La Commissione europea si trova al centro di un delicato equilibrio tra controllo delle Big Tech e sostenibilità finanziaria delle operazioni di supervisione. Mentre alcuni parlamentari europei spingono per l'introduzione di una tassa specifica che copra i costi di monitoraggio del rispetto del Digital Markets Act, Bruxelles sembra mantenere una posizione cauta. La vicepresidente esecutiva della Commissione europea Henna Virkkunen ha chiarito che attualmente non esiste alcuna proposta concreta per l'implementazione di una simile tassa, pur non escludendo completamente questa possibilità per il futuro.
Il precedente del Digital Services Act
Il dibattito nasce dal confronto con un altro strumento legislativo europeo, il Digital Services Act, che già prevede una tassa di supervisione pari allo 0,05% del fatturato netto annuale mondiale per le grandi piattaforme online. Questo meccanismo di finanziamento ha generato non poche controversie, con diverse aziende tecnologiche che hanno contestato sia l'importo che la metodologia di calcolo utilizzata dalle autorità europee.
Nel marzo scorso, la Commissione europea ha comunicato di aver addebitato complessivamente 58,2 milioni di euro alle maggiori piattaforme online per coprire i costi di supervisione del Digital Services Act nel 2025. Tuttavia, questa cifra rimane oggetto di contestazioni legali, con Meta, TikTok e Google che hanno avviato procedimenti giudiziari per impugnare il calcolo delle rispettive quote.
Le resistenze delle aziende tecnologiche
Le proteste più significative sono arrivate da Meta Platforms e TikTok, che già nel febbraio 2024 avevano formalmente contestato la tassa di supervisione loro imposta. Un portavoce di TikTok aveva espresso particolare disappunto per la metodologia utilizzata, criticando l'uso di stime di terze parti sui numeri degli utenti attivi mensili, considerate poco affidabili come base per determinare l'importo totale da versare.
Nonostante le critiche, la Commissione europea ha mantenuto una posizione ferma, con i propri rappresentanti che hanno sottolineato l'impegno dell'istituzione a difendere le proprie decisioni nelle sedi giudiziarie competenti.
Il Digital Markets Act nel mirino degli Stati Uniti
Le tensioni non si limitano agli aspetti finanziari, ma si estendono anche al piano politico internazionale. Il vicepresidente degli Stati Uniti J.D. Vance ha citato specificamente il Digital Services Act come esempio di quella che considera una "regolamentazione eccessiva" dell'intelligenza artificiale da parte dell'Unione Europea, inclusi gli sviluppatori di AI con sede negli Stati Uniti.
Il Digital Markets Act, entrato in vigore nel 2023, si applica attualmente a sei colossi tecnologici: Alphabet, Amazon, Apple, ByteDance, Meta Platforms e Microsoft. La normativa è progettata per contrastare i comportamenti anticoncorrenziali attraverso una serie di divieti specifici: impedisce alle piattaforme di privilegiare i propri servizi rispetto a quelli dei concorrenti, vieta l'amalgama di dati personali provenienti da servizi diversi, e proibisce l'utilizzo di informazioni raccolte da commercianti terzi per pratiche competitive sleali.
Tra le disposizioni più innovative del Digital Markets Act figura l'obbligo per le aziende di consentire agli utenti di scaricare applicazioni da piattaforme rivali, una misura che mira a rompere i monopoli digitali consolidati. Questa normativa rappresenta uno dei tentativi più ambiziosi dell'Unione Europea di ridisegnare le regole del gioco nel settore tecnologico, anche se la questione del finanziamento delle attività di supervisione rimane ancora aperta.
L'approccio prudente della Commissione europea riguardo all'introduzione di una tassa specifica per il Digital Markets Act riflette probabilmente la volontà di evitare ulteriori contenziosi legali, considerando le già complesse battaglie giudiziarie in corso per il Digital Services Act.