Atlas Fallen | Provato il nuovo titolo dei creatori di The Surge

Abbiamo provato Atlas Fallen, nuovo atteso titolo dai creatori di The Surge in arrivo il prossimo 13 maggio.

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a cura di Giacomo Todeschini

Editor

Di souls-like in questi ultimi anni ne abbiamo visti decisamente parecchi. Da ottime riproposizioni, come ad esempio i due Ni-Oh o il recente Wo Long Fallen Dynasty, fino ad arrivare a sbiadite copie della formidabile formula di gioco di From Software, passando ovviamente anche per titoli tutto sommato validi ma senza il giusto guizzo, come il comunque ispirato Steelrising. Un mercato, insomma, particolarmente pregno, di cui, oltre ovviamente alle indimenticabili opere di Hidetaka Miyazaki, mi è rimasta impressa la serie di The Surge. Al netto di una qualità e di una pulizia complessiva ovviamente non ai livelli dei vari Dark Souls, i titoli di Deck13 Interactive mi hanno infatti convinto, ghermendomi per diverse ore con le loro peculiari dinamiche e ambientazioni. Dei giochi, insomma, che porto con me e che hanno contribuito ad accendermi l’interesse verso Atlas Fallen, nuova avventura dello studio tedesco in uscita il prossimo 16 maggio. Un titolo che ho potuto provare in anteprima nei giorni scorsi e di cui sono finalmente pronto a parlarvi in maniera più approfondita.

Abbiamo provato il gioco con il seguente PC:

Dominatore delle sabbie

Atlas Fallen, sia chiaro fin da subito, non è un souls-like. Un qualcosa di evidente se avete avuto modo di vedere qualche trailer del gioco, ma che vale comunque la pena sottolineare data la nomea di Deck13 Interactive e l’incipit di questa anteprima. La futura opera dello studio tedesco assume infatti stilemi più da titolo action, con i combattimenti in particolare che risultano maggiormente dinamici e frenetici di quelli che ci si aspetterebbe di trovare in un souls-like. La presenza del doppio salto e degli scontri a mezz’aria sono dei limpidi esempi di tale direzione del gameplay, che si arricchisce infine delle oramai immancabili componenti da gioco di ruolo. Insomma, volendo per forza andare a inquadrare Atlas Fallen in una categoria, almeno per quanto ho visto in questo mio primo approccio con l’opera, questa sarebbe quella degli action-RPG, con il focus spostato più sulla componente action che su quella da gioco di ruolo. Andiamo però con ordine.

La versione di anteprima che mi ha gentilmente concesso Focus Home si apre a gioco inoltrato, ossia dopo tutte quelle fasi iniziali e di apprendimento che di solito contraddistinguono un titolo. Non mi è quindi stato possibile comprendere a pieno quello che è l’incipit narrativo di Atlas Fallen, se non tramite qualche rimando nei dialoghi, ma piuttosto di fare la conoscenza con quello che è l’impianto ludico del titolo. Sull’aspetto narrativo, insomma, non posso sbilanciarmi più di tanto, con Atlas Fallen che pare comunque andare a parare nella classica sinossi dell’antico artefatto e della civiltà scomparsa. Su tale aspetto bisognerà quindi aspettare una versione completa del titolo per saperne di più.

Quello che mi è stato dato sapere è che il mio alter ego digitale ha preso possesso di un portentoso guanto ancestrale e che è in compagnia di una sorta di sfera senziente, che ama raccontare di quelli che furono i tempi passati. Un artefatto, quello portato nella mano del protagonista, in grado di fornirgli incredibili abilità offensive e di movimento. Esso è infatti in grado di mutar forma, assumendo le sembianze di differenti armi, e conferisce al proprio utilizzatore la possibilità di manipolare la sabbia, oltre che altre skill decisamente utili, vedi il dash in volo. Un gingillo niente male, insomma, su cui ruota l’intero gameplay del titolo, intelaiatura da gioco di ruolo compresa.

In tale guanto è infatti possibile incastonare delle pietre dell’essenza, alcune delle quali conferiscono particolari abilità; altre perk passive possono essere poi potenziate e fuse assieme, dando il via a tutta una serie di meccanismi che, almeno sulla carta, promettono di poter creare delle armi d’offesa sempre differenti e basate sullo stile di gioco di ognuno. Non mancano poi oggetti da raccogliere, skill tre, potenziamenti e così via. La classica ossatura da gioco di ruolo, insomma, non troppo invasiva ma presente, che concorre a dare quel quid in più al tutto. A qualcuno tutto ciò potrebbe anche aver stancato, ma è innegabile di come si tratti di una strada in grado di dare diramazioni al gameplay e senso di progressione in un modo semplice ma incisivo.

Tra combattimenti ed esplorazione

Tornando ora a quelli che sono gli scontri e i combattimenti, Atlas Fallen assume le sembianze da action tutto sommato classico, ricordando più però opere come il primo Darksiders che, ad esempio, Devil May Cry. Colpi e battaglie sono infatti sì dinamici e frenetici, ma anche abbastanza lenti rispetto ai mostri sacri del genere action. Non aspettatevi, o almeno per quanto ho avuto modo di vedere in questo paio d’ore, miriadi di combo alla velocità della luce o quant’altro, bensì un sistema di gioco action con qualche piccola deriva da souls-like. La parata, ad esempio, ricorda molto quella vista in Mortal Shell, con il protagonista che si richiude per un istante in uno scudo di sabbia, bloccando l’avversario per qualche secondo se eseguita alla perfezione.

Un'intrigante caratteristica è poi quella del momentum, ossia una barra divisa in tre differenti slot posta sul lato basso dello schermo e che si riempie colpendo ripetutamente gli avversari. Superare una delle soglie permette di avere accesso alle caratteristiche, sia passive che attive, donate dalle pietre dell’essenza che abbiamo deciso di incastonare nel relativo slot. Più si colpisce duro, insomma, più sarà facile continuare a farlo, in una spirale di colpi sempre più potenti ed efficaci. Un sistema di combattimento, quindi, quello di Atlas Fallen, dotato di buoni spunti sulla carta, ma su cui non mi voglio sbilanciare più di tanto. Nella mia limitata prova non ho infatti avuto modo di poter usare chissà quali combo o abilità. Se il tutto diventerà più ricco e vario potremmo trovarci davanti un titolo con più di un qualcosa da dire, mentre se tale ampiezza di gameplay non arriverà il rischio è quello di trovarsi dinnanzi un qualcosa di tutto sommato limitato da tale punto di vista.

Da valutare più sul lungo termine anche quella che è l’esplorazione e la predominanza delle zone desertiche. Grazie ai poteri del guanto è infatti possibile scivolare sulla sabbia, muovendosi molto più velocemente che camminando e con un effetto tutto sommato riuscito. Le zone desertiche che ho avuto modo di vedere si sono però rilevate un po’ troppo blande e incapaci di sfruttare le potenzialità del protagonista. Ben altra cosa posso invece dire dei dungeon, che, grazie a edifici in rovina, catacombe e quant’altro, sembrano ben migliori per sfruttare doppi salti, dash aerei e chi più ne ha più ne metta. Non aspettatevi in ogni caso un open world classico: Atlas Fallen, almeno nelle fasi che ho potuto toccare con mano, assume infatti più le sembianze di quanto visto in Gears 5, con grosse zone liberamente esplorabili alternate ad altre più sui binari.

Atlas Fallen: in conclusione

Atlas Fallen, insomma, mi ha convinto a metà. Se da una parte c’è infatti del potenziale per tirare su un’opera in grado di dire la propria e di divertire, dall’altra né l’esplorazione né i combattimenti mi hanno pienamente convinto. Non sto certo dicendo che pare un brutto gioco, bensì che mi aspettavo forse qualcosina di più dalla nuova avventura di Deck13 Interactive. Il 13 maggio è in ogni caso dietro l’angolo e solo allora saprò dirvi quanta carne c’è in Atlas Fallen.