South of the Circle | Recensione

La nostra recensione di South of the Circle, il nuovo videogioco di State of Play pubblicato da 11bit studios.

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a cura di Nicholas Mercurio

Una vita spesa per gli altri, diceva un detto, è una vita ben spesa. South of the Circle, sviluppato da State of Play e pubblicato da 11bit studios, esplora il significato di questo aforisma per espandere il genere delle avventure narrative in una maniera intimista e toccante, capace di arrivare al suo obiettivo attraverso un racconto di due cuori, una realtà complessa e uno scenario freddo, nel bel mezzo del circolo polare artico.

Per chi non conoscesse 11bit studios, deve sapere che stiamo parlando degli autori di This War of Mine e Frostpunk, ognuno di essi diverso a modo suo ma con tematiche delicate al loro interno che ci hanno colpito particolarmente. 11bit studios, in tal senso, è un team affiatato che si è presentato al pubblico con This War of Mine, un’opera che colpisce, non si accontenta di raccontare una storia e ci mostra quanto la guerra e le sue dinamiche siano difficile per sopportare per chiunque. E non è una caso che abbia deciso di puntare su State of Play.

Ci hanno fatto vestire i panni di chiunque non sia armato fino ai denti, buttandoci in una realtà complessa e claustrofobica, mentre sopportavamo il peso di decisioni irreversibili per sopravvivere nascosti in uno sgabuzzino, in una stanza o in un seminterrato, sperando di non essere scoperti. È più importante lasciare un bambino morire di fame oppure sfamarlo, rischiando di non trovare il cibo utile per sfamarci? È una domanda che ci siamo posti durante la nostra esperienza su This War of Mine in quasi tutte le occasioni che si presentavano davanti a noi e, in un modo o nell’altro, ci siamo sentiti minuscoli e in totale balia di un mondo spietato quando abbiamo preso delle decisioni.

South of the Circle, invece, preferisce lasciarsi scoprire piano piano, esprimendosi al meglio attraverso un metodo di racconto che abbiamo trovato preciso e particolareggiato. Non potevamo aspettarci niente di meglio dallo studio di sviluppo polacco, capace ormai di puntare sui suoi progetti in maniera attenta e scrupolosa, dando loro l’importanza che meritano. Abbiamo giocato a molte avventure narrative, ognuna delle quali ci metteva davanti un contesto diverso e sfaccettato per raccontare il mondo.

Ci siamo appassionati a Life is Strange, siamo rimasti incantati da Tales from the Borderlands e ricordiamo Monkey Island come se fosse ieri. Le avventure grafiche, tornate alla ribalta grazie a Telltale Games con The Walking Dead, sono sempre state amate dai giocatori più concentrati a vivere un’esperienza narrativa rispetto a qualcosa di giocoso, dove è il gameplay il punto nevralgico di una qualsivoglia produzione. Potremmo citarvi Endling – Extinction is Forever o Neon White, con il secondo che ci ha sorpreso per il suo game design e la sua rigiocabilità pressoché infinita.

In un modo o nell’altro, da sempre, ci chiediamo quali avventure grafiche siano effettivamente le migliori e in che maniera siano necessari nuovi stimoli e voci provenienti da nuovi studi di sviluppo. Siamo rimasti incantati con Detroid: Become Human e ci siamo esaltati con Heavy Rain, ma ricordiamo le opere di David Cage non proprio positivamente, perché manchevoli di profondità, alle volte persino deboli dal punto di vista delle sceneggiature ma incredibili sotto il profilo grafico, con un lavoro certosino per le espressioni facciali. Di tante produzioni e notevoli presenze, il panorama delle avventure grafiche, strizzando gli occhi al cinema, ha raggiunto un grado di maturità invidiabile rispetto a tanti altri correnti del medium.

South of the Circle, in tal senso, è un videogioco che potremmo quasi avvicinare a Last Stop, ma con alcune differenze: se il secondo non ci ha pienamente convinto, il primo mostra la sicurezza di un team che le storie le sa raccontare. Ci siamo approcciati a questo videogioco indipendente incuriositi dalle tematiche al suo interno, che nel caso di South of the Circle, se non siamo stati chiari, ci proietta in una vita ben lontana dalla nostra, in un altro contesto storico, in un momento intricato quanto quello odierno, rimasto scottato dopo la Seconda Guerra Mondiale e gli accadimenti passati. Ma procediamo con ordine, perché è così che inizia la storia di South of the Circle: da una promessa infranta, da un sogno, da una regione così fredda che tutti evitano e di cui hanno paura.

Noi conosciamo solo una parte di questo mondo, vivendo con la consapevolezza che la morte non è remota. E che perdere qualcuno, sia per i nostri errori che per la nostra cocciutaggine, è inevitabile. Ci perdiamo nelle parole di qualcuno, ma ci ritroviamo nel suo respiro. Ed è così che parte South of the Circle, presentandoci un contesto azzeccato e mai totalmente affrontato nel panorama dei videogiochi, seguendo il passato, il presente e il futuro tenendo la cinepresa virtuale concentrata sull’animo umano e le sue fragilità, facendoci sentire responsabili di ogni nostra risposta o sensazione, di ogni atteggiamento, nonché di qualunque nostra emozione. Siamo una luce, non importa quale: se è rossa e splende, allora bisogna seguirla. E lo abbiamo fatto, ritrovandoci all’interno di un racconto profondo.

L’importanza dei propri legami: South of the Circle propone un racconto maturo

Impersoniamo Peter, un professore di climatologia di Cambridge alla ricerca costante ricerca della formula perfetta per spiegare le nuvole. Non credete si tratti dello Stephen Hawking interpretato da Eddie Redmayne ne “La Teoria del Tutto”, ma Peter è allo stesso modo impacciato e insicuro a causa di un’infanzia difficile, complessa in tutto e per tutto. È uno studioso appassionato, un ragazzo che vive sui libri e preferisce la compagnia del suo studio invece che del mondo, sicuro che là fuori in pochi siano davvero interessati a conoscerlo.

In un modo o nell’altro, tuttavia, si ritrova invischiato in un susseguirsi di eventi che lo portano nel circolo polare artico per fare una ricerca per conto del Governo britannico negli anni ’60. Freddo non è però soltanto il clima ma lo è anche la situazione geopolitica tra l’Occidente e l’Unione Sovietica, con il timore da parte dei primi e viceversa, dove chiunque indossava un basco o un colbacco poteva essere considerato un nemico. Con l’aereo in avaria e un pilota ferito alla gamba, Peter si ritrova a dover camminare in mezzo alla neve cercando di non cadere sul ghiaccio, mentre segue una luce rossa che lampeggia nella tempesta di neve, speranzoso di trovare quanto prima un aiuto che possa portarlo via da quel freddo. Ed è qui che riviviamo, successivamente, il primo flashback dell’esperienza: nell’ufficio del professore che sta seguendo il suo dottorato e può permettergli di arrivare là dove sogna da tempo, a solcare le onde con le vele spiegate verso le sue ambizioni.

Mentre riviviamo parti della sua quotidianità, scopriamo che Peter è certo di non piacere a nessuno, questo finché non conosce Clara, una giovane studentessa e professoressa di Cambridge per cui prova sin da subito un’attrazione fanciullesca e inaspettata. Il loro rapporto, in tal senso, si farà via via più profondo, mentre seguiremo al contempo gli avvenimenti nella fredda realtà mentre il ragazzo cercherà di sopravvivere al circolo polare artico, alla ricerca di una via per tornare a casa, in un clima di odio, paura e pregiudizi reverenziali. Questo lo avvertiamo sin da subito, quando il rettore di Cambridge interloquisce con Peter dicendogli che c’è una corrente comunista di studenti fedele ai sovietici.

Compreso il contesto, potremmo aspettarci la classica storia intimista senza tempo e forse è proprio così che dovremmo intenderla, ma South of the Circle ci mette davanti a due scelte: la carriera e l’amore. Cosa è più importante? Al giorno d’oggi, risponderemmo entrambe, facendo una lista di pro e contro, per poi stracciarla e scegliere con la testa o il cuore. In quel periodo, però, scegliere cosa fare della propria vita era importante ed è attraverso questo che si fonda la struttura di gioco. Scegliamo cosa rispondere in base alle nostre sensazioni e alla nostra attitudine, definendo cosa ci colpisce, dando un senso alle nostre emozioni.

State of Play, in tal senso, ha studiato un modo semplice quanto incisivo per arrivare al suo obiettivo per raccontare le fasi narrative, riuscendo infatti a inserirle con quelle più ludiche. Ci troviamo a muovere il personaggio, ad esaminare oggetti e alle volte a cercare di sintonizzarti con la radio per cercare qualcuno, ma il focus dell’esperienza resta un’interattività tra i vari protagonisti, con il racconto che prende il sopravvento sul game design. È una scelta che, se ci pensiamo, coinvolge molti studi di sviluppo e arriva il più delle volte all’obiettivo.

Un videogioco semplice ma coinvolgente

Questo accade anche con South of the Circle, con la differenza che l’approccio è diverso e c’è un modello stilistico più definito e strutturato sotto forma di videogioco. D’altronde, è un metodo già utilizzato in passato ed è presente in tante avventure narrative. Nel caso del videogioco di State of Play, però, stiamo parlando di un’opera che è più interessata a raccontarci una storia che a farci giocare.

Come accennavamo prima, ci limitiamo a scegliere le risposte giuste e a muovere il personaggio, muovendoci alle volte a bordo di una macchina. È un sistema che, senza troppi giri di parole, funziona e arriva allo scopo, definendo in questo modo la storia e in generale il racconto che ci troviamo davanti. Se non altro, è proprio questo a colpirci: la cura nella storia e nei dialoghi, che appassionano e incalzano dall’inizio alla fine.

Inoltre, è proprio su di loro che l’intera struttura del videogioco di State of Play si sorregge, dandoci la possibilità non soltanto di vivere un’esperienza capace di entusiasmare, ma persino di offrire tre ore di svago per nulla pesanti. Ovviamente non differisce poi molto dalle tante avventure narrative, dove magari l’interattività è più rimarcata, ma qui abbiamo davanti un contesto meglio definito, uno studio del periodo e una scelta attenta dei vari dialoghi proposti. Cosa potremmo desiderare di più, d’altronde, da un’avventura che ci fa rivivere dei ricordi mentre stiamo cercando non di scappare da essi ma di rincorrerli, augurandoci di ritrovarli? Perché è questo su cui State of Play ha puntato durante lo sviluppo di South of the Circle: proporre una storia commovente facendocela vivere nei modi e nelle tempistiche giuste, dandoci la sensazione che niente è messo per caso e che tutto ha un senso.

Anche la sofferenza, soprattutto la sofferenza. Ogni scelta che compiamo, come molte altre avventure narrative, ha delle conseguenze al suo interno da cui non possiamo fuggire. In South of the Circle, però, comprendiamo solamente alla fine l’esito della nostra partita, spingendo inevitabilmente e rigiocare il resto e a scoprire dettagli e situazioni che non pensavamo. È proprio questo, infatti, il suo reale punto di forza: proporre due strade di cui vi abbiamo parlato prima per scegliere chi essere. Da una parte la carriera e dall’altra l’amore: cosa sceglierete?

Non potendovi raccontare i risvolti di entrambe, possiamo assicurarvi che vale la pena esplorarle e approfondirle. E cosa dire, invece, dell’ambientazione e del periodo storico? È affascinante un videogioco che ci riporta nelle aule universitarie vestendo i panni di un professore alla ricerca della sua teoria del tutto, ma è affascinante capire in realtà quanto non sia un titolo a definire chi siamo. La Guerra Fredda è già stata trattata in molti videogiochi, ma mai è apparsa in un’avventura narrativa, dove vengono mostrate le debolezze e le paure di un’epoca delicata.

È fondamentale sottolineare come questi avvenimenti abbiano cambiato le nostre vite e ora che possiamo comprenderlo, ci sarebbe da parlare approfonditamente anche della critica sociale che muove, mai attuale come oggi, specie in un periodo di turbamento come il nostro. South of the Circle, oltre a essere un’avventura grafica, è una critica sociale che in pochi potrebbero comprendere ma che necessita di essere capita e apprezzata, in particolare perché ci spiega quanto la vita possa essere imprevedibile e difficile da approcciare in un mondo che corre, perdendo il fiato quando non è troppo concentrato a rovinarla a qualcuno.

Già questo dovrebbe bastare per farci capire cosa ci troviamo di fronte, ma il viaggio all’interno di South of the Circle non è soltanto intimo e particolareggiato. È culturale, perché è un videogioco che, a differenza di certi nomi blasonati, ci mette nella complessa situazione di capire cosa abbiamo davanti e perché la vita è imprevedibile. South of the Circle è un’avventura narrativa semplice, ma è originale, commovente, incisiva e coinvolgente. Una novità per un genere che necessita di grande innovazione.

La fine è solo l’inizio

Ad averci colpito è anche la grafica di gioco, finemente disegnata a mano, ricordando addirittura dei quadri impressionisti. E cosa dire, in generale, della direzione artistica e delle atmosfere? Sono ben realizzate, capaci di immergere e lasciare di stucco. Siamo stati nel centro di Cambridge e nelle sue aule, vistando poi un pub e le strade inglesi, le colline e le montagne scozzesi, restando sorpresi per la qualità generale della produzione.

Inoltre, non abbiamo riscontrato problemi tecnici di alcun genere, se non sporadiche compenetrazioni qua e là, niente che non sia risolvibile con una patch correttiva. Considerato il prezzo stracciato, l’avventura di State of Play potrebbe in effetti essere goduta anche da chi sta cercando un’avventura non troppo esosa.

In definitiva, South of the Circle è un videogioco dolce e appassionante, capace di arrivare al suo obiettivo con semplicità. È adatto a chiunque stia cercando ben oltre la solita avventura narrativa da vivere e fare propria. Perché la luce rossa che seguiamo, in un modo o nell’altro, corrisponde a cosa cerchiamo dalla vita anche quando non siamo sicuri di cosa potremmo trovare oltre l’orizzonte.