L'imprenditore e saggista Paul Graham, co-fondatore di Y Combinator, ha introdotto circa un anno fa un concetto tanto semplice quanto dirompente: la "Founder Mode". Si tratta di un approccio alla leadership in cui il fondatore o il CEO abbandona temporaneamente il ruolo di manager puro per immergersi di nuovo nelle operazioni, nel prodotto, nel codice. Una risposta diretta a un problema comune: la progressiva disconnessione dei leader dalla realtà operativa dell'azienda che hanno creato.
Un modello di gestione, quello proposto, che va un po’ in controcorrente rispetto all’idea più comune di leadership aziendale. In genere si tende a pensare che il leader debba via via allontanarsi dall’operatività quotidiana, trovare persone valide e delegare a loro, per occuparsi della gestione. Il rischio è quello di un capo che si allontana, che rischia di trovarsi a “vivere in un altro mondo”, e sicuramente ciò rende affascinante l'idea di un leader che "torna in trincea".
La Founder Mode mette in discussione decenni di teorie manageriali basate sulla delega e sulla costruzione di processi, suggerendo che, in alcuni momenti cruciali, l'intervento diretto del fondatore sia non solo utile, ma necessario. E sicuramente è un discorso che tocca alcuni nervi scoperti, perché come ogni cosa anche le teorie manageriali moderne possono fare danni, se applicate senza riflettere, in modo acritico e pervasivo.
La Founder Mode tuttavia non è necessariamente la risposta perfetta, e anche se lo fosse c’è sempre il rischio di esagerare. La domanda è se si tratti di una reale innovazione nel modo di dirigere un'impresa o di una rischiosa glorificazione dell'accentramento.
Due mentalità al comando: Founder Mode vs Manager Mode
Per comprendere la portata di questo approccio, è essenziale distinguerlo dal suo opposto: la Manager Mode. Quest'ultima rappresenta il modello di gestione ortodosso, quello che si insegna nelle business school.
Il leader che opera in Manager Mode si concentra sulla costruzione della macchina organizzativa. Il suo lavoro consiste nel definire strategie, allocare budget, assumere le persone giuste e, soprattutto, delegare. L'obiettivo è creare un sistema scalabile e processi solidi che possano funzionare in modo efficiente anche in sua assenza. La performance si misura attraverso indicatori chiave (KPI) e il successo è dato dalla capacità dell'organizzazione di crescere in modo stabile e prevedibile.
La Founder Mode, al contrario, è una rottura deliberata con la routine manageriale. Il leader smette di osservare i cruscotti e si mette al volante. Invece di leggere report, apre l'editor del codice, partecipa alle riunioni di progettazione, parla direttamente con i clienti, riscrive il testo di una campagna. Non è un'abdicazione al ruolo strategico, ma il riconoscimento che in certe fasi la strategia si definisce "sul campo". È un approccio ottimizzato per la velocità e l'innovazione, non per la stabilità. Il fondatore diventa la risorsa a più alta leva per risolvere un problema specifico o cogliere un'opportunità irripetibile. Un’idea in cui è facile riconoscere il modo di lavorare “da startup”.
L'esempio più emblematico di questa dualità si trova nella storia di Apple. Steve Jobs, soprattutto nel suo secondo mandato, incarnava una versione estrema della Founder Mode: la sua ossessione per i dettagli del prodotto, dal design del circuito stampato alla curvatura degli angoli di un'icona, è leggendaria. Tim Cook, al contrario, è l'archetipo del leader in Manager Mode. La sua genialità non risiede nell'ideazione di prodotti, ma nella costruzione e ottimizzazione di una catena di approvvigionamento e di un'efficienza operativa senza pari. Come analizzato da diverse testate, tra cui Forbes, entrambi i dirigenti sono stati fondamentali per il successo di Apple, ma in momenti diversi della sua evoluzione.
Aveva ragione da vendere chi sottolineava come Cook fosse diverso da Jobs, e come Apple fosse cambiata. Ma non era un cambiamento negativo in quel momento - anche se forse oggi i tempi sono maturi per un nuovo cambiamento.
La vera abilità di un leader moderno non consiste nello scegliere un modello e attenervisi dogmaticamente, ma nel riconoscere quando è il momento di cambiare modalità. Nelle fasi iniziali di una startup, la Founder Mode è quasi una condizione naturale e necessaria. Con la crescita, la Manager Mode diventa indispensabile per non implodere nel caos. Ma di fronte a una crisi, al lancio di una linea di business rivoluzionaria o a una minaccia competitiva, la capacità di tornare temporaneamente a essere fondatore può determinare la sopravvivenza stessa dell'impresa.
I rischi: quando la Founder Mode diventa micro-management
Il confine tra un leader coinvolto e un micro-manager è sottile e pericoloso. Se la Founder Mode viene interpretata come una licenza per esercitare un controllo capillare su ogni singola attività, i suoi benefici si trasformano rapidamente in un freno per l'intera organizzazione. Il micro-management, come evidenziato anche dalla Harvard Business Review, non è una dimostrazione di attenzione, ma una mancanza di fiducia nelle capacità del proprio team. Questo approccio gestionale si manifesta quando il focus si sposta dal "cosa" (l'obiettivo, la qualità del risultato) al "come" (il modo esatto in cui un compito deve essere eseguito).
I segnali che indicano uno slittamento tossico sono inequivocabili. Un leader che scivola nel micro-management diventa un collo di bottiglia: ogni decisione, anche la più piccola, deve passare dalla sua approvazione. I collaboratori smettono di prendere iniziative, limitandosi a eseguire compiti per paura di sbagliare o di essere scavalcati. Le riunioni si moltiplicano e diventano sessioni di reporting anziché di brainstorming. Il leader chiede aggiornamenti costanti, controlla le email o interviene nei processi di lavoro dei singoli, erodendo ogni forma di autonomia e responsabilità individuale.
Le conseguenze di questo stile di comando sono devastanti. La creatività, che la Founder Mode dovrebbe sprigionare, viene soffocata. I talenti migliori, assunti per la loro capacità di risolvere problemi in autonomia, si sentono demotivati e frustrati, e spesso finiscono per lasciare l'azienda. Invece di accelerare, l'organizzazione rallenta, impantanata nell'attesa delle continue approvazioni del capo. Paradossalmente, il tentativo del leader di garantire la qualità attraverso il controllo porta a un risultato peggiore, perché priva l'azienda delle competenze e delle intuizioni collettive del team.
La differenza fondamentale risiede quindi nell'intento e nel focus. Nella sua accezione positiva, la Founder Mode è un intervento chirurgico: il leader usa la sua profonda conoscenza del prodotto e della visione per rimuovere un ostacolo, risolvere una crisi o accelerare un progetto critico, lavorando al fianco del team. Il micro-manager, invece, non compie un intervento mirato, ma applica un controllo sistematico e pervasivo. La prima è una dimostrazione di responsabilità, la seconda è una patologica manifestazione di insicurezza. La Founder Mode funziona solo se poggia su un team di persone competenti e fidate.
Leadership situazionale o culto della personalità?
La Founder Mode non è una formula magica, ma uno strumento potente da usare con estrema cautela. La sua efficacia è legata al contesto. Può essere la scelta giusta durante il lancio di un prodotto, una fase di profonda ristrutturazione o quando l'anima dell'azienda rischia di diluirsi. Tuttavia, elevarla a stile di gestione permanente è un errore strategico che può portare a due distorsioni pericolose: il burnout del leader e la creazione di un'organizzazione fragile. Un essere umano non può sostenere a lungo un livello così intenso di coinvolgimento operativo senza pagarne le conseguenze fisiche e mentali.
Il nome stesso, con il termine mode indica una modalità temporanea. Come accennato sopra, è proprio la volontà e la capacità di cambiare modalità all’occorrenza, che può fare la differenza.
Inoltre, un'eccessiva enfasi su questo modello rischia di alimentare il "culto del fondatore", quella narrazione tossica, tipica di una certa cultura della Silicon Valley, che attribuisce il successo di un'impresa al genio solitario di un individuo. Questo non solo è quasi sempre una semplificazione della realtà, ma crea anche un'enorme vulnerabilità. Un'azienda "eroe-dipendente" è un'azienda che non ha sviluppato una vera cultura organizzativa, processi solidi e una leadership diffusa. Il suo destino è legato a doppio filo alle sorti, e alla presenza, di una sola persona.
La vera innovazione, quindi, non sta nell'adottare la Founder Mode come un dogma, ma nell'integrare i suoi principi all'interno di un modello di leadership più maturo e flessibile. Si tratta di ciò che la teoria manageriale definisce da tempo leadership situazionale: la capacità di diagnosticare le esigenze del contesto e del team e di adattare di conseguenza il proprio stile di guida. Un leader efficace sa quando è il momento di fare un passo indietro e lasciare che l'organizzazione lavori (Manager Mode) e quando, invece, è indispensabile "scendere in campo" per dare una direzione chiara e viscerale (Founder Mode).
Riflettere sulla Founder Mode è, dunque, di per sé un gesto prezioso, perché costringe chi guida un'azienda a porsi una domanda fondamentale: qual è il mio reale valore aggiunto in questo preciso momento? La risposta non può essere sempre la stessa. La sfida più complessa per un imprenditore di successo non è creare un prodotto vincente o avere un'intuizione geniale. È, piuttosto, quella di costruire un'organizzazione resiliente, capace di innovare e prosperare anche quando il suo fondatore ha la saggezza di tornare a fare, semplicemente, il manager.