zone di tocco dinamiche e la Logia Fuzzy.
La prima tecnologia, sviluppata in gran segreto dall'ingegnere di Apple Ken Kocienda, fa si che mentre digiti, la tastiera "indovina" quale lettera potresti voler premere dopo, ingrandendo invisibilmente l'area sensibile di quel tasto.
Se scrivi la lettera "N", il software, basandosi sul dizionario della lingua di sistema con la quale viene configurata la tastiera, sa che è improbabile che la prossima lettera sia "Z" o "X".
Quindi, anche se visivamente la tastiera resta uguale, l'area sensibile delle vocali e delle consonanti che potrebbero essere associate a quella lettera, diventa più grande, "rubando" spazio ai tasti vicini inutili, portando il software a far si che se il tuo dito cade tra la "O" e la "P", il sistema registrerà la "O" perché sa che ha senso linguisticamente.
La Logica Fuzzy, invece, prevede che quando si tocca lo schermo, non si preme un punto preciso, ma un'area ovale assimilabili alle dimensioni medie di un polpastrello.
Il software calcola il centro di quell'area e usa un dizionario probabilistico per capire che cosa si volesse realmente scrivere basandosi sulle lettere vicine.
Ok ma lo ha davvero inventato Apple?
Questa è una domanda che viene fuori sovente, perché tocca uno dei punti più controversi della storia della tecnologia moderna. La percezione comune è che Apple abbia "inventato" tutto, ma la realtà è un mix affascinante di acquisizioni, marketing geniale e una feroce guerra legale.
Prima dell'iPhone gli schermi erano quasi tutti resistivi. Funzionavano a pressione (due strati di plastica che si toccavano) ed erano poco precisi, richiedendo quasi obbligatoriamente un pennino (stylus) di plastica per toccare i tasti minuscoli con la dovuta precisione.
Apple fu la prima a introdurre il primo smartphone di massa con schermo capacitivo e Multi-Touch. La vera invenzione di Apple è stata il software che ha reso possibile scrivere su un vetro con le dita grosse e imprecise senza impazzire.
Il problema delle tastiere fisiche è che i tasti sono lì anche se non ti servono... Vogliamo pulsanti che cambino in base all'app che stai usando e che non richiedano stylus per funzionare, visto che abbiamo già il miglior puntatore possibile integrato nel nostro corpo umano.
Steve Jobs
Quello che però pochi sanno è che Apple non ha creato questa tecnologia dal nulla nei suoi laboratori. La tecnologia capacitiva esisteva fin dagli anni '60 (il primo touchscreen capacitivo fu inventato al Royal Radar Establishment nel Regno Unito per il controllo del traffico aereo).
Per il Multi-Touch (la capacità di riconoscere due o più dita insieme), il merito principale va a un'azienda chiamata FingerWorks, fondata nel 1998 da Wayne Westerman e John Elias dell'Università del Delaware. Loro avevano creato tastiere "gestuali" per chi soffriva di sindrome del tunnel carpale (RSI).
Nel 2005, quindi, Apple acquisì in gran segreto FingerWorks, comprando tutti i loro brevetti e assumendo i fondatori all'interno dell'azienda.
Per questo motivo, quando Steve Jobs presentò l'iPhone nel 2007, sostenne più volte che Apple "avesse brevettato tutto!", visto che si riferiva in gran parte alla tecnologia che avevano comprato, brevettato e rifinito nel corso degli anni seguenti.
Brevetti aggressivi per un software magico
Apple ha depositato centinaia di brevetti. Il più famoso è il Brevetto USA 7,479,949: "Touch screen device, method, and graphical user interface for determining commands by applying heuristics".
Questo brevetto copriva cose specifiche come:
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Lo scorrimento verticale che si blocca se muovi il dito troppo in diagonale.
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Il celebre, e oramami di uso comune, Pinch-to-zoom.
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L'effetto "elastico" che fa si che quando si scorre una pagina fino alla fine, questa "rimbalza" per restituire un segnale visivo chiaro sul fatto che sia terminata.
Ma non finiva li, visto che praticamente ogni aspetto delle fondamenta degli attuali touchscreen era blindato da una serie di brevetti di proprietà di Apple che praticamente impedivano a chiunque di poter replicare quello schermo così rivoluzionario per il 2007.
Allora perché lo usano tutti?
Se il touch screen come lo conosciamo oggi era brevettato, come hanno fatto Samsung, Google e dozzine di altri produttori a replicarlo, affinarlo e migliorarlo nel corso degli anni?
Se pensate che queste aziende si siano limitate a pagare, vi sbagliate. La risposta sta tutta nella "Guerra Termonucleare" (parole testuali di Jobs che non potevo esimermi da riproporre) che Apple scatenò contro Android.
Apple fece semplicemente causa a tutti, specialmente a Samsung, chiedendo miliardi di dollari di danni, non appena il mercato degli smartpone cominciò a essere invaso dagli smartphone della concorrenza.
Solo che, sorprendentemente, Apple perse l'esclusiva su alcune delle tecnologie dietro al touch screen a causa di due errori per certi versi grossolani.
Il primo colpo arrivò con il concetto di "Prior Art" impugnato dagli avvocati di Samsung e Google che scavarono nel passato per dimostrare, appunto, che molte delle tecnologie implementate da Apple esistevano PRIMA dell'iPhone.
Mostrarono vecchi tavoli touch sperimentali (come il DiamondTouch di Mitsubishi del 2001) che usavano già lo zoom a due dita, portando l'ufficio brevetti americano a invalidare e indebolire molti degli elementi chiave precedentemente blindati da Apple (incluso il famoso "pinch-to-zoom"), poiché non risultarono abbastanza "inediti" da essere brevettati in esclusiva.
Dopodiché vennero appuntati ad Apple dei brevetti troppo generici. I giudici, difatti, stabilirono che certi gesti erano troppo generici, e soprattutto di uso comune per il genere umano, per essere proprietà assoluta di un'azienda.
Il paragone fatto in quell'occasione fu davvero brutale: "sarebbe come se Ford avesse brevettato il volante rotondo e nessuno avesse più potuto costruire un auto".
Motivo per il quale venne fatto decadere il brevetto che rendeva esclusivo "il far correre un dito per muovere una pagina", ritenuto un comportamento "ovvio" per un'interfaccia touch.
Alla fine, dopo anni di tribunali e centinaia di milioni spesi in avvocati, le aziende hanno capito che bloccarsi a vicenda danneggiava solamente il business su scala globale. Apple, Samsung, Google e i produttori dell'epoca firmarono degli accordi segreti, dove si ridimensionavano i brevetti che Apple avrebbe impugnato negli anni seguenti e si definirono delle cifre da far pagare una tantum, o degli scambi di brevetti utili fra aziende, per permettere alle altre aziende di sfruttare le tecnologie proprietarie di Apple.
Come si è evoluta nel corso degli anni?
Oltre alle dozzine di tecnologie implementate da Apple, una volta che tutti ebbero accesso alla tecnologia touch, molti aspetti vennero affinati e molte funzionalità introdotte negli anni, portandoci a dove siamo ora, con decine di aziende che realizzano la loro tastiera basandosi sui modelli resi celebri da Apple e Google, andando a rifinirle con caratteristiche inedite.
Fra queste novità la più celebre è la tecnologia swipe typing la quale rappresenta l'evoluzione più significativa rispetto alla digitazione tradizionale e che ha dato origine alle tastiere SwiftKey.
Il sistema registra l'intera traiettoria del dito sulla tastiera, memorizzando sia la sequenza di lettere attraversate sia la forma geometrica del percorso compiuto.li algoritmi di riconoscimento confrontano questo pattern con un database lessicale, identificando le parole che corrispondono alla sequenza tracciata.
La tolleranza agli errori è notevole: il sistema compensa movimenti imprecisi e traiettorie approssimative grazie a sofisticati modelli probabilistici, garantendo una minor presenza di typo anche quando le traiettorie sono pesantemente imprecise.
L'autocorrezione automatica (anch'essa arrivata in seguito), invece, prevede che un motore di correzione operi costantemente confrontando continuamente l'input dell'utente con un dizionario interno, calcolando la distanza di Levenshtein tra le lettere digitate e le parole conosciute.
La distanza di Levenshtein è l'unità di misura fondamentale utilizzata dal correttore automatico e dai motori di ricerca. In parole semplici rappresenta il numero minimo di modifiche che si deve fare a una parola per trasformarla in un'altra.
Quando viene rilevata una discrepanza, l'algoritmo valuta quante operazioni (inserimenti, cancellazioni o sostituzioni di caratteri) sarebbero necessarie per trasformare l'input in una parola valida. La scelta finale privilegia statisticamente le parole più comuni, ed è proprio questo approccio probabilistico a generare gli errori più frustranti ancora oggi.
Le limitazioni dell'autocorrezione emergono principalmente con nomi propri, neologismi, termini gergali o vocabolari tecnici assenti nei database di sistema. Il fenomeno diventa particolarmente evidente quando il sistema apprende schemi errati da correzioni precedenti, creando un circolo vizioso che rafforza sostituzioni indesiderate.
L'analisi contestuale, pur progressivamente migliorata grazie al machine learning, fatica ancora a comprendere l'intenzione comunicativa dell'utente in scenari linguisticamente ambigui, motivo per il quale in seguito all'autocorrezione venne implementata una nuova funzione diventata ben presto imprescindibile.
Il testo predittivo, difatti, rappresenta il vertice dell'integrazione tra tastiere virtuali e intelligenza artificiale. Nel corso degli anni, l'evoluzione dei motori predittivi ha portato a far si che questa funzione non si limiti a completare le parole in base alle prime lettere digitate, ma che vada ad analizzare il contesto dell'intera conversazione, l'orario della giornata, lo storico dei messaggi e persino il destinatario.
Gli algoritmi di apprendimento automatico costruiscono un modello linguistico personalizzato per ciascun utente, identificando espressioni ricorrenti, combinazioni di parole frequenti e preferenze stilistiche individuali.
Il sistema assegna punteggi probabilistici a diverse possibili continuazioni della frase, presentando le tre o quattro opzioni più probabili nella barra dei suggerimenti.
Questo processo computazionale avviene localmente sul dispositivo per questioni di privacy e latenza, sfruttando unità di elaborazione dedicate come le NPU (Neural Processing Unit) presenti nei SoC più recenti. L'accuratezza predittiva migliora esponenzialmente con l'utilizzo prolungato del dispositivo, poiché il modello linguistico si arricchisce continuamente di nuovi dati comportamentali.
I typo devono esistere
Ma con tutte queste innovazioni, com'è possibile che si compiano ancora dei typo? Questa domanda trova risposta nei laboratori di Apple, quando in seguito alla realizzazione delle zone di tocco dinamiche, si decise di non rendere l'uso della tastiera virtuale troppo facile per l'utente finale.
Per quanto fosse possibile, con i dovuti accorgimenti, far si che i testi venissero sempre precisi e privi di typo, questo avrebbe impigrito il cervello, che non avrebbe più avuto bisogno di compiere alcuna curva di apprendimento per realizzare quella memoria muscolare che lo avrebbe portato a digitare sullo schermo nella stessa maniera con cui lo avrebbe fatto su una tastiera fisica.
Motivo per il quale, si decise di bilanciare quella tecnologia, rendendola fallace quando gli errori di digitazione risultavano grossolani, ma evitando la frustrazione richiesta da una pressione precisa, quasi millimetrica, dei caratteri a schermo.
Allo stesso modo, tutte le tecnologie sopracitate, devono essere aggiornate armoniosamente all'interno di ogni applicativo presente negli smartphone odierni, motivo per il quale, se avete notato un incremento dei typo solo in questa o quella applicazione in seguito all'aggiornamento del sistema operativo del vostro smartphone, il motivo è da ritrovarsi in una lettura degli input diversa nelle applicazioni che vengono aggiornate meno frequentemente.
In conclusione, se vi stavate chiedendo come funzionano le tastiere degli smartphone, ora ne conoscete non solamente la complessa tecnologia che fa si che ogni singolo tocco porti al risultato sperato, ma sapete anche che Apple ha avuto il merito di prendere una tecnologia accademica, e di nicchia, e metterla nelle mani di tutti noi, cambiando per sempre il modo con cui ci relazioniamo con il nostro telefono cellulare.
Ovvio, Apple non ci ha "regalato" nulla, ma grazie a una spintarella legale che ha impedito che venisse brevettato il modo in cui gli esseri umani toccano le cose, oggi chiunque può scrivere semplicemente toccando uno schermo.