Siamo troppo ossessionati dal voto delle recensioni

Siamo troppo ossessionati dal voto delle recensioni, un dato di fatto che non cambierà mai e ci rattrista immensamente.

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a cura di Andrea Maiellano

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Avete presente quei minuti che precedono la fine di un turno di lavoro? Quella moltitudine di interminabili secondi in cui tutti i colleghi, indiscriminatamente dalla posizione che ricoprono o dalle relazioni interpersonali fra di loro, si raccolgono compatti in attesa di essere liberi e poter, finalmente, raggiungere quella poltrona accompagnata da una Peroni ghiacciata e rutto libero, pregando di non essere fermati dal Guidobaldo Maria Riccardelli di turno, per partecipare a qualche attività obbligatoria extralavorativa.

Ora che avete impressa nella vostra mente questa diapositiva esasperatamente Fantozziana, associatela a tutti i redattori del mondo videoludico, e non, che attendono in religioso silenzio il passare degli ultimi minuti prima dello scadere di un embargo, per poter finalmente tirare un respiro di sollievo e spostarsi su altre consegne impellenti.

So che vi state già chiedendo: “Ma Guidobaldo che c’entra?” La risposta è molto semplice: il Riccardelli di ogni redattore che si rispetti risiede in quella stregua di famigerati lettori che, palesandosi con nickname che trasudano serietà e conoscenza tipo “io-e-tua-mamma-pro-99”, si palesano immancabilmente, dopo soli due minuti dalla pubblicazione della recensione, a contestare il voto che è stato assegnato al loro prodotto del cuore, sciorinando conoscenze alla pari del sommo maestro del cinema d’essai di Fantozziana memoria, ignorando bellamente le decine di ore spese per redarre un’analisi ripartita in migliaia di parole e focalizzarsi su quel numero che, a detta loro, andrebbe tolto perché inutile… inutile come i tentativi di far leggere un’analisi a siffatti soggetti.

Questo non vuole dire che la totalità dei lettori, e dei commentatori, sia un’immensa cloaca che non aspetta null’altro che lo scadere di un embargo per esalare i suoi effluvi pestilenziali, ma indubbiamente siamo di fronte a un periodo storico in cui prevale la mancanza di obiettività, e l’arroganza di pensare che su internet tutto sia concesso in virtù di un concetto di diritto di parola che mai come oggi risulta distorto e piegato al mero comodo personale.

Questa riflessione personale non nasce esclusivamente dal recente caos generatosi attorno alle votazioni assegnate a Leggende Pokémon: Arceus, ma si può tranquillamente estendere a tutti quei focolai mediatici scaturiti attorno a valutazioni che non rispecchiano il favore del singolo utente, oramai obnubilato da quel letale mix composto da gusto personale, e insindacabile, e cultura dell’hype.

Ho usato espressamente il termine “valutazione” perché il motivo di indignazione sta tutto lì… nel voto; in quell’effimero numero sorretto, e preceduto, da migliaia di parole che se estromesse da questa semplice equazione, gli fanno perdere ogni tipo di valenza. Si tratta, quindi, di un’indignazione rivolta verso il nulla? Praticamente sì, anche se questo vale solo per quella fetta di utenza che, sfruttando le solite frasi fatte inneggianti alla libertà di opinione, deve esternare il proprio disappunto per un numero che non difende, o appoggia, il gusto personale, o l’ultimo acquisto fatto, sentendosi in obbligo di privarsi di ogni obiettività e arrivare addirittura all’offesa personale, perché in un estremo bisogno di difendere la loro scelta, idealizzata come “giusta” nel senso più totalitario del termine.

In questo momento alcuni di voi staranno pensando all’ovvia soluzione di rimuovere il voto dalle recensioni, lasciando che siano solo le parole a definire l’opinione del recensore e rimuovendo un metro di giudizio che, di anno in anno, si sta dimostrando essere solo una fonte di tensioni e “risse digitali”. In realtà molteplici “eroi” dell’editoria hanno intrapreso questa strada in passatoi e, indovinate un po’? Hanno fallito tutti. Sono i lettori in primis a richiedere a gran voce un voto, refreshando ansiosi la pagina di Metacritic per poter vedere con chi essere in disaccordo in quel momento.

È un dato inconfutabile che le recensioni non le legge praticamente più nessuno. Non siamo più sul finire degli anni '90 quando i soldi investiti in riviste videoludiche andavano “fatti fruttare” leggendo ogni riga di testo, perdendosi in ogni immagine e creandosi un’opinione personale in virtù di quelle opinioni, a volte così differenti fra loro, che venivano dalle più disparate testate giornalistiche. E prima che lo pensiate, no. Non si tratta di un pensiero romantico ai “bei vecchi tempi andati” ma solamente l’ennesima conferma che se una cosa non viene “pagata” allora non è meritevole della nostra attenzione. Oramai si clicca sul titolo della recensione, si scorre a fondo pagina, si visiona il voto e se conferma le proprie aspettative si chiude frettolosamente la pagina, altrimenti ci si scrocchia le nocche e si comincia a vomitare disappunto privo di fondamento. E se quel voto non c’è, come si è visto in più esempi, o non si visita proprio quel sito o ci si sofferma per lamentare l’assenza di un numero che consolidi il proprio pensiero, che dia quella sicurezza di appartenere al fronte corretto.

Potrei citarvi molteplici esempi a sostegno di questa tesi. Dalle recensioni svolte sulle versioni PC di Cyberpunk, insultate al limite della denuncia dai possessori del gioco per PlayStation 4, fino a quelle di Leggende Pokémon: Arceus di ieri. Quest’ultime in particolare non sono state praticamente lette da nessuno di questi sedicenti luminari, altrimenti avrebbero notato che praticamente tutte prendevano a pesci in faccia gli stessi aspetti della recensione di IGN Italia, offrendo un punto di vista diverso ma non occultando i problemi che gravano sul titolo. Leggere? E perché mai?! Molto meglio fare i canguri e saltare di sito in sito a strillare che “cinque è da galera”, che “otto non è meritato”, che “il perfect score è un insulto”, che “7 è un voto troppo piatto”.

Non sto ovviamente parlando di quegli utenti che leggono un testo, si confrontano con chi lo ha scritto, o con altri utenti, e si aprono a un dialogo costruttivo. Parlo di chi non ha alcun interesse nell'approfondire nulla: ha la sua idea, la deve vomitare in faccia con arroganza a chi non la pensa come lui e se non si è d’accordo si diventa istantaneamente parte di una casta, un venduto, un incompetente e così via ad libitum sfumando. Se poi si prova a dialogare con queste persone, cominciano tutti quei discorsi in merito alla libertà di parola, al fatto che le recensioni debbano essere “oggettive” e che tutte le critiche devono essere per forza accettate di buon grado.

Mi dispiace dirvi che le recensioni sono da sempre opinioni. Opinioni redatte attraverso le capacità analitiche e le conoscenze pregresse dell’individuo che le scrive. Per questo motivo avranno sempre un guizzo di personalità, quella sfumatura che fa trasparire la natura dello scrittore, dando colore a una fredda analisi e offrendo un punto di vista che può, e deve, generare disaccordi permettendo al fruitore ultimo di comporre un mosaico di punti di vista differenti e capire se quel dato prodotto possa o non possa fare per lui. Che senso ha leggere solo recensioni che appoggiano il nostro gusto, a parte il non accettare di mettersi in discussione?

Poi ovviamente si può sempre sostenere fermamente che le recensioni non sono “opinioni”, facendole diventare “assoluti” che hanno ragione per loro stessa definizione. In questo caso però vuol dire che ogni redattore avrà sempre ragione e ogni lettore sempre torto a pensarla diversamente. Una realtà leggermente distopica, non credete?

E prima che si pensi che io non sia per la libertà d’opinione, vi dico chiaramente che per me ogni opinione va rispettata a prescindere (sì, anche quella oramai celebre di Siliconera in merito a God Of War), e tutte possono, e devono, essere motivo di discussione per il fruitore finale. Una discussione che, però, deve risultare sana e costruttiva e non un corollario di ovvietà e leggende popolari, tali da far impallidire persino i terrapiattisti.

La realtà dei fatti, per citare un ragazzo con il quale si dialogava in questi giorni, è che purtroppo questi recensori delle recensioni continuano a rivelarsi figure tragicomiche. Persone che si fanno portavoce di una nebulosa utenza insoddisfatta verso i siti specializzati, ponendosi come il celebre vecchio che urla all’apocalisse e dimostrando, quotidianamente, di non avere la minima conoscenza su come si compia realmente un lavoro di analisi.

Eppure gli basterebbe così poco a cambiare il mondo. Basterebbe cliccare su quella scritta in fondo a ogni testata giornalistica che dice “collabora con noi” per potersi mettere in gioco e mostrare al mondo la propria imparzialità e onniscienza nel settore. Peccato però che quel link, nella maggior parte dei casi, stia lì a raccogliere solamente un sacco di polvere digitale… ah no! Giusto! Dimenticavo che siamo una casta di eletti che non aprono le proprie porte a nuove leve perché siamo inebriati dalle immani ricchezze che guadagniamo quotidianamente pompando i voti.

La triste realtà è che per molte persone il voto che tanto odiano è la loro unica ragion d’essere. Un banalissimo numero che gli permette di canalizzare la frustrazione e sentirsi importanti prendendo una posizione di fronte a una platea digitale, incuranti di come verranno considerati poiché ebbri di un’onniscienza autoindotta. Anche, e sopratutto, per questi casi umani il voto non può essere rimosso ma, anzi, andrebbe scritto più grosso proprio a rimarcare quanto importante sia per l’editoria, e per gli stessi videogiocatori, la presenza di una moltitudine di opinioni differenti e quanto, in realtà, quella media sull’aggregatore di turno non possa realmente quantificare la qualità di un prodotto.