E.T. - L'extra-terrestre: un classico senza tempo

A trentanove anni esatti dalla sua distribuzione in sala, ripercorriamo le avventure di E.T. ed Elliot nel classico di Steven Spielberg

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a cura di Simone Soranna

L’11 giugno 1982 è una data che non si scorda: E.T. – L’extra-terrestre, l’indimenticabile film diretto da Steven Spielberg, esordisce nei circuiti cinematografici statunitensi. La sua prima proiezione ufficiale, in realtà, risale a un paio di settimane prima, in quel di Cannes durante il Festival più importante al mondo. Tuttavia, si tratta di uno dei film che maggiormente ha segnato intere generazioni e da sempre si è imposto all’attenzione del grande pubblico divenendo ben presto uno dei titoli più amati e celebrati della Storia del cinema. Per questo motivo risulta sicuramente più significativo ricordare il giorno dell’inizio del suo viaggio sugli schermi che di lì a poco sarebbero stati presi d’assalto dalle folle di tutto il mondo.

E.T., un capolavoro per grandi e piccini

Sarebbe inutile e superfluo ricordare, in queste righe, l’importanza di tutte le componenti artistiche presenti in E.T., a cominciare dalla ispirata regia di Steven Spielberg, fino all’indimenticabile e commovente colonna sonora firmata dal fedelissimo John Williams. Abbiamo tutti ben presente nella nostra memoria quelle immagini e quella sensazione fanciullesca che ogni volta ci pervade nel rivedere questo film. In effetti, il grande merito di E.T. è proprio quello di essere un progetto capace di accompagnare la crescita del pubblico.

E.T. è stato realizzato da “una grande famiglia”. Basti pensare appunto al sodalizio tra Spielberg e Williams (che troverà poi la consacrazione definitiva qualche anno dopo in Jurassic Park), alla presenza in un cameo di Harrison Ford (che l’anno prima aveva lavorato con il regista al capitolo originale della saga di Indiana Jones, I predatori dell’arca perduta), oppure all’alchimia ricercata sul set da Spielberg tra adulti e ragazzi per cercare di farli recitare al meglio nonostante la loro giovanissima età. Tutta questa “magia”, è l’ingrediente segreto che ha reso E.T. un classico intramontabile: il presentimento di avere a che fare con una famiglia allargata, sfocia nella resa di un film senza tempo.

La straordinaria amicizia tra il giovane Elliot e l’extra-terrestre venuto dallo spazio, infatti, ha accompagnato la crescita di tutti noi e continuerà a farlo. E.T. è un film diversissimo ma ugualmente potente ed emozionante, a seconda se lo si vede con gli occhi di un bambino pronto ad accettare la magia e la meraviglia, o con quelli di un adulto (non per forza cinico e spietato come quelli presenti nella storia) intimorito dall’incontro con un alieno e ancor più preoccupato per le sorti dei suoi figli nel relazionarsi con un mostriciattolo.

Un’amicizia senza tempo

Una volta appurato il valore specifico di questa pellicola e l’influenza che ha riservato sulle vite di miliardi di persone, ci piacerebbe provare a raccontare E.T. da un nuovo punto di vista, sperando di poter fornire un paio di interpretazioni in più per tornare a rivedere il film con qualche accorgimento critico insolito o nascosto. Il celebre lungometraggio di Spielberg infatti è uno spettacolo orchestrato alla perfezione in ogni piccolo dettaglio ma, sotto lo strato di magia cinematografica, è finalizzato a tematizzare un concetto molto semplice: l’amicizia.

E.T., che potete recuperare nel catalogo streaming di Amazon Prime Video, è infatti un film che vuole raccontare questo sentimento, questa relazione che può nascere anche tra i più improbabili dei soggetti. Elliot ed E.T. sono uniti da un legame unico (che nel film, narrativamente parlando, porterà anche alla soluzione dello snodo finale). Tuttavia sembrano quasi dei “predestinati”. A cominciare dai loro nomi, infatti, scopriamo che la loro unione era praticamente inevitabile. E.T. non è altro che la semplificazione massima di Elliot. L’alieno si chiama esattamente come la lettera iniziale e quella finale del suo amico umano. Quasi come a volerlo accogliere in un abbraccio non solo letterale (come succederà nello struggente finale) ma anche identitario: E.T. è Elliot.

Il cuore della questione

Come se non bastasse, è lo stesso Steven Spielberg che, proprio sul finale di questo film, realizza una sorta di dichiarazione d’intenti, un manifesto artistico valido sì per E.T. ma più in generale anche per la sua intera carriera di regista cinematografico. Nel momento esatto in cui l'alieno ha finalmente messo piede sulla sua navicella spaziale pronta al decollo, tra le lacrime di tutti i presenti in quel momento (sia sullo schermo che davanti al televisore), i portelloni dell’ufo si chiudono in una maniera molto precisa.

Spielberg sembra infatti voler simulare la chiusura di un otturatore, ovvero una componente meccanica presente in ogni fotocamera e cinepresa. Ora, semplificando un po’ il discorso, immaginate la fotocamera come fosse una sorta di buco in grado di assorbire la luce. Quando scattiamo una fotografia, stiamo dando il comando all’otturatore della macchina di chiudersi per tappare l’ingresso della luce e imprimere nella memoria quella appena entrata. La macchina da presa cinematografica non è altro che una macchina fotografica molto potente, capace di scattare 24 fotografie al secondo. Questo significa che l’otturatore della cinepresa, si apre e si chiude 24 volte in un secondo.

Si tratta quindi di una componente molto sofisticata e, il portellone dell’astronave di E.T. è stato ricostruito proprio seguendo le dinamiche e i movimenti dell’otturatore di una cinepresa. Potremmo quindi affermare che, simbolicamente, la porta dell’ufo rappresenti la macchina da presa di Spielberg, sia il simbolo del suo cinema. A questo punto non resta che prestare attenzione all’ultimo dettaglio che vediamo sparire dietro la chiusura del portellone. Infatti, come ricorderete, l’ultima parte del corpo di E.T. che resta visibile ai nostri occhi è il suo cuore rosso pulsante. Di nuovo allora, sempre in via del tutto metaforica, Spielberg ci sta suggerendo che il suo cinema (il portellone a forma di otturatore) in realtà non è altro che un cinema basato sui sentimenti, sulle emozioni (il cuore rosso pulsante).

Tutto lo spettacolo magico del film E.T., dei blockbuster realizzati da questo cineasta, degli effetti speciali a lui più congeniali, dei dinosauri, delle guerre mondiali, degli squali o degli archeologi in cerca di un tesoro sepolto da milioni di anni, sono solo un pretesto, una cornice narrativa per parlare al cuore del pubblico ed emozionarlo con i sentimenti più semplici e consolidati come l’amicizia appunto.

E.T. ai giorni nostri

Solamente parlando di valori così universali e trasversali, il cinema di Spielberg è riuscito a superare la sfida del tempo. E.T., in particolar modo, sembra essere oggi oggetto di un culto sfrenato da parte di tutti gli amanti della cultura popolare. Impossibile infatti non riconoscerne l’impatto su progetti ben più recenti come ad esempio la serie di Netflix Stranger Things, che attinge abbondantemente dal film di Spielberg per raccontare le imprese di un gruppo di ragazzi alle prese con fenomeni paranormali. Così come il recente remake di It, il film tratto dal celebre horror scritto da Stephen King.

E pensare che, a sua volta, Steven Spielberg si era ispirato a un film per girare la celebre scena della fuga dei ragazzi in volo sulle biciclette (considerata da molti critici ancora oggi la sequenza più magica della Storia del cinema). A detta del regista infatti, l’ispirazione è dovuta a un film tutto italiano: Miracolo a Milano. Si tratta di un lungometraggio del 1951 diretto da Vittorio De Sica. L’ultimissima, stupenda, sequenza di quel lavoro, vede i protagonisti finire in piazza Duomo e rubare una scopa ad alcuni netturbini che stavano lavorando per ripulire la città. Per scappare non faranno altro che cavalcare il manico, proprio come dovessero iniziare una partita di Quidditch, e librarsi nel cielo. La stessa sensazione provata dai giovani protagonisti in fuga sulle loro biciclette per portare via E.T. dalle mani degli adulti. Miracolo in America.