Tchia, alla scoperta della Nuova Caledonia in un sandbox dal fascino tropicale | Provato

Scopriamo insieme Tchia, un'esperienza sandbox sviluppata da Awaceb, un team formatosi in Nuova Caledonia per raccontare la sua terra natia.

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a cura di Nicholas Mercurio

Lo ammetto, non sono mai stato in Nuova Caledonia, quell’insieme di meravigliose isole esotiche e tropicali che si affacciano sull’Oceano Pacifico, a qualche ora dall’Australia. Stando alle informazioni che ho raccolto in questi giorni sul suddetto arcipelago e la sua magnifica cultura, ho scoperto che ci vogliono fra le venti e le venticinque ore di volo per raggiungerla. Un viaggio fatto di scali, attese e probabilmente anche di qualche ritardo se intrapreso a bordo di un aereo che parte dalle varie capitali europee.

A me, invece, non è servito alcun volo di linea per raggiungere la Nuova Caledonia, perché mi è bastato un codice d’anteprima fornitomi da Awaceb per ritrovarmi nel mondo di Tchia, il videogioco ambientato proprio nella terra natia di questi sviluppatori che sono tornati a casa dopo un lungo periodo passato a Toronto, in Canada, a studiare game design e ad aggiornare le loro conoscenze.

Tornare a casa non è mai stato così bello

Il team, noto per l’esperienza platform di Fossil Echo, è al suo secondo videogioco. Raccolta l’esperienza necessaria per proporre qualcosa di realmente inedito, adesso ha l’obiettivo di far conoscere la Nuova Caledonia anche a chi non l’ha mai visitata. Prima che pensiate di essere davanti a un’opera piccina, sappiate che questo videogioco ha tutte le carte in regola per sorprendere. Il team di sviluppo ha creato e curato Tchia proprio nella sua terra natia, a stretto contatto con la barriera corallina e l’Oceano Pacifico, tra le palme e le noci di cocco che cadono dai loro rami, rimbalzando sulle spiagge bianche, disseminate di stelle marine e conchiglie.

Nel panorama dei videogiochi, ormai in costante mutamento, sperimentare è qualcosa che affascina tremendamente perché permette di interfacciarsi con diversi metodi creativi. Awaceb, mentre sviluppava Tchia, intanto coinvolgeva esperti nella creazione dell’opera, parlava con persone, si interrogava sulla fauna locale e partecipava a eventi folkloristici. Nel frattempo, sistemava i modelli poligonali, curava la grafica e cercava nuovi metodi comunicativi per far comprendere quanto la Nuova Caledonia sia la co-protagonista di questa avventura a mondo aperto che richiama The Legend of Zelda: Breath of the Wild per alcune meccaniche. Creare un mondo, d’altronde, non è semplice: immaginatevi quanto sia complesso cercare di replicare ogni area delle varie isole senza tralasciare alcunché, riempiendo ogni lato della mappa in modo coerente.

Qualcuno erroneamente può pensare che sia semplice, che è da tutti ed è facilmente replicabile in qualunque modo, ma per parlare di un’opera del genere si deve avere una conoscenza profonda della propria identità. Decidere di produrre un titolo simile rappresenta anche un grosso rischio, ma Awaceb ha avuto l’intuizione di capire come produrre Tchia senza limitarsi, studiando e approfondendo a dovere la propria cultura locale. Come si fa, però, a far arrivare tutto questo ai giocatori? Qual è il metodo più adatto per riuscire a raggiungere un traguardo del genere senza dover per forza arrivare a ripensarlo completamente?

Attraverso la comunicazione con gli abitanti di Nuova Caledonia, il team è riuscito inoltre a implementare uno dei tanti dialetti delle isole, ovvero il drehu, che per tante persone corrisponde alla vera lingua parlata nel Paese, nonostante il francese sia la più diffusa. L'arcipelago, infatti, fa parte della Francia dal 1853, e le minoranze all’interno del Paese conservano la memoria storica degli antenati, vivendo nell’entroterra, nelle aree costiere e nelle cittadine, partecipando alla vita mondana come cittadini francesi a tutti gli effetti.

Il team, inoltre, ha catturato musiche e canti popolari, proponendo uno strumento tanto bello quanto complesso da suonare: l’ukulele. La sua implementazione, in realtà, è legata al gameplay di gioco, ma questo è un punto di cui vi parlerò poco più sotto. Tchia è una produzione che intende catturare l’anima stessa della Nuova Caledonia per proporla a un pubblico vasto e interessato a scoprirne i segreti e le sfumature. Un luogo che, oltre a profumare di pace e decantare meraviglia, racconta di vite passate e parallele alle altre, di incontri lontani, di spiagge e momenti significativi.

Cosa significa raccontare un luogo, facendolo parlare attraverso i momenti e gli spaccati d’ambientazione più affascinanti? Vuol dire dargli rispetto e importanza, e il team di sviluppo, optando per un approccio di questo genere, ha tenuto in considerazione ogni suo aspetto intimo e personale, cercando di parlarne con cognizione di causa. La persona migliore che può raccontare qualcosa del suo Paese, d’altronde, è la stessa che ci ha vissuto e continua a farlo, non stancandosi dei suoi luoghi, delle sue sfaccettature e di cosa nasconde e ancora non si conosce, ma che aspetta di essere trovato da chi è curioso. Casa è dove sei felice, dopotutto.

La storia di Tchia

Un falò, una spiaggia e un racconto sotto le stelle. L’introduzione della prima porzione di mappa di Tchia, che corrisponde a un terzo della produzione, inizia con una storia su una bambina che conserva l’anima delle isole. La narra in drehu, come da tradizione, a degli orfani che ascoltano con estremo interesse e meraviglia, incuriositi di saperne di più. Le parole sono accompagnate dalle note della musica tradizionale della Nuova Caledonia, e il racconto sembra pronto per presentarsi a dovere in ogni forma.

Basta qualche secondo per essere trasportati proprio al suo interno: una ragazzina è seduta su una spiaggia mentre suo padre, intento a raccogliere noci di cocco e a sistemare a dovere la loro isola per un incontro speciale, sembra felice come non mai. La storia di Tchia, infatti, inizia in questo modo: dalla semplicità. Anche se non posso rivelarvi molto, sappiate soltanto che il viaggio della piccola Tchia comincia proprio in quel giorno, quando si ritrova a dover fare i conti con un personaggio spietato che rapisce suo padre.

Decisa a ritrovarlo, si imbarca in un viaggio straordinario che non vedo l’ora di approfondire a dovere non appena arriverà il momento. Tuttavia, la ragazzina incontrerà personaggi diversi lungo nelle sue peripezie: conoscerà persone bisognose d’aiuto, di qualche parola di conforto e pure di una canzone. Come ho accennato prima, l’opera si concentra per far conoscere al giocatore tutte le particolarità della cultura della Nuova Caledonia: per stessa ammissione di Awaceb, infatti, Tchia è un videogioco diretto a un pubblico vasto, che possa apprezzarne le sfaccettature. In tal senso, l’approccio utilizzato per raccontare la storia ci appare assolutamente ben costruito e il contesto, forte appunto dello studio di cui ho già parlato in più di un’occasione, potrebbe rappresentare l’aspetto vincente dell’intera produzione.

Raccontare una storia, tuttavia, non è semplice: serve intelligenza, capacità e un pizzico di follia. E Awaceb ne ha da vendere, soprattutto di follia. Sono andato a informarmi a dovere su tutte le aggiunte inserite nel tessuto narrativo dedicato e ho scoperto che gli sviluppatori hanno catturato simbolicamente le credenze popolari della loro terra natia, adattandole per non mancare di rispetto a chiunque creda ancora nell’anima delle isole e al suo potere benefico. In questa prima porzione di mappa, infatti, ho avvertito sin da subito quanto l’accoglienza sia alla base della cultura della Nuova Caledonia, con persone gentili pronte ad aiutare il prossimo con semplicità e ascolto. E informandomi meglio, ho persino scoperto che fa parte delle varie popolazioni che abitano questi luoghi.

Pur non potendo approfondire la narrazione e il resto del racconto, ammetto di nutrire molte speranze per la storia e la sua evoluzione. Sarà curioso, in tal senso, scoprire cosa nasconderà e quali saranno i messaggi di fondo da svelare e come si incastreranno con tutto il resto. Inoltre, Tchia sembra un personaggio ben delineato per un motivo molto semplice ma assolutamente rilevante: è una ragazzina che, incuriosita dal mondo, non vede l’ora di scoprirlo e conoscerlo. Essendo un’opera di fantasia, la giovane conserva un potere che le consente di compiere gesti al di fuori dell’ordinario, come controllare oggetti e trasferirsi negli animali. Questo aspetto, infatti, sarà da approfondire una volta che la produzione verrà pubblicata nella sua interezza, in modo tale da avere una consapevolezza maggiore per capirne la profondità e il suo inserimento nell’avventura.

Un mondo aperto affascinante e pieno di vita

Tchia è un’avventura dinamica con una spolverata di sandbox in un mondo aperto vivo e pulsante da esplorare, assorbire e conoscere in ogni modo possibile. L’esplorazione, alla base dell’aspetto ludico, è certamente la parte più interessante, perché spinge il giocatore a interfacciarsi con tutto ciò che è conservato sull’isola, dai personaggi, alla sua fauna e flora affascinanti, da scoprire per non lasciare nulla al caso. Il titolo presenta un tutorial semplice e intuitivo, in cui si imparano a usare la fionda, i poteri dell'anima della ragazzina, a manovrare la barca per spostarsi da un’isola all’altra e suonare l’ukulele, lo strumento di cui vi ho parlato poco più sopra. Fermandosi ai falò, sarà infatti possibile dormire, mangiare per recuperare l’energia spesa durante le esplorazioni e suonare lo strumento, divertendosi a strimpellarlo.

Potrebbe sembrare un’attività secondaria ma, in realtà, è una parte fondamentale per la progressione della ragazzina, perché può migliorare le melodie dell’anima utili per avere una maggiore connessione con la terra e l’oceano. Sì, perché Tchia ha un legame con l’isola che viene solo menzionato in questa prima parte di storia ma non approfondito per non rivelare troppo, ed è forse la scelta migliore che il team potesse prendere. Una parte che ho certamente apprezzato, durante la mia prova, è stata esplorare la porzione di mappa in lungo e in largo, sbloccando dei luoghi d’interesse per sapere dove fossi. A riguardo, basta solo raggiungere le sommità di un luogo che si affaccia su un paesaggio e urlare a squarciagola: è una meccanica molto simile alla sincronizzazione di Assassin’s Creed, per chi se lo stesse chiedendo. La sua implementazione, seppure non originale, si dimostra tuttavia utile quando si deve trovare una persona o il luogo indicato di una missione.

Durante il tutorial, oltre alla navigazione, mi è stato spiegato come usare la bussola. Il team, in tal senso, ha cercato di ridurre le interfacce proprio per dare un maggiore senso di coinvolgimento al giocatore, spingendolo a ragionare. Sia chiaro, non mancano le indicazioni, che però non compaiono sulla mappa ed è necessario equipaggiare lo strumento per non perdersi e arrivare a destinazione senza impazzire. Navigare, la meccanica sicuramente più libera, permette di raggiungere luoghi lontani e incontaminati dall’essere umano.

In diverse occasioni, infatti, mi è capitato di arrivare in territori occupati solo da animali. A impressionarmi, però, è la cura riservata sia per ricreare dei minigiochi che richiamano fedelmente la cultura locale, sia per l’ambientazione. Armata di fionda, la giovane può recuperare noci di cocco e molto altro e ogni aspetto ludico, legato anche a minigiochi che mi hanno intrattenuto, sembra proprio ben inserito. C’è anche una parte più spirituale, che però il team non ha spiegato proprio per non rivelare troppo, ed è legata ai Frutti dell’Anima. La giovane, una volta intagliato un ciocco di legno come dono agli antenati, può usarlo per aprirsi la strada nelle grotte, raggiungendolo e mangiandolo, potenziandosi e perfezionando il suo legame con l’isola e con le anime.

Non potendovi raccontare molto altro, il gameplay di Tchia appare semplice ma ben confezionato, con una parte dedicata all’esplorazione che non vedo l’ora di scoprire. A riguardo, il team spinge proprio il giocatore a non dare nulla per scontato: in più di un’occasione, infatti, ho preferito non seguire gli obiettivi principali per godermi gli spaccati ambientali. Dal punto di vista grafico ho notato una cura maniacale per il mare e gli orizzonti. E anche se è ancora in fase di sviluppo, l’opera appare quasi pronta.

Al netto di qualche piccolo bug che ho trovato di tanto in tanto, che il team può sistemare prima della pubblicazione, questo primo contatto con Tchia è stato piacevole, coinvolgente e a tratti addirittura commovente. Una sequenza che ho certamente trovato azzeccata è dedicata al dono del fiore di un saggio adagiato sull’orecchio destro di Tchia: secondo un detto popolare Kanak, può solo essere spostato in quello sinistro quando si trova il vero amore. E immagino quale possa essere per la ragazzina.

Cosa aspettarsi da Tchia?

Tante emozioni, tanti luoghi da scoprire e assorbire. Tante nuove sfumature, persone da conoscere e sogni da esaudire. La Nuova Caledonia è un luogo affascinante che conserva l’anima stessa della sua cultura, che Awaceb intende raccontare attraverso gli occhi di Tchia. Pur essendo una storia di fantasia, non presente nei racconti Kanak, sembra però adatta a chiunque, e potrebbe essere questo il suo punto di contatto maggiore con il giocatore.

In svariate occasioni, vuoi perché amo la Disney e le sue produzioni le guardo sempre con piacere, mi ha ricordato Oceania. A differenza di Vaiana, però, Tchia non deve lasciare la sua terra per cercarne una nuova per il suo popolo, ma scoprire sé stessa dai racconti e dal suo stesso passato. La Nuova Caledonia ha la sua anima. E ora non mi resta che fare il biglietto aereo.