Sony Playstation 4 mette il lucchetto ai giochi: basta usato

Un brevetto registrato da Sony impedisce il commercio di videogiochi usati. È l'ultima evoluzione di una campagna che include anche Microsoft e molti sviluppatori, e che mette in discussione l'idea stessa di proprietà.

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a cura di Valerio Porcu

Senior Editor

Sony ha brevettato il blocco dei videogiochi usati, che potenzialmente potremmo vedere già applicato sulla PlayStation 4. Grazie all'uso della tecnologia NFC inoltre il metodo realizzato da Sony non imporrebbe la connessione costante a Internet – una caratteristica particolarmente invisa ai giocatori di tutto il mondo.

Il funzionamento è piuttosto semplice: grazie a un chip NFC integrato nel disco Blu-ray ogni copia di un certo gioco può "ricordare" l'associazione con una certa console o account utente, e quindi non avviarsi in condizioni diverse da quelle stabilite. Un risultato possibile anche in assenza di un collegamento alla Rete.

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È il testo stesso del brevetto a mettere nero su bianco che questo sistema "limita con affidabilità l'uso di contenuti elettronici provenienti dal mercato di seconda mano.  Come risultato il commercio di contenuti elettronici sul mercato di seconda mano è soppresso. […]". L'azienda giapponese specifica inoltre che questo brevetto non riguarda solo i giochi, che "è similmente applicabile a diversi tipi di contenuti elettronici, come suite da ufficio, immagini o musica".

Qualcuno sarà di certo già pronto ad alzare le barricate e protestare in ogni modo possibile, ma è bene ricordare che la registrazione di un brevetto non ci dice se e come sarà applicato. In ogni caso è ben noto che nel mondo dei videogiochi (e non solo) il commercio di materiali usati è visto come fumo negli occhi.

In effetti questo brevetto Sony potrebbe essere la concretizzazione delle voci che giravano lo scorso marzo, secondo le quali la PS4 avrebbe avuto proprio un metodo mirato a risolvere questo "problema". L'azienda giapponese tuttavia potrebbe limitarsi a creare la tecnologia, per poi lasciare decidere agli sviluppatori sul suo effettivo utilizzo. Una posizione che, per quanto ne sappiamo, è anche quella di Microsoft con la prossima Xbox (vedi anche Xbox 720: Blu-Ray, Kinect 2 e tecnologia anti-giochi usati)

Le posizioni riguardo a queste tecnologie poi sono contrastanti. Sono ovviamente contrari tutti i giocatori, cioè quelli che ne farebbero direttamente le spese. Ma ci sono anche sviluppatori che la vedono come una cattiva idea, per non parlare di chi sui giochi usati ha creato un giro d'affari internazionale, come Gamestop. Altri, come Jameson Durall di Volition, invece sono convinti che sia una grande cosa, e che sarà uno strumento perfetto per gonfiare ulteriormente i fatturati di chi fa videogiochi.

Se lo compro è mio oppure no?

Sony, Microsoft e i produttori di videogiochi hanno, ovviamente, il diritto a fare ciò che vogliono per proteggere i propri interessi e guadagnare più denaro. Starà poi ai loro clienti premiare o punire certe scelte, decidendo se e cosa acquistare.

Ciò che tuttavia qui si sta mettendo in discussione è qualcosa di più importante e profondo. Con il progredire della digitalizzazione, della diffusione dei beni digitali, si sta infatti alterando il concetto di proprietà. Purtroppo a discapito dei consumatori, almeno per ora.

Fino a non molto tempo fa infatti "comprare" qualcosa significava averne il pieno possesso, perché la proprietà del bene era trasferita dal venditore al compratore. Questa è la descrizione di "comprare" che troviamo ancora oggi sui dizionario. E non si tratta infatti solo di videogiochi, ma anche di libri, film e musica.

Per uno sviluppatore questo posto è l'equivalente di un dirupo per un amante respinto

Tuttavia gli acquisti digitali difficilmente si possono definire in tale maniera. Se compro qualcosa ma poi non posso rivenderlo, prestarlo, regalarlo, lasciarlo in eredità, posso davvero dire che mi appartiene? Una domanda che recentemente si è posta anche Altroconsumo riguardo ai libri "venduti" da Amazon.

Il problema in ogni caso non è tanto questo nuovo concetto di proprietà, quanto la consapevolezza dei compratori, perché chi andrà in negozio per comprare un (costoso) videogioco non sarà tenuto a sapere di queste nuove regole. Ma basterebbe poco per risolvere il dilemma, magari un avviso sulle confezioni, per esempio "attenzione, l'acquisto di questo prodotto non implica la proprietà dello stesso". Chissà, magari con una goccia di trasparenza potrebbero vendere anche di più.