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La cultura dei "team snelli" uccide le idee e l'innovazione

Il VP of Product di Google, Noah Stein, critica la "cultura dei team snelli" ("lean teams") nel mondo tech, sostenendo che porta alla soppressione di idee e rallenta l'innovazione.

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Avatar di Valerio Porcu

a cura di Valerio Porcu

Senior Editor

Pubblicato il 13/10/2025 alle 12:25

La strategia aziendale dei "lean teams", promossa da colossi tech, è finita sotto la lente critica di uno dei suoi stessi leader. Noah Stein, Vice President of Product di Google, ha espresso una posizione netta, sostenendo che l'enfasi ossessiva sui team ridotti e sull'efficienza a tutti i costi può paradossalmente soffocare l'innovazione e la capacità di generare idee disruptive.

La sua analisi si concentra sulla pratica di "uccidere le idee" (il "culto" dell'eliminazione rapida), che, se da un lato promette agilità, dall'altro finisce per disincentivare la proposizione di progetti ambiziosi o non immediatamente scalabili.

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Le dichiarazioni di Stein puntano a una cultura moderna molto diffusa, secondo cui bisogna concentrarsi solo sulle cose semplici che hanno un ritorno immediato o quasi. L'ottimizzazione dei costi e la dimostrazione di un rapido ritorno sull'investimento (ROI) sono diventati imperativi categorici, ma la critica di Stein suggerisce che l'efficienza operativa, se spinta all'eccesso, può diventare il principale ostacolo alla vera crescita strategica. L'equilibrio tra pragmatismo rigoroso e l'audacia necessaria per perseguire nuove direzioni tecnologiche rappresenta una delle maggiori sfide per i leader aziendali.

L'enfasi ossessiva sui team ridotti e l'efficienza a tutti i costi può paradossalmente soffocare l'innovazione e la capacità di generare idee disruptive.

Il paradosso dei "lean teams" per l'azienda

L'idea che team più piccoli siano intrinsecamente più veloci e produttivi è un mantra radicato nella Silicon Valley. Tuttavia, secondo Stein, nelle grandi organizzazioni con risorse illimitate, il focus sui "lean teams" si trasforma in un meccanismo di auto-censura. I dipendenti sono spinti a evitare di presentare progetti che richiedono un investimento iniziale significativo di tempo o personale, per paura che l'idea venga immediatamente "uccisa" dal meccanismo di snellimento.

Questa dinamica crea un circolo vizioso: l'azienda riceve meno idee audaci, concentrandosi solo su iterazioni incrementali e a basso rischio. La cautela è un freno al progresso, soprattutto quando la vera sfida per i professionisti non è solo ottimizzare ma creare vantaggio competitivo. La governance aziendale, ossessionata dalla riduzione del personale e dalla dimostrazione di risultati a breve termine, finisce per disperdere i benefici a lungo termine derivanti da un'autentica cultura dell'innovazione.

Come si può chiedere di "pensare in grande" se ogni proposta viene valutata con la lente miope del team minimo?

Reintrodurre la visione culturale

La soluzione non risiede nel rigettare l'efficienza, ma nel reintrodurre un elemento di visione culturale e accettazione del rischio. Per mitigare questo effetto, bisogna ricalibrare i loro indicatori di performance (KPI). Non basta misurare la velocità con cui un team chiude un progetto (efficienza a breve termine); è fondamentale valorizzare la capacità di esplorare scenari futuri, anche se non immediatamente profittevoli.

L'approccio esige che i professionisti e le aziende vadano oltre la mera cronaca tecnologica. Significa comprendere che la tecnologia è un fattore di trasformazione e non solo uno strumento per ridurre i costi. Le PMI e le grandi aziende devono garantire che i processi decisionali non siano dominati solo da una mentalità di contenimento, ma che includano una prospettiva che valuti l'impatto potenziale di un'innovazione sul business continuity.

L'efficienza operativa, se spinta all'eccesso, può diventare il principale ostacolo alla vera crescita strategica.

La critica di Stein si può vedere quindi come un "passo indietro necessario". Smettere di pensare ossessivamente all'uovo oggi, e ricordarsi che la gallina domani è anche più importante.

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