Amo la vita, la porto su un altro Pianeta

Intervista a Simone Mari, il ragazzo 25enne italiano che si è candidato per la missione Mars One perché ama talmente tanto la Terra da voler portare un po' di umanità su un altro Pianeta.

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a cura di Elena Re Garbagnati

Secondo te le Terra è un Pianeta da cui vale la pena andarsene o c'è ancora qualcosa di recuperabile?

"Secondo me quando qualcuno vuole andarsene la si può vedere in tre modi. O perché è stufo marcio della vita su questo Pianeta e di com'è il Mondo. Oppure proprio perché lo ama tantissimo e vuole fare qualcosa per lui. Oppure è come se ne avesse avuto abbastanza, fosse contento dell'esperienza che ha avuto e vuole muoversi oltre. Io sono per la seconda opzione. Posso capire che tanti vogliono portare solo un briciolo di umanità dall'altra parte, in un posto lontano da quello che vediamo tutti i giorni, dal marcio, dal non fatto che si potrebbe fare e dal decadimento continuo che vediamo. Li capisco, ma non sono fra quelli che vorrebbero andarsene per frustrazione.

Credo che sia molto da salvare, molto da dire, da fare  e da vivere in questa Terra e può sembrare un paradosso ma è proprio per questo che io andrei. Amo la vita così tanto che voglio portarla su un altro Pianeta. Vorrei portare tutta l'umanità di adesso con tutti i suoi difetti, ma anche i suoi pregi, altrove.

Sono molto contento della mia vita e di tutto, da un punto di vista relazionale, spirituale e personale, fisico e professionale. Non avrei motivo per cercare un'opzione di fuga. È proprio il contrario anzi".

Pensando a un viaggio su Marte non hai paura dell'ignoto? Si dice che le religioni siano la risposta alla paura dell'ignoto, in realtà sembra che tu la risposta la stia cercando dentro di te. Perché non hai paura o perché hai una ricetta personale per affrontarla?

"Non credo che la durata di una vita o la sua sicurezza siano i metri di misura del suo successo e della sua realizzazione. Voglio dire se esco nello spazio e rischio di morie anche solo nel viaggio di andata io non lo vedo come un fallimento o una tragedia di una vita. Continuo a vederlo come la mia realizzazione massima perché a quel punto avrei veramente servito il mio sogno più profondo anche solo nell'essere uscito dall'atmosfera. Avrei servito il mio sogno, la mia specie nel rappresentarla in un'impresa e quindi per quanto possa sembrare assurdo non lo considererei la fine di una vita. Darebbe stata comunque una parabola ascendente di realizzazione. Chiaramente la componente di paura rimane ed è giusto che sia così perché aiuta a decidere e a ponderare bene però non mi deve fermare. Non mi ferma proprio per il punto di vista spirituale che c'è sotto: la realizzazione di me. Se riuscissi a diventare quest'astronauta sarei la persona più realizzata dell'universo quindi a quel punto quello che succede non è così importante. Nel senso la mia realizzazione c'è e quindi l'ignoto è un mezzo attraverso il quale realizzarmi, non è più un nemico che mi si oppone. In conclusione non posso dire che non ci sarebbe la paura, ma non mi fermerebbe".