Il Web3 doveva rappresentare la naturale evoluzione di Internet: un ecosistema digitale decentralizzato, trasparente e governato dagli utenti, non più dalle grandi piattaforme tecnologiche. L'idea si fondava su tecnologie come la blockchain, le criptovalute e gli NFT per creare un'infrastruttura in cui la proprietà dei dati e degli asset digitali tornasse nelle mani dei singoli, promettendo una democratizzazione economica e una maggiore sicurezza. Questa visione ha attratto miliardi di investimenti e un'enorme attenzione mediatica, basato sulla narrativa (non sempre razionale o credibile) di un futuro digitale più equo e resistente alla censura.
Tuttavia, quella che doveva essere la nuova normalità si è trasformata in un costoso esperimento segnato da una profonda disillusione. La promessa di un web decentralizzato si è scontrata con una realtà fatta di modelli economici insostenibili, gravi vulnerabilità di sicurezza e un'esperienza utente troppo complessa per l'adozione di massa. Lungi dall'essere un singolo fallimento, il ridimensionamento del Web3 è il risultato di una serie di ostacoli strutturali interconnessi che ne hanno minato le fondamenta, trasformando l'entusiasmo in scetticismo e spostando l'attenzione di investitori e talenti verso altre frontiere tecnologiche.
L'economia fragile dei modelli speculativi
Il fenomeno "Play-to-Earn" rappresenta perfettamente le contraddizioni del Web3. Erano semplici giochi basati su criptovalute: si pagava per iniziare a giocare, e poi, in teoria, sarebbero arrivate altre monete virtuali.
Questi giochi promettevano di far guadagnare denaro reale semplicemente giocando, e con il senno di poi non è difficile capire che era un'idea assurda, per non dire truffaldina. Ma all'epoca c'era molto entusiasmo e molti non riuscirono a vedere ciò che oggi sembra un'ovvietà. Per funzionare quei giochi avevano un costante bisogno di nuovi giocatori che aggiungevano capitale; ed erano dunque destinati a fallire.
Come uno schema piramidale mascherato da innovazione tecnologica, questi ecosistemi economici hanno mostrato la propria fragilità non appena la crescita ha iniziato a rallentare. La promessa di democratizzazione economica si è trasformata in una realtà dove solo i primi investitori hanno ottenuto profitti significativi. Parallelamente, il sistema delle royalty sulle vendite secondarie degli NFT ha rivelato un'altra debolezza strutturale. Quello che inizialmente sembrava un modo rivoluzionario per garantire agli artisti una rendita perpetua dalle loro opere digitali si è rivelato dipendente dalla buona volontà delle piattaforme di vendita, senza alcuna garanzia legale o tecnica.
La sicurezza come tallone d'Achille
Gli attacchi hacker ai "bridge" tra diverse blockchain hanno causato perdite miliardarie, esponendo la vulnerabilità di infrastrutture che dovevano essere più sicure dei sistemi tradizionali. Questi ponti tecnologici, essenziali per l'interoperabilità tanto decantata del Web3, sono diventati i bersagli preferiti dei criminali informatici.
La gestione delle chiavi crittografiche e i sistemi di verifica inadeguati hanno trasformato quella che doveva essere una rivoluzione della sicurezza digitale in un campo minato per gli utenti.
Anche molti exchange centralizzati, che rappresentano il punto d'ingresso principale per la maggior parte degli utenti nel mondo Web3, hanno tradito la fiducia con gestioni opache dei fondi e controlli interni insufficienti. Il paradosso è evidente: per utilizzare un sistema che promette decentralizzazione, la maggior parte delle persone deve affidarsi a servizi centralizzati vulnerabili agli stessi problemi del sistema finanziario tradizionale.
L'esperienza utente come barriera invalicabile
La complessità tecnica del Web3 ha creato una barriera quasi insormontabile per l'adozione di massa. La gestione delle chiavi private, delle seed phrase e dei wallet rappresenta un livello di responsabilità tecnica che va ben oltre quello richiesto dai servizi digitali tradizionali. Un errore, una dimenticanza, un click sbagliato possono comportare la perdita totale e irreversibile dei propri fondi digitali.
Le commissioni di transazione variabili e spesso proibitive hanno ulteriormente complicato la situazione. Anche se le soluzioni di "Layer 2" hanno ridotto i costi, hanno contemporaneamente creato un nuovo problema: la frammentazione. Gli utenti si trovano ora a navigare in un arcipelago di protocolli diversi, ognuno con le proprie regole e limitazioni, rendendo l'esperienza ancora più confusa.
La falsa decentralizzazione
Uno dei paradossi più evidenti del Web3 è che la ricerca di semplicità da parte degli utenti ha portato a una ricentralizzazione di fatto. Servizi come Infura o Alchemy sono diventati punti di fallimento singoli per migliaia di applicazioni decentralizzate, contraddicendo completamente la promessa di resistenza alla censura e di disponibilità distribuita.
La governance basata sui token ha rivelato un altro aspetto problematico: spesso si trasforma in una "plutocrazia digitale" dove chi possiede più token ha più potere decisionale. Questa dinamica ricrea, in forma digitale, le stesse concentrazioni di potere che il Web3 prometteva di eliminare.
Il contesto esterno ostile
L'incertezza normativa ha rappresentato un freno costante per lo sviluppo del settore. Le differenze tra le legislazioni nazionali e i continui cambiamenti delle regole hanno reso difficile per le aziende pianificare strategie a lungo termine. Questo ambiente instabile ha scoraggiato molti investitori istituzionali e ha complicato lo sviluppo di prodotti conformi alle normative.
L'ascesa dell'intelligenza artificiale generativa ha poi spostato l'attenzione mediatica e finanziaria verso nuove frontiere tecnologiche, lasciando il Web3 con meno risorse e talenti. Questo spostamento ha coinciso con il raffreddamento del mercato delle criptovalute, creando una tempesta perfetta per il settore.
Metriche gonfiate e abbandoni eccellenti
I dati utilizzati per dimostrare il successo del Web3 si sono rivelati spesso fuorvianti. Il numero di "wallet attivi" può essere facilmente manipolato da bot automatici che cercano airdrop gratuiti, rendendo difficile valutare l'effettivo coinvolgimento degli utenti reali.
Questa inflazione artificiale delle metriche ha contribuito a creare aspettative irrealistiche. L'abbandono del settore da parte di grandi aziende che avevano inizialmente investito negli NFT e in altri progetti Web3 ha segnato simbolicamente la fine dell'entusiasmo mainstream. Quando colossi tecnologici iniziano a chiudere o ridimensionare le loro iniziative Web3, il messaggio per il mercato è chiaro: la tecnologia non è ancora pronta per l'adozione di massa.
Verso una rinascita più matura
La disillusione attuale potrebbe paradossalmente rappresentare una fase necessaria per la maturazione del Web3. Libero dalla pressione speculativa e dalle aspettative irrealistiche, il settore può ora concentrarsi sulla risoluzione dei problemi fondamentali: sicurezza, usabilità e creazione di valore reale per gli utenti.
Il futuro del Web3 dipenderà dalla capacità di superare questi ostacoli strutturali e di sviluppare applicazioni che migliorino concretamente la vita delle persone, piuttosto che limitarsi a sfruttare l'entusiasmo speculativo. Solo quando la tecnologia diventerà invisibile all'utente finale e fornirà benefici tangibili, il Web3 potrà sperare di realizzare le sue promesse originali di democratizzazione e decentralizzazione del web.