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Chat e social media usati per licenziare, 420mila euro di multa

Con il provvedimento n. 288/2025 il Garante Privacy è intervenuto a sanzionare con una multa di 420 mila euro una nota azienda per avere trattato in modo illecito i dati personali di una dipendente.

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a cura di Avv. Giuseppe Croari

avv.

Pubblicato il 04/09/2025 alle 18:00 - Aggiornato il 05/09/2025 alle 09:05

L'articolo in un minuto

  • Il Garante Privacy ha inflitto una multa di 420 mila euro a un'azienda che ha utilizzato illegalmente contenuti da chat private e social network di una dipendente per giustificare contestazioni disciplinari e il successivo licenziamento
  • L'uso di messaggi privati e post social dei dipendenti per sanzioni disciplinari viola sia l'art. 8 dello Statuto dei lavoratori che i principi del GDPR su liceità, pertinenza e proporzionalità del trattamento dati
  • Le aziende non possono sorvegliare la vita privata dei dipendenti né raccogliere dati non strettamente funzionali alla prestazione lavorativa, anche se tecnicamente accessibili online
Riassunto generato con l'IA. Potrebbe non essere accurato.

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Nel mondo digitale di oggi, dove messaggi privati e post sui social diventano parte integrante della nostra quotidianità, i confini tra vita personale e lavoro sono sempre più sfumati. Il Garante Privacy lo ricorda con decisione: usare chat private o contenuti social dei dipendenti per giustificare sanzioni disciplinari o licenziamenti è illecito e può costare caro alle aziende. Il provvedimento n. 288/2025, che ha portato a una multa di 420 mila euro, sottolinea l’importanza di rispettare la privacy dei lavoratori anche nell’era digitale.

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L’azienda, dice il provvedimento, ha trattato in modo illecito i dati personali della dipendente. In particolare, tali dati, reperiti sui social network nonché sulle chat private di Messenger e Whatsapp, sono stati utilizzati dapprima per elevare due contestazioni disciplinari, e poi per giustificare il licenziamento della lavoratrice.

Un simile comportamento, secondo il Garante, risulta anzitutto in contrasto con quanto disposto dall’art. 8 dello Statuto dei lavoratori, per cui: “È fatto divieto al datore di lavoro, ai fini dell'assunzione, come nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro, di effettuare indagini, anche a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore, nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell'attitudine professionale del lavoratore”. 

Al datore di lavoro, dunque, è fatto divieto di effettuare indagini sulle opinioni e sulla vita privata dei suoi dipendenti salvo che non si tratti di informazioni strettamente rilevanti per l’attività lavorativa. 

GDPR e principi di liceità, pertinenza e proporzionalità

Il comportamento del datore di lavoro che utilizza chat private e contenuti pubblicati sui social network dai dipendenti per imporre sanzioni disciplinari o procedere a licenziamenti risulta, secondo il Garante, altresì in contrasto sia con l’art. 5 del GDPR, che stabilisce i principi fondamentali del trattamento dei dati personali, sia con l’art. 6 del medesimo regolamento, che ne disciplina i presupposti di liceità (per maggiori informazioni sulla disciplina relativa al trattamento dei dati personali clicca qui). 

I contenuti pubblicati sui profili social o condivisi su chat private pur essendo tecnicamente accessibili non perdono il loro carattere personale e riservato. La loro acquisizione da parte del datore di lavoro e ancora di più il loro utilizzo nell’ambito di procedimenti disciplinari deve avvenire nel rispetto dei principi di liceità, correttezza, trasparenza, pertinenza, necessità e proporzionalità. Il solo fatto che un contenuto sia visibile online o che circoli in gruppi ristretti di utenti non giustifica il suo impiego da parte dell’azienda se non sussiste un interesse legittimo chiaramente individuabile e superiore al diritto alla riservatezza della persona coinvolta. In mancanza di una informativa specifica, di una finalità compatibile con la normativa e di una reale necessità il trattamento risulta illecito. 

Equilibrio tra diritti dei lavoratori e potere direttivo del datore di lavoro

È fondamentale garantire un equilibrio consapevole tra il potere direttivo del datore di lavoro e i diritti fondamentali dei lavoratori (per maggiori informazioni sul punto clicca qui). Le autorità italiane ribadiscono che le aziende non possono liberamente utilizzare contenuti provenienti da social network o piattaforme di messaggistica per giudicare il comportamento dei propri dipendenti. 

Un simile approccio viola le norme sulla protezione dei dati personali, in particolare quando tali informazioni non sono pertinenti o necessarie ai fini lavorativi. Qualsiasi trattamento di dati deve avvenire nel rispetto dei principi di necessità, proporzionalità e liceità, secondo quanto previsto dal GDPR. 

Il datore di lavoro, pertanto, non è autorizzato a sorvegliare aspetti della vita privata del dipendente né a raccogliere dati che non siano strettamente funzionali alla prestazione lavorativa o alla protezione dell’organizzazione.

Se sei un’azienda e necessiti di supporto, rivolgiti ai nostri partner dello Studio Legale FCLEX e chiedi dell’Avvocato Giuseppe Croari esperto di diritto dell’informatica e delle nuove tecnologie.

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