Nel mondo digitale di oggi, dove messaggi privati e post sui social diventano parte integrante della nostra quotidianità, i confini tra vita personale e lavoro sono sempre più sfumati. Il Garante Privacy lo ricorda con decisione: usare chat private o contenuti social dei dipendenti per giustificare sanzioni disciplinari o licenziamenti è illecito e può costare caro alle aziende. Il provvedimento n. 288/2025, che ha portato a una multa di 420 mila euro, sottolinea l’importanza di rispettare la privacy dei lavoratori anche nell’era digitale.
L’azienda, dice il provvedimento, ha trattato in modo illecito i dati personali della dipendente. In particolare, tali dati, reperiti sui social network nonché sulle chat private di Messenger e Whatsapp, sono stati utilizzati dapprima per elevare due contestazioni disciplinari, e poi per giustificare il licenziamento della lavoratrice.
Un simile comportamento, secondo il Garante, risulta anzitutto in contrasto con quanto disposto dall’art. 8 dello Statuto dei lavoratori, per cui: “È fatto divieto al datore di lavoro, ai fini dell'assunzione, come nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro, di effettuare indagini, anche a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore, nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell'attitudine professionale del lavoratore”.
Al datore di lavoro, dunque, è fatto divieto di effettuare indagini sulle opinioni e sulla vita privata dei suoi dipendenti salvo che non si tratti di informazioni strettamente rilevanti per l’attività lavorativa.
GDPR e principi di liceità, pertinenza e proporzionalità
Il comportamento del datore di lavoro che utilizza chat private e contenuti pubblicati sui social network dai dipendenti per imporre sanzioni disciplinari o procedere a licenziamenti risulta, secondo il Garante, altresì in contrasto sia con l’art. 5 del GDPR, che stabilisce i principi fondamentali del trattamento dei dati personali, sia con l’art. 6 del medesimo regolamento, che ne disciplina i presupposti di liceità (per maggiori informazioni sulla disciplina relativa al trattamento dei dati personali clicca qui).
I contenuti pubblicati sui profili social o condivisi su chat private pur essendo tecnicamente accessibili non perdono il loro carattere personale e riservato. La loro acquisizione da parte del datore di lavoro e ancora di più il loro utilizzo nell’ambito di procedimenti disciplinari deve avvenire nel rispetto dei principi di liceità, correttezza, trasparenza, pertinenza, necessità e proporzionalità. Il solo fatto che un contenuto sia visibile online o che circoli in gruppi ristretti di utenti non giustifica il suo impiego da parte dell’azienda se non sussiste un interesse legittimo chiaramente individuabile e superiore al diritto alla riservatezza della persona coinvolta. In mancanza di una informativa specifica, di una finalità compatibile con la normativa e di una reale necessità il trattamento risulta illecito.
Equilibrio tra diritti dei lavoratori e potere direttivo del datore di lavoro
È fondamentale garantire un equilibrio consapevole tra il potere direttivo del datore di lavoro e i diritti fondamentali dei lavoratori (per maggiori informazioni sul punto clicca qui). Le autorità italiane ribadiscono che le aziende non possono liberamente utilizzare contenuti provenienti da social network o piattaforme di messaggistica per giudicare il comportamento dei propri dipendenti.
Un simile approccio viola le norme sulla protezione dei dati personali, in particolare quando tali informazioni non sono pertinenti o necessarie ai fini lavorativi. Qualsiasi trattamento di dati deve avvenire nel rispetto dei principi di necessità, proporzionalità e liceità, secondo quanto previsto dal GDPR.
Il datore di lavoro, pertanto, non è autorizzato a sorvegliare aspetti della vita privata del dipendente né a raccogliere dati che non siano strettamente funzionali alla prestazione lavorativa o alla protezione dell’organizzazione.
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