Microsoft ha pubblicato il suo primo AI Diffusion Report, una mappatura globale che analizza chi sviluppa, utilizza e controlla le infrastrutture dell'intelligenza artificiale. Lo studio conferma l'AI come la tecnologia a più rapida diffusione della storia, con 1,2 miliardi di utenti raggiunti in meno di tre anni, ma evidenzia enormi divari. L'Italia si posiziona al 25,8% di adozione tra la popolazione in età lavorativa, un dato che rivela una realtà a due velocità.
Il dato italiano (25,8%) supera di poco la media del "Nord Globale" (23%) e si allinea a Stati Uniti (26,3%) e Germania (26,5%). Tuttavia, il confronto con i vicini europei è impietoso: Francia (40,9%), Spagna (39,7%) e Regno Unito (36,4%) mostrano una penetrazione decisamente superiore. L'adozione non è solo una metrica, ma un indicatore della capacità di un Paese di trasformare il potenziale tecnologico in produttività.
Le fondamenta scricchiolanti dell'adozione
            
            Microsoft, nel suo report, scompone l'adozione in tre forze: i Frontier builders (chi crea i modelli), gli Infrastructure builders (chi possiede i data center) e gli Users. Il progresso accelera solo quando questi tre elementi evolvono insieme. L'Italia, pur avendo utenti, soffre sui pilastri fondamentali.
Il report identifica le "fondamenta dell'AI": elettricità, internet, data center, lingua e competenze digitali. È proprio su quest'ultimo punto che l'Italia mostra le sue debolezze strutturali. Come abbiamo analizzato in precedenza, in Italia mancano competenze digitali e STEM, un gap che frena la capacità di implementare l'AI in modo strategico nelle PMI.
            
            L'analisi globale, infatti, evidenzia una netta spaccatura. L'adozione nel Nord del mondo è quasi il doppio (23%) di quella nel Sud del mondo (13%).
Questo "AI divide" non è altro che l'evoluzione del divario digitale che da decenni separa le economie avanzate da quelle emergenti.
Il duopolio dell'infrastruttura e la barriera della lingua
Se l'adozione è frammentata, l'infrastruttura è un vero e proprio duopolio. Il report è categorico: Stati Uniti e Cina ospitano da soli circa l'86% della capacità di calcolo globale. Questo collo di bottiglia infrastrutturale, evidenziato anche da altre analisi sulla corsa all'AI, pone seri problemi di sovranità digitale per l'Europa e, a cascata, per l'Italia. Chi controlla i data center, controlla di fatto l'accesso e i costi dell'intelligenza artificiale.
Avere l'infrastruttura non basta se la tecnologia non parla la nostra lingua. Questo non è un problema solo accademico.
Si tratta di una barriera sistemica all'accesso. Le culture con lingue a basse risorse sono di fatto escluse, o costrette a interagire con modelli meno performanti e culturalmente disallineati. L'efficacia dell'AI, in questo scenario, dipende più dalla geografia e dalla linguistica che dal merito.
Leader inaspettati come gli Emirati Arabi Uniti (59,4%) e Singapore (58,6%) dimostrano però che non è necessario essere un Frontier Builder per eccellere. ù
L'Italia si trova quindi in un limbo: ha abbastanza utenti per figurare nelle statistiche, ma non abbastanza strategia sulle competenze e sull'infrastruttura per competere con i leader europei. Essere semplici "utilizzatori" in un ecosistema controllato da altri non è una posizione sostenibile. La domanda non è se useremo l'AI, ma a quali condizioni e chi ne scriverà le regole.