Tutti noi negli ultimi mesi abbiamo letto di licenziamenti e “ristrutturazioni” legate in qualche modo all’intelligenza artificiale. Il più recente riguarda HP, che licenzierà tra le 4.000 e le 6.000 persone. Una categoria particolarmente esposta è quella degli sviluppatori: si tende a pensare che il Vibe Coding - con tutti i suoi difetti e i suoi limiti - permetterà a una persona di fare il lavoro che oggi richiede due o tre specialisti. E i ruoli junior sono quelli più a rischio.
Secondo alcune recenti analisi lo scenario è sconvolgente: entro il 2026 gran parte del lavoro di scrittura del codice — quello "di routine", il boilerplate, il debugging — sarà gestito dalle macchine. Questo accade ora, nel mercato globale, perché le aziende non cercano la perfezione artigianale, ma velocità, costi ridotti e prevedibilità. Lo sostengono sia Gartner sia McKinsey.
Non è però la fine della professione, ma una sua mutazione piuttosto dirompente. Come avevamo già analizzato discutendo dei lavori tech a rischio estinzione, il modello tradizionale dello sviluppatore che passa l'80% del tempo a scrivere sintassi è morto. Gli strumenti attuali non si limitano più all'autocomplete: generano interi microservizi, configurano Docker e scrivono test di integrazione in minuti, laddove un junior impiegherebbe ore. È il trionfo dell'efficienza brutale sul romanticismo del codice.
Dalla tastiera alla bacchetta: l'era dell'orchestrazione
La minaccia per i ruoli junior è reale, specialmente in mercati dove il lavoro entry-level è la norma, ma c'è un rovescio della medaglia strategico. Se l'IA cancella il "fare", libera spazio per il "pensare". La figura che emergerà dalle ceneri del coder puro è quella dell'Architetto AI o dell'Orchestratore di Sistemi. Servirà sempre più immaginazione, e magari la “pura” competenza tecnica perderà valore rispetto a oggi. Non si tratterà più di conoscere a memoria le librerie di Rust o Go, ma di saper guidare una flotta di agenti AI per costruire prodotti complessi.
E bisogna tornare a una cosa già detta molte volte, e cioè che serve diventare bravi nel prompt engineering. Una competenza che può sembrare un po’ frivola forse, ma alla fine quello più bravo e chi riesce a tirare fuori gli output migliori in meno tempo. Serve saper strutturare ragionamenti a catena (Chain-of-Thought) per debuggare sistemi complessi.
In secondo luogo, diventa vitale padroneggiare framework di orchestrazione come LangChain. Se riuscite a trasformare l'IA da "sostituto" a "dipendente" che automatizza code review e deployment, come suggerito anche nella nostra analisi sugli strumenti che automatizzano il lavoro di sviluppo, il vostro valore di mercato non farà che salire.
Salire la scala dell'astrazione
Dunque, chi vuole continuare a fare lo sviluppatore “alla vecchia maniera” rischia di ritrovarsi presto obsoleto. Per evitarlo la capacità di astrazione potrebbe essere la chiave: mentre l'IA gestisce l'implementazione, l'umano deve occuparsi della governance, del design di sistema e, perché no, della validazione etica. Ruoli come "AI Governance Reviewer" o "Human-AI Systems Lead" sono job titles che potrebbero comparire molto presto.
Allo stesso tempo le "soft skill" — negoziazione, giudizio di prodotto, empatia e altro ancora — diventano l'asset più solido, l'unico firewall che l'algoritmo non può (ancora) violare. Si tratta di una forma di Capitale Semantico, quel valore umano che ci distingue dalle macchine.
Dobbiamo guardare a questa transizione con lo stesso occhio critico con cui i sysadmin guardarono all'arrivo del Cloud nel 2012. Molti urlarono alla fine del mondo, ma chi si adattò divenne DevOps Engineer, guadagnando cifre mai viste prima. Siamo allo stesso bivio, solo che stavolta tutto accade a velocità 10x.
Resta però una domanda scomoda che dobbiamo porci, al di là dell'ottimismo necessario per adattarsi: in un mondo dove l'esperienza si costruisce risolvendo problemi difficili, cosa succederà alla prossima generazione di ingegneri se l'IA risolverà tutti i "problemi facili" su cui noi ci siamo fatti le ossa? Stiamo costruendo un futuro più efficiente o stiamo segando il ramo della competenza umana su cui siamo seduti?
L’altro problema, enorme, riguarda ovviamente la potenziale crisi occupazionale. Probabilmente quell’80% è un numero esagerato, ma è vero che tra vibe coding e copilot vari, oggi un dev senior può lavorare con meno assistenti junior di quanti ne servissero due anni fa. Oppure si può fare di più senza assumere più persone. In ogni caso, il tema del lavoro disponibile è di quelli da discutere, insieme a quello della rilevanza.