Le imprese italiane stanno tutte affrontando la stessa sfida, cioè quella della trasformazione digitale. Alcuni lo fanno perché convinti che porti vantaggi, altri perché semplicemente non si può evitare. Ma un po’ dappertutto è diffuso timore che l'automazione e l'intelligenza artificiale possano tradursi in tagli al personale. La realtà è un'altra, come sottolinea Loris Marchiori, Corporate Communication Director di Archiva Group (nella foto): l'efficienza porta a un aumento dei profitti, e "io non conosco nessuna azienda che licenzia quando aumenta il margine"; al contrario, reinveste per crescere.
Questa dinamica economica è il fulcro per comprendere il reale impatto dell'automazione. Quando un'impresa ottimizza i processi di supporto – quelli amministrativi, contabili, di acquisto – non sta intaccando il suo core business, ma sta riducendo i costi operativi. Il risultato è un recupero di risorse che, in un'organizzazione sana, vengono quasi sempre reinvestite per innovare il prodotto, esplorare nuovi mercati o, soprattutto, per valorizzare il capitale umano, spostando le persone da attività ripetitive a ruoli più strategici, che richiedono creatività, analisi e interazione umana.
Una delle chiavi per un'adozione tecnologica di successo risiede in un cambio di prospettiva fondamentale. Molti progetti falliscono perché si concentrano su una drastica "trasformazione digitale", che mira a stravolgere il modello di business di un'azienda. Un approccio più efficace, invece, è quello della "transizione digitale": questa filosofia non chiede a un produttore di smettere di fare il suo mestiere, ma lo aiuta a farlo meglio, alleggerendo tutto ciò che è a corollario: l'amministrazione, la gestione dei fornitori, la logistica documentale, la conformità normativa. L'obiettivo non è cambiare cosa fa un'azienda, ma migliorare drasticamente l'efficienza di come lo fa, permettendole di concentrarsi sul proprio vantaggio competitivo.
Diciamo che c’è un imprenditore che si dedica alla produzione di salami. Questo imprenditore non ha alcuna intenzione di modificare il proprio modello di business; il suo obiettivo primario è continuare a produrre "i migliori salami del mondo". Un approccio di transizione digitale, quindi, non interviene sul prodotto, ma agisce su tutti i processi a corollario: la gestione documentale per l'esportazione, la burocrazia della filiera, i controlli di qualità. Ottimizzando queste attività, l'azienda può ridurre il personale dedicato ai compiti amministrativi, ad esempio passando da cinque a tre persone nell'ufficio export. Le risorse umane ed economiche così liberate non vengono tagliate, ma reinvestite nel core business. Le persone, ad esempio, potrebbero essere formate su attività a maggior valore come la gestione delle catene di fornitura e il controllo di spesa, smettendo così di occuparsi di attività ripetitive.
Il punto di partenza di questa transizione è spesso un bisogno contingente, come l'adeguamento a una nuova normativa europea sulle dogane o l'obbligo di fatturazione elettronica internazionale. Queste scadenze, percepite come un peso, possono diventare il motore per un'analisi più profonda dei propri processi. Un'azienda che esporta, ad esempio, fino a poco tempo fa gestiva le bollette doganali tramite documenti cartacei o PDF ricevuti via email. Con la digitalizzazione imposta, si è trovata di fronte alla necessità di scaricare manualmente i dati da un portale istituzionale: un'operazione ripetitiva e dispendiosa in termini di tempo. L'introduzione di un sistema di automazione, come un bot RPA (Robotic Process Automation), non solo risolve il problema specifico, ma apre gli occhi sulla quantità di altri processi interni fatti a mano che potrebbero essere ottimizzati.
I progetti si fanno con chi lavora, altrimenti è tempo perso
Perché questi progetti abbiano successo, è indispensabile un coinvolgimento diretto degli utenti finali sin dalle primissime fasi di analisi. Vale a dire che alla progettazione devono partecipare i lavoratori che alla fine si troveranno a usare i nuovi strumenti.
Spesso, invece, le decisioni vengono prese a livello dirigenziale, ma sono poi gli operativi a dover interagire quotidianamente con i nuovi strumenti. Se un utente è abituato da dieci anni ad avere un certo pulsante in alto a destra, una soluzione che lo sposta a sinistra, anche se tecnologicamente superiore, rischia di essere percepita come un ostacolo e di non essere adottata, vanificando l'intero investimento - spiega ancora Marchiori.
Per questo motivo, un’azienda come Archiva Group, che ha un'esperienza di oltre 25 anni nell'implementazione di processi digitali, insiste per avere al tavolo di analisi chi svolge materialmente il lavoro, per comprendere le abitudini consolidate e disegnare soluzioni che si adattino all'utente, e non viceversa. E anche per questo, per mantenere queste persone all’interno del nuovo processo, questo approccio si traduce nella scelta di tecnologie flessibili, come le piattaforme "low-code", che permettono un alto grado di personalizzazione, a differenza di soluzioni "no-code" più rigide.
La vera efficienza si ottiene quando si supera la frammentazione degli strumenti. Le aziende si trovano a gestire un ecosistema ibrido di informazioni: dati strutturati che arrivano da canali telematici come l'XML per la fattura elettronica, e documenti non strutturati come scansioni di fatture cartacee o PDF ricevuti via email da fornitori esteri. Un sistema gestionale ERP, da solo, fatica a orchestrare questa complessità. La soluzione risiede nell'integrare in un unico ambiente sia la piattaforma tecnologica (il software) sia il servizio che gestisce i diversi canali di comunicazione (il "provider"). Questo modello integrato permette di ricevere una fattura da qualsiasi canale — SDI, EDI, PEC, o persino la posta cartacea — e di averla a disposizione in un formato unico e omogeneo, pronta per essere processata.
Automazione delle aree critiche
Questa stessa filosofia di digitalizzazione dei processi di supporto si estende ad altre aree aziendali critiche. Si pensi alla gestione della qualità, della sicurezza e degli audit (Q-HSE). In molti contesti, queste attività sono ancora affidate a checklist cartacee, fogli di calcolo e scambi di email, rendendo difficile avere una visione d'insieme e gestire le azioni correttive in modo tempestivo.
L'adozione di suite digitali specifiche, come Checker, permette di gestire l'intero processo da mobile, anche in assenza di connettività. Un auditor può eseguire un'ispezione su un impianto produttivo o in un cantiere direttamente da tablet o smartphone, compilare la checklist, allegare foto delle non conformità, e avviare immediatamente un piano d'azione assegnando compiti ai responsabili. I dati raccolti alimentano dashboard, che a sua volta fornisce alla direzione una visione chiara e in tempo reale delle performance, permettendo di prendere decisioni basate su dati oggettivi e di migliorare continuamente i livelli di sicurezza e qualità. I risultati di questo approccio sono misurabili: si registrano miglioramenti dell'efficienza nell'ordine del 30% e una drastica riduzione, fino al 50%, dei tempi di chiusura delle non conformità.
Il cerchio si chiude tornando alle persone. Liberare i dipendenti da compiti manuali e a basso valore aggiunto è solo il primo passo. Il secondo, e più strategico, è capire come valorizzare questo tempo recuperato. Qui entra in gioco la gestione strategica delle competenze. Se la domanda del mercato si sposta, ad esempio, verso nuove tecnologie o servizi, l'azienda si trova di fronte a un bivio: cercare nuove figure all'esterno, in un mercato del lavoro ICT con un'offerta molto ristretta, o investire sulle persone che ha già in casa. La seconda opzione è quasi sempre la più vantaggiosa. Un dipendente che lavora da anni in un'azienda possiede una conoscenza del contesto, dei processi e della cultura aziendale che un nuovo assunto impiegherebbe mesi ad acquisire.
Per questo motivo, diventa fondamentale mappare le competenze esistenti in azienda in modo continuo e dinamico. Non più una valutazione statica ogni due o tre anni, ma un'analisi frequente, anche semestrale, per capire dove si trovano i talenti, quali sono i gap da colmare e quali percorsi di formazione (upskilling o reskilling) avviare.
L'intelligenza artificiale, in questo ambito, offre un supporto straordinario, permettendo di analizzare le competenze delle persone e di suggerire percorsi di sviluppo personalizzati per allinearle alle nuove esigenze strategiche del business. In questo modo, il dipendente che prima si occupava di data entry manuale per le bolle doganali può essere formato per diventare un analista di processo o un esperto del nuovo sistema digitale, contribuendo in modo più significativo al successo dell'impresa.
L'automazione, quindi, si rivela non come una minaccia, ma come un potente alleato del capitale umano. L'efficienza generata dalla tecnologia, se gestita con una visione strategica, diventa il carburante per la crescita dell'azienda e, soprattutto, delle persone che ne fanno parte. Il risultato è un'organizzazione più agile, più profittevole e più resiliente, in cui ogni individuo è messo nelle condizioni di contribuire al meglio, focalizzandosi su ciò che sa fare meglio e lasciando alle macchine i compiti ripetitivi.