Grow: Song of the Evertree | Provato

Ho avuto modo di provare in questi giorni il nuovo gioco di Prideful Sloth, dal magniloquente titolo di Grow: Song of the Evertree. Si tratta di un sandbox game con un focus particolare nella costruzione di edifici e piccole, deliziose cittadine, il tutto seguendo un approccio dichiaratamente rilassante.

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a cura di Lorenzo Quadrini

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Ho avuto modo di provare in questi giorni il nuovo gioco di Prideful Sloth, dal magniloquente titolo di Grow: Song of the Evertree. Si tratta di un sandbox game con un focus particolare nella costruzione di edifici e piccole, deliziose cittadine, il tutto seguendo un approccio dichiaratamente rilassante.

Grow: Song of the Evertree, pur rimanendo un sandbox come poco sopra sottolineato, presenta anche una trama di gioco, tutta basata su uno dei classici archetipi videoludici: un universo fantastico, sviluppato attorno all’Evertree - un albero gigantesco capace di ospitare sulle sue fronde decine di mondi - sta sparendo per colpa dell’Avvizzimento. Al giocatore, giovane alchimista, il compito di salvare capra e cavoli a suon di crafting.

Un sandbox rilassante

Alla trama, certo non irresistibile, ma offerta al fruitore con garbo e senza troppa insistenza, si collega strettamente il vero fulcro di gioco, ossia l’Evertree e la sua natura di HUB d’esplorazione. Attraverso i Semi di Mondo il nostro PG sbloccherà i diversi biomi messi a disposizione, ognuno collegato con alcuni compiti di produzione e tutti liberamente sfruttabili ai fini del town building.

Quest’ultimo aspetto è forse il più divertente del titolo, garantendo un numero effettivamente cospicuo di edifici, di personalizzazione e di integrazione con alcuni NPC, nell’ottica di sviluppare una vera e propria cittadina, non solo bella da vedere ma anche coinvolgente da vivere. Certo, per quanto visto non posso urlare al miracolo o alla profondità di gameplay: rimaniamo su livelli piuttosto semplici, sia come parabola di crescita che come sviluppo in senso “orizzontale”.

Grow: Song of the Evertree punta ad un pubblico misto, attraverso una veste grafica ben strutturata, anche se poco originale nel design. Oggettivamente, c’è poco di non visto e c’è poco di caratteristico, con una proposta che si muove in maniera evidente all’interno di stilemi più che riconoscibili. Va detto che l’obiettivo quasi dichiarato della produzione è quello di offrire un titolo per tutte le età (indubbiamente consigliato anche ai più piccoli), senza rinunciare ad un minimo di sfida. Al tempo stesso il vero pregio risiede nel mood molto rilassante, calmo e pacato del gameplay. Si tratta insomma di un’esperienza sandbox che prende il giocatore per mano quando serve, lasciandolo poi libero di sperimentare e divertirsi con i suoi ritmi e le sue esigenze.

Tecnicamente non si può eccepire nulla al videogioco, già tradotto in italiano, molto pulito nella resa grafica e sonora, molto chiaro nell’interfaccia. Da segnalare poi la collaborazione di Kevin Penkin alla colonna sonora, nome immenso nel panorama musicale videoludico, conosciuto soprattutto per il lavoro svolto per Florence.

In conclusione

Cosa dire quindi, di questo Grow: Song of the Evertree? Innanzitutto, come si evince dal titolo dell’articolo, ho provato il gioco per poco tempo e senza poter apprezzare la versione definitiva, che sarà rilasciata solo successivamente. Metto quindi le mani avanti per eventuali difetti notati in sede di stesura che poi potrebbero venire corretti in seguito. Allo stesso modo, l’approccio di design rimane blando e poco entusiasmante, così come il gameplay ancorato a dinamiche e sistemi fino troppo noti. Anche il tentativo di emulare Animal Crossing, con la gestione di una cittadina popolata da NPC dotati di caratteristiche ed esigenze diverse, è comunque più sbiadita del suo già menzionato mentore. Nonostante questi limiti, in parte fisiologici, in parte forse dettati da una certa mancanza di slancio o coraggio produttivo, Grow: Song of the Evertree offre intrattenimento solido, sano e soprattutto votato al relax. Un prodotto certo per ora non eccezionale, ma al tempo stesso di qualità, che riesce a regalare al videogiocatore sessioni ritagliate sulle sue esigenze e non su quelle narrative e di gameplay. Il chiaro occhiolino ad un pubblico più piccino inoltre potrebbe stuzzicare anche le famiglie, allargando le possibilità di gioco e di interazione comune.