Logo Tom's Hardware

Novità!

Prova la nuova modalità di navigazione con le storie!

Pagati per essere spiati: il disastro dell'app che registrava le telefonate

L’ascesa di Neon dimostra quanto gli utenti siano ormai disposti a scambiare la propria privacy per piccoli guadagni, con conseguenze potenzialmente gravi per la società.

Avatar di Pasquale Viscanti e Giacinto Fiore

a cura di Pasquale Viscanti e Giacinto Fiore

IA Spiegata Semplice

Nel film d’animazione La Sirenetta, Ariel — pur di raggiungere il suo amato sulla terraferma — baratta la sua voce per un paio di gambe. Nell’era tech, quel romanticismo lascia il posto alla logica del denaro e del profitto: i moderni sirenetti e sirenette barattano la propria voce — e non solo — per un pugno di dollari.

Neon Mobile

Neon: quando la tua voce diventa merce di scambio

Negli Stati Uniti, un’app chiamata Neon è balzata in cima all’App Store promettendo fino a 30 dollari al giorno a chi accetta di registrare le proprie telefonate e cedere l’audio a società di intelligenza artificiale per l’addestramento.

Giusto per darvi un’idea i moderni "Ariel" sono migliaia, si contano 80.000 download dell’app! Il pitch è seducente: monetizzi la tua voce, trasformi un gesto quotidiano in guadagno. Poi è arrivata la doccia fredda. Dopo un’inchiesta giornalistica che ha documentato una vulnerabilità capace di esporre numeri di telefono, registrazioni e trascrizioni degli utenti, l’app è stata spenta "fino a nuovo ordine".

Il caso ha messo a fuoco i rischi di un modello che tocca un dato biometrico come la voce e spalanca la porta ad abusi e clonazioni. Non parliamo di dettagli tecnici irrilevanti, ma del contenuto integrale delle conversazioni. In un’epoca di deepfake vocali e phishing sempre più sofisticato, la promessa di "anonimizzazione" vacilla non appena l’audio si abbina a informazioni come i numeri di telefono. Se cede il perimetro tecnico, non crolla solo una funzione: crolla la fiducia. E senza fiducia, qualsiasi modello costruito su dati così intimi si sgretola.

Neon goes dark

Neon però è andato offline, almeno per ora, dopo che una falla di sicurezza ha permesso a chiunque di accedere ai numeri di telefono, alle registrazioni delle chiamate e alle trascrizioni di qualsiasi altro utente.

Essere pagati per i propri dati non è una novità

L’idea di un mercato in cui gli utenti vengono compensati per condividere dati personali non nasce con Neon. Periodicamente riemerge: app che offrono denaro per navigazione, posizione, preferenze; colossi che valutano scenari per "pagare i dati". Il punto dolente è sempre lo stesso: il guadagno immediato è facile da quantificare, la perdita di controllo nel lungo periodo molto meno. Quando i dati escono dalle nostre mani, seguirne la traiettoria diventa quasi impossibile.

Pay-or-tracking: scelta autentica o ricatto della privacy?

Negli ultimi anni si è diffuso anche il modello "consent or pay": o accetti la pubblicità comportamentale e il tracciamento, oppure paghi per un’esperienza senza profiling. Sulla carta è una scelta, nella pratica spesso è una spinta gentile verso la profilazione, soprattutto quando l’alternativa a pagamento non è davvero equivalente per funzionalità o accessibilità. Autorità e tribunali europei stanno ridefinendo i confini di questa "libertà di scelta", chiedendo alternative reali e consensi davvero liberi perché invece il quadro che emerge è quello di una decisione meno libera di quanto sembri.

Privacy-first: un’altra strada è possibile

In Europa non è (solo) un desiderio: è legge. Il GDPR impone la "privacy by design e by default": raccogliere solo i dati necessari, conservarli per il minor tempo possibile e proteggere l’utente fin dalle impostazioni iniziali. È l’Articolo 25 tradotto in pratica: meno dati, meno tempo, più controllo.

Anche la tecnologia prova a allinearsi. Con Apple Intelligence molte funzioni vengono elaborate direttamente sul dispositivo; quando serve il cloud entra in gioco Private Cloud Compute, pensato per ridurre al minimo ciò che esce dal telefono e per consentire ispezioni indipendenti. Non è infallibile, ma è un segnale concreto di innalzamento dell’asticella. Sul web, Google ha percorso — tra ripensamenti e critiche — la strada della Privacy Sandbox per limitare il tracciamento tra siti senza "rompere" la pubblicità che sostiene i contenuti gratuiti; dopo anni di rinvii ha rinunciato a eliminare i cookie di terze parti, puntando su scelte più esplicite per l’utente e su protezioni come IP Protection in Incognito. È un cambio di rotta che racconta quanto sia difficile conciliare privacy e sostenibilità dell’open web.

Riprendersi la voce

Esistono modelli che scelgono deliberatamente di non vivere dei dati degli utenti. Signal, per esempio, è una messaggistica senza pubblicità né tracker, sostenuta da donazioni e da una fondazione: una posizione chiara — e costosa — che mette la privacy prima del profitto. Per editori e media, abbracciare il "privacy-first" significa tornare ai fondamentali: mappare solo i dati necessari, minimizzare la raccolta, valorizzare i first-party data e costruire ricavi su abbonamenti e pubblicità contestuale. È una transizione più matura che premia la relazione con il lettore e mette un argine all’estrazione indiscriminata.

Forse, sarebbe meglio tornare al romanticismo di Ariel, che rinuncia a un dono prezioso per amore, e se non siete dei tipi romantici, fatelo per qualcosa che valga davvero la pena. In un mare di scambi impari, scegliere di "tenere la propria voce" significa preferire servizi che funzionano con meno dati, pretendere impostazioni chiare e premiare chi mette la trasparenza davanti al profitto.

 


Ti è piaciuto questo articolo? Non finisce qui.

Per ricevere approfondimenti settimanali come questo direttamente nella tua email e per ascoltare le nostre discussioni audio, iscriviti alla newsletter e segui il podcast "Intelligenza Artificiale Spiegata Semplice".

Trovi tutto sul nostro sito ufficiale: https://www.iaspiegatasemplice.it/

➡️ Visita il sito e resta aggiornato


 

Contenuto esclusivo

Inserisci la tua email per sbloccare l'intero articolo.

Rispettiamo la tua privacy. Non condivideremo mai la tua email con terze parti.