Final Fantasy XVI | Recensione: un esperimento promettente, ma con diversi problemi

Siamo finalmente pronti per parlarvi di Final Fantasy XVI, il nuovo capitolo della leggendaria saga di Square-Enix

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a cura di Mario Petillo

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Di Final Fantasy XVI e di quello che rappresenta per Square-Enix se n’è parlato così tanto che continuare su questo tipo di narrazione diventerebbe ridondante e a tratti anche pedante. La serie ideata da Hironobu Sakaguchi – nozione che oramai anche i sassi sarebbero in grado di ripetere a memoria, così come l’aneddoto riguardante il nome di Final Fantasy stesso – in quelli che sono i capitoli più noti al grande pubblico non ha mai avuto continuità né di trama, né di sistema di combattimento.

C’è sempre stata grande varietà, una grande propensione al cambiamento e alla sperimentazione, in cerca di un sistema che potesse piacere più di un altro, accontentando, ciclicamente, un po’ tutti. Sembra quindi che Naoki Yoshida abbia voluto provare a fare altrettanto, gettando il tentativo oltre l’ostacolo e proponendoci uno stylish action à la Devil May Cry che continuasse, però, a basarsi su quelli che sono i pilastri di Final Fantasy: una storia coinvolgente, la presenza dell’elemento magico, la centralità del Cristallo e le forze che ne possono derivare. C’è tutto, nel rispetto della tradizione c’è anche di più, ma a Final Fantasy XVI potrebbe non bastare, perché il lavoro svolto dall’uomo che passa alla storia come salvatore di Final Fantasy XIV, attualmente la più alta e redditizia fonte di guadagno di Square-Enix, è ambiguo, a tratti disarmante, ma di indubbio valore. In ogni caso, necessario di un’analisi molto approfondita.

Final Fantasy XVI, nel regno di Valisthea

Final Fantasy XVI racconta la storia di Clive Rosfield, Scudo della Fenice, e di suo fratello Joshua. Quest'ultimo è destinatario del potere del Dominante chiamato a difendere il Granducato di Rosaria, sul quale governa suo padre Edwin, l’Arciduca, insieme ad Annabelle, sua moglie. La genitrice non nasconde nemmeno per un secondo la sua preferenza per il figlio più giovane, per Joshua il prescelto, guardando Clive sempre con una riluttanza che non si addice allo sguardo di una madre. Nonostante questa preferenza accordata al più giovane, tra i due fratelli c’è un vincolo che va oltre quello di sangue, forgiato dal rispetto e da quell’atteggiamento cavalleresco che spinge Clive a voler dare la vita pur di poter proteggere Joshua. Le vicende famigliari danzano su quello che è un palcoscenico allestito per una guerra che coinvolge tutte le regioni circostanti, chiamate a contendersi quelle che sono le energie rimanenti dei Cristalli. A difesa dei rispettivi poteri sono stati collocati dei Dominanti, elementi chiave delle battaglie e in grado di usare la magia senza l'ausilio dei cristalli, per l'appunto.

L'evento scatenante della nostra vicenda vede Annabelle salire alla ribalta con l'unico obiettivo di sovvertire l'ordine del Granducato di Rosaria, assurgendo al ruolo di detentrice di un potere universale sul mondo di Valisthea e andando a tessere una ragnatela di congiure che la porteranno ad attirare le inevitabili ire di Clive, suo figlio. Sconvolto da eventi che lo vedranno protagonista e intenzionato a risolvere il mistero legato alla forza magica che ha assalito il fratello Joshua, insieme alla sorella adottiva Jill e il mentore Cidolfus Telamon, il primogenito dei Rosfield partirà in un viaggio che lo condurrà a scoprire cosa si cela dietro il mistero dei Dominanti, rivelando l'entità che amministra la magia e la sua stessa natura di ricettacolo.

La trama di Final Fantasy XVI si presenta sin da subito matura, in grado di trasmetterci un senso di profondità che non avevamo ancora mai percepito nella saga: Yoshida mette in piedi un intreccio che attinge moltissimo da Game of Thrones, quasi a volerne ripercorrere e ricalcare le vicende in maniera pedissequa. Gli stessi personaggi, quando arriverete alla fine, sembreranno quasi mutuati dall'esperienza di George Martin, conducendo tutta la narrazione a ritrovare dei topoi che ci avevano già esaltati nella visione della serie televisiva firmata da HBO. Non ne parliamo come se fosse un problema, perché il regno di Valisthea ha tanto da raccontare e il world building messo in piedi da Yoshida è da applausi a scena aperta, per la capillarità dei dettagli, per la capacità di costruire dei borghi e delle città che riescono a brulicare di contenuti e di quella profondità tridimensionale che in sede narrativa permette a tutte le vicende di progredire anche quando il protagonista è voltato di spalle.

Gli stessi snodi finiscono per essere molto adulti, toccando tematiche che appartengono alla sfera sessuale, alla morte e al tradimento, inteso sia dal punto di vista sentimentale che di onore cavalleresco. La profondità degli interpreti è gradualmente elaborata e sviscerata nel prosieguo della storia, andando a rivelare elementi di trama inizialmente sopiti e mai lasciati al caso: finirete per amare chi all'inizio temevate potesse essere una semplice comparsa e arriverete, dall'altro lato, a restare delusi per chi sembrava voler confermare tutte le aspettative. Se volessimo andare a scovare, in questo intreccio, quelli che sono i punti più deboli della scrittura dovremmo andare a recuperare quello che è un problema atavico della narrazione giapponese legata all'elaborazione dei finali: Final Fantasy XVI pecca nel suo, lasciandoci in una sospensione e spingendoci verso un'analisi di ciò che ci viene mostrato e che cozza con il dettaglio e la minuziosità offerta per l'intera durata della vicenda. Nonostante questo siamo dinanzi a una vicenda che - come lo stesso Yoshida aveva anticipato - vuole mettere a nudo le brutture del mondo umano e ce la fa senza problemi.

Clive May Cry

Final Fantasy XVI ha vissuto dei momenti di difficile comprensione per la community che si aspettava un approccio molto più dinamico e action al titolo: questo perché proporre un prologo, che ai giocatori è stato consegnato tramite la recente demo, con quel ritmo e con quei contenuti ha creato non pochi dubbi tra i videogiochi. Li andiamo a diradare subito, perché quel prologo, quell’approccio è stato pensato solo con l’obiettivo di poter fornire uno scenario narrativo e del world building all’interno del quale ci ritroveremo a muovere Clive e i nostri passi. Final Fantasy XVI è incentrato su un battle system molto più rapido e immediato, oltre a delle scelte di dinamismo che vanno in antitesi con quello che è l’approccio iniziale del gioco. D’altronde, ci ritroviamo ad attraversare 3 diverse fasi temporali, partendo da un giovane Clive fino ad arrivare a quando nel pieno dei suoi vent’anni sarà pronto a rispondere al compito ingrato che si è affidato.

Il combat system prova a emulare Devil May Cry, ma non vuole limitarsi a questo: è evidente sin da subito, ma lo capirete soltanto nelle fasi avanzate del gioco, nelle quali sarà possibile esprimere tutto il potenziale del sistema pensato da Ryota Suzuki (Devil May Cry 5 e Dragon’s Dogma). La più evidente delle meccaniche che andrà a intersecarsi con quello che può essere visto come un button smash costante è la possibilità di andare a caricare sia gli attacchi fisici che quelli magici mentre si vanno a utilizzare abilità e schivate, quest’ultime utili per dei contrattacchi immediati e delle parate perfette. Allo stesso tempo avrete una meccanica di salto che vi farà rimbalzare sulla testa dei nemici e continuare le vostre combo guadagnando anche spazio in verticale. Dinanzi a questa buona varietà di affondi e di offensiva la penuria offerta dalle abilità base sorprende in senso negativo: al di là dell’affondo, il già citato salto, la schiavata, la parata e il colpo caricato non avrete molto altro a disposizione per lanciarvi all’assalto, se non affidarvi alle abilità degli Eikon. Dato che, però, per buona parte dell’avventura non ne avrete più di due e finirete per sbloccarli tutti nella seconda metà del gioco, vi ritroverete a soffrire una certa limitatezza nell’offerta complessiva del combat system.

Una volta che Clive avrà incanalato (seguendo la nomenclatura italiana non sempre precisa, ma ne parliamo più avanti) tutti gli Eikon a disposizione (Fenice, Garuda, Ramuh, Shiva, Bahamut, Odino) il combat system diventerà vario, divertente, nonché a disposizione di qualsiasi build vogliate costruire. Sarà possibile equipaggiare fino a 3 diversi Eikon, così da poter sfruttare un set di 3 rispettive abilità, ma una volta padroneggiate attraverso una sorta di Sferografia basata su punti abilità, sarà possibile andare a creare degli intrecci che vi permetteranno di usare tanto le abilità di Shiva che quelle di Odino nel medesimo slot. L’immensa varietà di approccio al gameplay vi permetterà, così, di comprendere la profondità di tale sistema e l’approccio che Yoshida ha voluto costruire, giustificando anche il fatto di poter controllare soltanto Clive nel corso dell’avventura (tranne uno specifico segmento in cui ci sarà una rapidissima variazione sul tema) con una maggiore personalizzazione del protagonista.

Il potere degli Eikon incanalati

L’Eikon equipaggiato, insieme alle sue abilità, vi farà avere tanto degli attacchi che infliggono danni, sia che andranno a minare la barra dello stordimento, di chiaro stampo da Final Fantasy VII Remake o anche con riferimenti alla Crisi di Final Fantasy XIII. Si tratta di una sorta di stabilità, che spinta allo zero metterà l’avversario in una condizione di vulnerabilità, durante la quale i danni inflitti vengono moltiplicati: sarà in questo caso che dovrete scatenare tutta la vostra ira sull’avversario di turno, così da approfittare di una finestra temporale che vi concederà un grande vantaggio. Finirete per il raggiungere quella che è la strategia a voi più consona soltanto quando tutto sarà padroneggiato e a disposizione delle vostre mani: starà solo a voi decidere se puntare sullo stordimento rapido o se provare a infliggere più danni possibili per stenderli prima che possano concedervi una finestra di vantaggio. Gli stessi Eikon, tra l’altro, concedono diversi approcci e sceglierne 3 sui 6 a disposizione vi permette di insistere sull’elemento della personalizzazione.

Garuda è rapido ed efficace sullo stordimento, ma infligge pochi danni, Ramuh è mortifero sulla lunga distanza oltre a infliggere ingenti danni, Odino stravolge molte delle meccaniche base per spingervi a caricare la sua mossa finale, la Zantetsuken, per tre diversi livelli di forza. Potrete trovarne utile uno, ma allo stesso tempo anche inutile, a seconda di come penserete sarà opportuno lanciarvi all’assalto. Personalmente, ho conservato dall’inizio alla fine Fenice per giovare dei suoi spostamenti rapidi, fondamentali negli spazi aperti, ma anche per la sua finisher, micidiale nei danni ad area; ho trascorso quasi tutta l’avventura con Titano, per usufruire della sua Parata Possente, che fornisce una finestra di 3 attacchi fisici come counter, e mi sono affidato sul finire a Bahamut, che dal punto di vista scenico mi ha concesso le maggiori soddisfazioni.

Gli Eikon rappresentano l’aspetto più interessante di tutta la struttura ludica, ma anche l’unico elemento GDR presente in tutto Final Fantasy XVI: è sorprendente da dire, ma per il resto Clive non si concede nessuna caratterizzazione che lo possa far rientrare nel novero dei protagonisti di un gioco di ruolo. Il suo livello – con un level cap fissato a 50 – aumenta in maniera molto centellinata e modifica gli attributi quasi senza che ce ne possiamo accorgere; allo stesso modo gli slot degli accessori e degli oggetti mutano di poco la sostanza di quelle che sono le nostre skill, arrivando persino ad usufruire – come già Yoshida ci aveva anticipato – di un crafting molto base, che non ci impegnerà mai nell’andare a rintracciare oggetti specifici e allo stesso tempo non ci darà nemmeno la profondità tale da spingerci a ricercare l’arma migliore per noi: sarà tutto limitato al danno inflitto e di boss in boss andremo a cambiarla a seconda di quelle che saranno le armi disponibili dal fabbro del nostro hub di gioco. Da un lato è una semplificazione disarmante per un appassionato di GDR, ma dall’altro può essere letto come uno snellimento di una pratica che ci avrebbe distolto molto dalla trama principale. Un aspetto sul quale Yoshida ha voluto soffermarsi molto.

Un ritmo da MMO

Di rimando, però, sorprende – alla luce di quanto appena affermato – quanti diversivi, quante rotture del ritmo dinamico e quanti rallentamenti Yoshida abbiamo inserito in Final Fantasy XVI. Che vogliate seguire la trama principale ed eludere le secondarie o che vogliate essere dei completisti, incapperete in una serie di segmenti narrativi che andranno a stravolgere il ritmo dell’azione, spingendovi a delle azioni prolisse, ridondanti, lente, che richiamano quella struttura da MMO che al producer tanto ha fatto bene nel curriculum. All’interno del nostro hub, il Rifugio, al quale torneremo dopo tutte le fasi nevralgiche dell’avventura, verremo spesso intercettati per portare a termine compiti vacui, di una nullità esasperante, che generano un’interruzione dell’epica trasmessa fino al momento precedente che è davvero disarmante. Ad aggravare il tutto c’è la riduzione della velocità di movimento all’interno dell’hub, unita al fatto che le missioni ci spingeranno a coprire più volte le maggiori distanze possibili all’interno di una data area: sintomo di una scelta di game design che vuole puntare ad aumentare la permanenza in certi luoghi, che vuole insistere sul diluire un prodotto e renderlo estremamente prolisso. Quest’ultimo è l’aggettivo che meglio si può affiancare a Final Fantasy XVI, che nel suo riuscire a fornire una narrativa molto emozionale e ben scritta, un battle system dinamico anche se deficitario nella prima metà di gioco, finisce per costruire una timeline fatta di elementi marginali e che finiscono per asfissiare la passione del giocatore nei confronti dell’epos trattato.

Sembra, tra l’altro, che non si tratti di un evento sporadico all’interno della pipeline produttiva, perché anche in altre fasi di gioco Yoshida ha dimostrato di aver scelto scientemente di preferire una regia onnipresente a una fluidità di gameplay: alla fine di tutte le battaglie, spesso anche a interruzione di una cinematica, un fastidioso frame di riepilogo dei risultati verrà a sancire l’esito a vostro favore; tutte le missioni secondarie verranno accompagnate da altrettante schermate di riepilogo ridondanti, dato che nessuna missione vi permetterà di ottenere un oggetto tanto importante da giustificare un vostro soffermarvi sulle ricompense, sempre indicate in quantità di valuta o di punti fama; i cambi di inquadratura sono sempre accompagnati da secondi di stasi che annullano dialoghi tempestivi e ben ritmati, tutti aspetti che nell’economia di un’esperienza destinata a durare tra le 50 e le 60 ore gravano molto, soprattutto in quelle fasi molto prolisse finali, in cui Yoshida ha insistito su quello che è un approccio ripetitivo nei combattimenti con i boss. Un aspetto, ribadiamo, disarmante, perché Final Fantasy XVI farà accusare di molto il peso di un’esperienza stiracchiata con l’unico scopo di evadere dalla compattezza che ci saremmo aspettati.

Anche nelle fasi di combattimento, Yoshida ha sempre favorito la presenza di minion coriacei e di mid boss che potremmo quasi definire “spugna” per il loro avere un quantitativo molto alto di HP a disposizione, ma non di abilità in grado di metterci in difficoltà. Era un sentore che avevamo già avuto durante le precedenti prove, soprattutto nell’approccio al Malboro delle prime ore del prologo, ma che è stata confermata nel corso dell’avventura: combattimenti a volte troppo lunghi, privi di una strategia figlia di una difficoltà elevata, perché in Final Fantasy XVI, nonostante Yoshida abbia inserito volutamente degli accessori per aumentare l’accessibilità del gioco, tutta la difficoltà è molto tarata verso il basso e la penuria di Game Over si accuserà molto. A supporto di questo aspetto verrà la Final Fantasy Mode, che si sbloccherà una volta terminato il gioco e vi permetterà di affrontare un New Game Plus con una difficoltà maggiorata sul piano generale. Questa andrà a sbloccare anche il level cap, spingendovi oltre il 50 e vi concederà, come in tutte le modalità che prevedono una seconda run, la possibilità di tenere con voi tutte le abilità sbloccate e l’equipaggiamento che avete ottenuto nella vostra prima run. Affascinante su questo aspetto la possibilità di skippare l’intero prologo nella seconda run, una concessione da parte di Yoshida che ci permetterà di evitare di rivivere un momento che, come detto, funge solo da prologo a ciò che verrà.

Degne di menzione sono anche le battaglie tra Eikon, che avrete la possibilità di trovare diverse volte nel corso del gioco. Se nelle prime demo avevamo avuto modo di lamentare una certa semplicità e staticità della proposta ludica, con il gioco finale tra le mani abbiamo apprezzato alcune trovate, meno delle altre. La lunghissima sfida con Titano ha permesso a Yoshida di lanciarsi andare a qualche variazione sul tema non di facile comprensione nell’economia del game design, ma allo stesso tempo c’è da sottolineare che l’aspetto cinematico viene sempre favorito in queste sfide, arrivando anche a corredare il tutto con dei QTE che ci eviteranno di diventare meri spettatori di momenti per lo più scriptati. Non aspettatevi nulla di complesso, anzi: soltanto nella seconda metà del gioco sbloccherete qualche abilità in più che vi permetterà di ottenere una maggior stratificazione della vostra build da Eikon, ma per il resto del tempo non aspettatevi nulla di più.

Chiudiamo l’analisi del gameplay con un cenno a quelle che sono le possibilità extra e offerte dall’endgame: le missioni secondarie sono generalmente prive di grande ispirazione contenutistica e per lo più saranno basate sul parlare con qualcuno raccogliendo informazioni oppure sconfiggere un drappello di avversari per recuperare un oggetto specifico. Siamo nell’ordine di fetch quest, che però si sposano meglio con quella che potrebbe essere una categorizzazione da MMO: Final Fantasy XVI in tante sue accezioni sembra un’espansione di Final Fantasy XIV, il che per molti potrebbe rappresentare un problema invalicabile in sede di side-quest. Le stesse cacce, che sono suddivise in diverse categorie e che Yoshida aveva annunciato sarebbero state molto complesse e bisognose di essere completata in una seconda run, saranno tutte accessibili se muniti di oggetti di cura e di un buon set di abilità. L’unica reale difficoltà, in alcuni casi, sarà di andare a rintracciare le arene preposte a questi scontri, ma nulla più. Sicuramente nella mappa avrebbe fatto comodo avere un puntatore che ci evitasse di girare a zonzo, ma la stessa scelta dell’eliminare dall’HUD una mini-mappa che ci possa aiutare a capire dove recarci è figlia del voler lasciare l’esplorazione al senso di scoperta del giocatore.

Valisthea brilla di splendore

Se fino a questo punto siamo stati molto altalenanti nella nostra valutazione di Final Fantasy XVI, mostrandovi i due lati della medaglia, parlando dell’aspetto tecnico, soprattutto per quanto riguarda la realizzazione visiva, saremo abbastanza diretti nel dirvi che siamo dinanzi a un lavoro di ottima fattura. I dettagli, ma gli stessi effetti VFX, si esaltano in tutti i momenti e al netto di qualche rallentamento, di qualche pop-up di troppo sulla distanza, soprattutto quando saremo all’interno del Rifugio, l’engine al quale si è affidato Yoshida ha permesso all’intera struttura di reggere anche nei momenti più concitati, quando il nostro avversario sarà avvolto da un vortice di Garuda e Clive deciderà di lanciarsi contro di lui con un fulmineo Zantetsuken, corroborato da una sfilza di sferzate. Gli stessi ambienti, da quelli più angusti a quelli più ampi, offrono un ottimo livello di dettaglio, una precisione nell’andare a caratterizzare anche i più nascosti anfratti, dalle stanze vuote di un castello fino ai fili d’erba delle praterie più aperte.

C’è una grande attenzione verso quelle che sono inquadratura epiche, pensate per esaltare i disastri causati dagli Eikon, ma bilanciando il tutto con quelle che sono le esigenze umane, soffermandosi sugli elementi che possano portare a una considerazione microscopica il dramma di Final Fantasy XVI. D’altronde, trovandoci per la prima volta dinanzi a un PEGI 18 anche la maturità può risentirne in senso positivo: sangue, uccisioni, guerre, gesti estremi, suicidi, fanno parte dell’attualità che Yoshida ha voluto raccontarci. Tutto ne esce costruito in maniera sagace, funzionale, in grado di fornirci un Final Fantasy maturo, tra i migliori, dal punto di vista di contenuti narrativi, a disposizione.

Passando al lavoro svolto da Soken confesso che mi sarei aspettato un lavoro molto più ispirato e capillare. Nobuo Uematsu ci aveva abituato a ben altre melodie e a una costruzione della colonna sonora in grado non solo di accompagnare la messinscena, ma anche di costruire dei leitmotiv che rappresentassero una linea narrativa dei personaggi stessi. Soken decide di privarci di quest’ultima funzione narrativa, sottraendo dall’equazione musicale qualsivoglia tema portante pensato a Clive e compagni, oltre all’andare a riciclare spesso la stessa melodia per i combattimenti più epici. Nel corso della colonna sonora sarà possibile anche udire alcuni arrangiamenti delle melodie più iconiche composte da Uematsu, dalla fanfara della vittoria fino al tema del cristallo riproposto in alcuni momenti salienti. Fatto sta che la colonna sonora di Final Fantasy XVI non entrerà nel novero dei grandi successi della saga e con grande difficoltà finiremo ad ascoltarla negli anni a venire sulle librerie online, se non per qualche traccia molto ispirata e in grado di evadere dal canone, su tutte la sfida contro Titano. Un elemento che delude, soprattutto per quella che era la tradizione della saga.

Segnaliamo, infine, che il gioco è interamente doppiato in italiano, informazione già nota ai più attenti. Non ci sono dialoghi non doppiati e qualsiasi linea di testo può essere ascoltata, così come gli interi villaggi che brulicano di contenuti narrativi. Il lavoro attoriale è di buon livello, soprattutto per i protagonisti, mentre va un po' calando per quelli che sono i comprimari, ma è un aspetto fisiologico. Ciò che mi ha deluso nella traduzione in italiano, quindi in quello che è l'adattamento in sé e per sé, è la scelta di alcune terminologie italiane fuori fuoco: si parte dalle abilità di Clive che risultano "dimenticate", lasciando intendere che fossero innate e che il protagonista sia stato colpito da una sorta di amnesia, aspetto totalmente errato; allo stesso tempo l'abuso di una punteggiatura "?!?" per ogni domanda accompagnata da stupore è di estremo fastidio dopo le prime ore di gioco, oltre a essere non corretta. Se qualcuno, quindi, troverà poco sensata la traduzione di alcune magie che siamo stati abituati a leggere e pronunciare in modo diverso, sappiate che le traduzioni in italiano sono molto libere e poco precise, consegnandoci, a volte, reazioni disarmanti.