Nello scacchiere tecnologico globale, dominato dai colossi statunitensi e cinesi, l’Europa è da tempo alla ricerca di una “terza via” strategica per l’intelligenza artificiale. In questo complesso scenario, l’Italia, con le sue eccellenze verticali e la sua cronica frammentazione, si candida inaspettatamente a diventare un laboratorio per un modello di innovazione alternativo; qualcosa che possa sostituire lo scenario odierno, che è più che altro un insieme di esperimenti frammentati in cerca di sintesi che una strategia organica predefinita.
Questa ambizione non è un semplice esercizio di stile, ma risponde a una necessità strutturale. Il Paese possiede infatti le materie prime per competere: una solida tradizione manifatturiera, centri di ricerca di livello e startup innovative. Ciò che è sempre mancato è il collante. L'iniziativa “Fabbrica ITALIA”, promossa dal player privato Hewlett Packard Enterprise (HPE), si inserisce proprio in questo solco, proponendosi come un potenziale tassello che tenta di allinearsi a un più ampio e complesso sforzo nazionale, ma che non ne esaurisce la portata.
Le fondamenta nazionali: da dove parte il laboratorio Italia
Secondo i dati dell'Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di Milano, il mercato italiano dell'IA ha raggiunto i 760 milioni di euro nel 2023, con una crescita del 52%. Numeri notevoli che meritano senz’altro una grande attenzione, e giustificano uno sforzo coordinato teso ad aumentare il valore dell’intera filera.
L'idea di un "laboratorio italiano" non nasce da iniziative isolate, ma poggia su fondamenta strategiche pubbliche e private. La risorsa più visibile è senza dubbio il supercomputer Leonardo, ospitato dal consorzio CINECA di Bologna; a questo si affianca la Strategia Italiana per l'Intelligenza Artificiale, che punta a irrobustire l'ecosistema.
Un motore così potente rischia però di girare a vuoto senza una rete di trasferimento tecnologico adeguata. Per questo, il progetto di HPE si affianca ad altre iniziative pubblico-private, come i Centri di Competenza nazionali del piano Transizione 5.0, tra cui il MADE di Milano e il CIM4.0 di Torino. Queste strutture, insieme ai poli di ricerca universitari e del CNR, costituiscono l'ossatura di una politica industriale che cerca di fare sistema, seppur con velocità e impatti ancora disomogenei.
"Fabbrica ITALIA": anatomia di un ecosistema orchestrato
È in questo scenario che prende forma il progetto “Fabbrica ITALIA”. L'iniziativa, pur agendo in parallelo e non in virtù di una relazione formale con la Strategia Italiana per l'IA, ne condivide gli obiettivi di fondo. In questo modello, l'azienda promotrice agisce come un "orchestratore" di ecosistema, mettendo a disposizione la piattaforma tecnologica. L'intento, come descritto nel comunicato ufficiale di HPE, è creare un ponte per sfruttare potenzialmente la potenza di calcolo di asset nazionali come Leonardo o integrandosi con i progetti pilota sviluppati nei Centri di Competenza.
Come sottolineato da Claudio Bassoli, Presidente e Amministratore Delegato di HPE Italia: “in Fabbrica ITALIA si costruiscono soluzioni reali per dare un impulso all'adozione dell'intelligenza artificiale nel tessuto imprenditoriale italiano. Crediamo fortemente nella collaborazione; è questa la chiave per sbloccare il potenziale dell'IA in Italia”.
Gli attori del modello collaborativo
Il successo di un laboratorio dipende dalla qualità dei suoi partecipanti. Nel caso di "Fabbrica ITALIA", l'ecosistema si regge sull'interazione di tre pilastri: il mondo accademico, le startup innovative e l'industria. Questo modello, orchestrato da un singolo player tecnologico privato, si differenzia da quello dei Competence Center pubblici, che operano invece su un mandato istituzionale e con una governance consortile.
I partner della prima edizione ne sono un esempio: Galene.AI, Symboolic, e Axyon.AI. Non sono ancora noti, tuttavia, i criteri di selezione per le future fasi del progetto, un elemento chiave per valutare la reale apertura e la capacità di rappresentare la pluralità dell'ecosistema innovativo italiano. Il terzo pilastro è l'industria stessa, in particolare le PMI, come destinatari finali dell'innovazione.
Dalla teoria alla pratica: l'IA applicata ai settori chiave
Un modello di innovazione vale solo se produce risultati tangibili. Nel settore manifatturiero, l'IA abilita la manutenzione predittiva e il controllo qualità. Tuttavia, l'adozione è ancora limitata; l'Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di Milano evidenzia come solo il 15% delle PMI italiane abbia avviato un progetto di IA, con la maggioranza ferma a una fase esplorativa.
Nella sanità, l'IA supporta i medici nell'analisi di immagini diagnostiche e accelera la ricerca. La sfida, come nota anche la Commissione Europea, è garantire un uso etico e trasparente di questi strumenti. Anche il settore finanziario vive una trasformazione, con piattaforme che utilizzano il deep learning per analizzare i mercati e ottimizzare la gestione del rischio.
Sostenibilità e rischi del modello italiano
L'impostazione del "laboratorio Italia" è ambiziosa, ma non priva di incognite. La prima riguarda la dipendenza tecnologica. Un ecosistema nazionale orchestrato da un singolo vendor straniero pone un interrogativo sulla reale sovranità digitale del sistema; una dipendenza che non riguarda solo lo stack tecnologico, ma anche la governance dei dati e la definizione degli standard su cui si baserà l'economia futura. A questo si aggiunge il rischio della frammentazione delle iniziative: la moltiplicazione di "laboratori", pubblici e privati, senza un coordinamento forte, rischia di disperdere risorse.
Insomma, l’iniziativa promossa da HPE va bene ma non benissimo
La sfida più grande rimane il passaggio verso l'adozione di massa. Il vero ostacolo non è tecnologico, ma culturale e strutturale, con barriere concrete come l'alto costo delle competenze, la mancanza di dati di qualità e una cultura aziendale restia a investimenti in asset intangibili.
In definitiva, la vera misura del successo per il "modello Italia" non risiederà nella sofisticazione dei singoli algoritmi prodotti, ma nella capacità di trasformare questi esperimenti, pubblici e privati, in una politica industriale coerente, capace di orchestrare l'esistente e di garantirne una diffusione capillare.