La domanda è semplice: tutto quello che stiamo vedendo riguardo all’IA, è una bolla economica?
Immaginiamo un’azienda che ha la capacità di produrre ricavi, ad esempio, per 100 mila euro all’anno. Magari è un’azienda in un campo molto competitivo, quindi con rischi concreti: tanti nuovi concorrenti, costi elevata da sostenere, un nuovo mercato in piena evoluzione, e via discorrendo. Se questa azienda, a un certo punto, viene valutata da qualcuno un miliardo di euro, cioè centinaia di volte di più di quanto la sua attività possa realisticamente generare, siamo chiaramente davanti a un’anomalia. E se questa cosa che vi ho raccontato non è isolata a una sola azienda, ma a decine o centinaia di aziende nello stesso settore, allora siamo potenzialmente davanti a una bolla.
Questa è, raccontata in maniera così banale da fare ribaltare alcune economisti nelle proprie tombe, la definizione di bolla economica.
L’intelligenza artificiale oggi si trova proprio al centro di questo dibattito. Negli ultimi due anni abbiamo assistito a una crescita impressionante degli investimenti e delle valutazioni. Le grandi aziende tecnologiche hanno puntato miliardi in infrastrutture e chip dedicati, i mercati finanziari hanno premiato i titoli legati all’IA con rialzi da paura, e le startup nate attorno a questa tecnologia hanno raccolto capitali enormi in tempi brevissimi.
Si tratta di progresso, o stiamo gonfiando i numeri oltre misura, rischiando che prima o poi la bolla scoppi?
Questa è la domanda a cui cercherò di rispondere, dopo aver passato giorni a fare ricerche e, chiaramente, essermi fatto aiutare dall’IA stessa per mettere assieme i dati necessari per capire quali sono i rischi concreti di quello che sta accadendo.
2023 - 2025, cosa è cambiato
Diamo uno sguardo a qualche numero. Il gruppo ristretto delle big tech americane più coinvolte nel mercato dell’IA – in particolare NVIDIA, Microsoft, Alphabet, Amazon e Meta – ha trainato quasi da solo l’intero indice S&P 500. NVIDIA, lo sappiamo, è l’esempio più clamoroso: nel giro di pochi trimestri la sua capitalizzazione è passata da circa 360 miliardi di dollari nel 2022 a superare i 2.500 miliardi a metà 2024, ai circa 4500 miliardi di oggi, cioè del momento in cui ho preparato questo articolo.
Ma non tutto il settore tecnologico è stato in rialzo. Il Nasdaq, l’indice che raccoglie le principali aziende tecnologiche, ha vissuto un andamento guidato quasi esclusivamente da titoli legati all’IA, mentre molte altre società restavano ferme o addirittura in calo. È come se il mercato avesse deciso che il futuro passa tutto dall’IA, e che tutto il resto valga meno.
Capitalizzazione di borsa a parte, guardiamo gli investimenti. I tre grandi hyperscaler americani – Microsoft, Google e Amazon – hanno spinto la spesa in data center e infrastrutture a livelli mai visti.
Anche sul fronte delle startup i numeri non sono meno impressionanti. Se nel 2023 le aziende di IA generativa hanno raccolto oltre 25 miliardi di dollari in finanziamenti, nel 2024 questo numero è salito a 100 miliardi, e in questi ultimi mesi la corsa continua, basta solo pensare al solo investimento annunciato da parte di NVIDIA in OpenAI di 100 miliardi, a cui sommare tutto il resto. Il fatto è che questi investimenti portano una startup, un’azienda appena nata, a valere miliardi da un giorno all’altro.
E poi c’è il mercato dei chip. Gli acceleratori sviluppati da NVIDIA, ma non solo, hanno visto una domanda esplosiva, che ha portato a ricavi stratosferici.
Davanti a tutti questi numeri e questi grafici che vedono il moltiplicarsi di ogni dato chiaramente nasce una domanda: questi livelli di crescita possono continuare, sintomo che il mercato è talmente florido da portare ritorni delle stesse entità, o è il segnale tipico di una sopravvalutazione che, a un certo punto, rischia di rientrare bruscamente?
Dove vanno a finire tutti questi miliardi?
Come e dove vengono effettivamente spesi tutti questi soldi? Principalmente in tre cose: l’infrastruttura dei colossi tecnologici, i laboratori che sviluppano modelli e applicazioni, e i mercati finanziari che sostengono l’intero ecosistema.
Partiamo dagli hyperscaler, cioè le grandi piattaforme cloud come Microsoft, Amazon e Google. Nel 2024 la loro spesa combinata è salita oltre i 170 miliardi di dollari, con una crescita di circa il 40% in un solo anno. Gran parte di questi investimenti è destinata chiaramente a data center e chip dedicati all’IA generativa, con un sacco di progetti di costruzione che stanno letteralmente ridisegnando la geografia energetica e industriale degli Stati Uniti e non solo.
Poi ci sono i laboratori specializzati. OpenAI con il suo accordo di lungo periodo con Microsoft, Anthropic, sostenuta da Amazon e Google, a cui si aggiungono decine di startup minori che, pur non generando ancora ricavi consistenti, hanno raccolto finanziamenti milionari sulla promessa di applicazioni future.
Il terzo flusso riguarda direttamente i mercati finanziari. Venture capital, ma anche i fondi sovrani, grandi banche d’affari e persino fondi pensione stanno riversando capitali sull’IA. Anche qui, se guardiamo i dati consolidati del 2024, il totale dei finanziamenti a startup di intelligenza artificiale ha superato i 100 miliardi di dollari, quasi il doppio rispetto al 2023.
Quindi, tecnicamente, non sembra si stia parlando solo di “entusiasmo delle borse”, ma di una chiara mobilitazione di capitali reali, sia privati che pubblici. Il fatto è che si tratta di un fenomeno che ha pochi precedenti per dimensioni e velocità: la spesa non si concentra su un singolo anello della catena, ma attraversa tutto l’ecosistema, dai chip alle applicazioni, energia, reti, e così via.
In ogni caso, non basta questo fattore, cioè il fatto che sembra esserci un “senso” in quello che si sta facendo per dire che non si tratta di una bolla, perché la domanda rimane: questi investimenti produrranno ritorni proporzionati o, come in altre bolle del passato, finiranno per perdere valore?
Il problema dell’hardware
Gli acceleratori IA oggi sono le componenti più richieste, alla base della costruzione di tutti i data center usati per allenare e gestire i dati che servono alle IA. In pratica oggi sono una sorta di materia prima che tutti ricercano, al centro anche delle limitazioni delle esportazioni. Sicuramente la parte software, quindi il modo in cui gli algoritmi lavorano e sono ottimizzati, è importantissima per creare IA sempre più intelligenti, ma senza gli acceleratori sarebbe impossibile creare e ottimizzare le IA.
Ad oggi siamo quindi nella situazione in cui un sacco di aziende stanno investendo miliardi nell’acquisto dell’hardware e creazione delle infrastrutture, ed è questo che ha fatto di NVIDIA una delle aziende più grandi al mondo per capitalizzazione. Ma questa corsa è limitata dalla capacità produttiva, che oggi dipende di gran lunga da TSMC, ed è il motivo principale per cui NVIDIA ha dato il via a una partnership con Intel, per poter accedere a fabbriche che in futuro, nel breve futuro, gli permettano di eliminare questo problema.
Dietro le quinte ci sono anche altri fornitori, quelli di macchinari per la litografia come ASML, i fornitori di materie prime, insomma è coinvolta tutta la supply chain.
Il risultato è che questa capacità produttiva limitante di oggi ha già creato una coda lunga di produzione, investimenti su più anni, governi stessi che hanno investito e stanno investendo soldi; in questa corsa esiste una dipendenza reale e pesante dalla filiera hardware. Cosa succederebbe se, domani, tutto questo fenomeno dovesse raffreddarsi? Immaginate che così, da un momento all’altro, per qualsiasi motivo tutta questa cosa dell’IA sparisse. Ci troveremmo con una capacità produttiva sovradimensionata data da costi già sostenuti praticamente impossibili da recuperare. E questo è un elemento tipico delle bolle: infrastrutture costruite sull’onda dell’entusiasmo che poi restano inutilizzate.
Facciamo i conti
Le grandi piattaforme come OpenAI, Anthropic o Cohere hanno attirato valutazioni miliardarie, ma quanto stanno guadagnando? OpenAI, per esempio, è considerata un colosso da circa 300 miliardi di valutazione, ma se consideriamo i dati del 2024, si parla di un fatturato attorno ai 3.4 miliardi. Antropic ha ricevuto valutazioni che vanno dai 60 ai 180 miliardi, dato che già dice molto considerando che una cifra è il triplo dell’altra, e un fatturato nel 2024 di 1 miliardo. Insomma, ci sono discrepanze molto importanti tra questi numeri.
Il fatto è che ad oggi, se il potenziale è indubbio a tutti, è molto difficile per queste aziende bilanciare costi e ricavi. Addestrare un modelli di grandi dimensioni richiede mesi, infrastrutture super costose, e l’uso quotidiano da parte di migliori di utente porta a consumi energetici che non sono solo una voce a margine del bilancio.
E gli abbonamenti, se ci pensiamo, costano poco. Per alcuni 20 o 30 dollari al mese sono prezzi alti, ma considerando tutte le voci di spesa per offrire quel servizio, in termini di economia generale non lo sono.
Se lasciamo da parte le “startup” e passiamo ai big tech, cioè Microsoft, Amazon, Google e gli altri, la logica è inversa ma i problemi sono gli stessi. I costi del software e dei vari modelli vengono assorbiti come parte di una strategia più ampia: non vendono solo l’accesso ai chatbot, ma integrano l’IA nei loro servizi rendendoli più appetibili. Questo permette di ottenere ricavi più solidi, ma il prezzo di queste implementazioni si sente e ancora impatta molto sui bilanci finali.
Cioè, in altre parole, con le big tech non si vede questa lampante discrepanza che si vede con le startup, ma l’erosione dei ricavi, quindi la discrepanza tra investito e ritorno economico, c’è sempre.
Quindi, da un lato si può notare una crescita reale di ricavi, che dimostra che il mercato è disposto a pagare per l’IA. Dall’altro, i multipli di valutazione sono talmente alti rispetto agli utili da spingere tutti verso la paura di una bolla economica in crescita.
Il problema dei moltiplicatori
Uno dei metodi spesso usati per valutare le aziende è quello dei multipli, o moltiplicatori. Ve lo spiego in questo modo: immaginate di voler comprare un’azienda, un’attività, un negozio, e vi dicono che quell’azienda vale 1 miliardo. Per sapere se la valutazione è corretta, quello che si fa è cercare aziende simili, che sono già state quotate, quindi valutate quel miliardo di dollari, e poi si relaziona questo valore in base ad altri numeri: ricavi, utili, flusso di cassa, possesso di beni materiali o immateriali, etc.
Ad esempio, si può usare come valore di confronto l’utile. Un’azienda a fine hanno ha un utile di 100 milioni, se è valutata 1 miliardo, relazionando 1 miliardo con 100 milioni, si ottiene che il multiplo di quell’azienda è 10X. Ci sono vari multipli che possono essere usati, quello delle azioni, quello dell’ebitda, dei ricavi puri, e così via.
In base al settore, alla nazione, al mercato, ci sono degli indicatori di multipli medi, che ci danno un’indicazione se quell’azienda è valutata in maniera corretta o sbagliata. Quindi, se per quell’azienda italiana che produce vini, valutata sugli utili, un moltiplicatore standard è 10X, significa che se quell’azienda ha un utile di 10mila euro l’anno, la sua valorizzazione corretta sarebbe 100 mila euro. Qualsiasi valutazione sotto questa cifra significa che quell’azienda è sottovalutata, per cui o ci sono problemi da investigare, o è possibile che si sti facendo un buon affare, qualsiasi valutazione sopra a questa cifra significa che si sta rischiando di acquistare, o investire, in un’azienda che vale meno di quello che si sta pagando.
Se guardiamo il settore tecnologico di cui stiamo parlando, è chiaro che questo metodo mostra valutazioni fuori scala. Facendo un po’ di ricerca, per le startup la media del valore di moltiplicatore è 6X, mentre su aziende tech mature, si sale anche attorno al 30x. Un’azienda come NVIDIA, nel 2024, considerando la valorizzazione dei titoli, ha portato questo valore a 60X. Ovviamente non parliamo nemmeno delle startup che hanno valori 10 o 15 volte superiori alla media di valorizzazione.
Ancora una volta, non per forza una cosa del genere deve essere considerata la prova del fatto che ci sia una bolla, ma sono multipli che presuppongono anni di crescita senza intoppi, margini elevati e un’adozione di massa che trasformi l’IA in un’infrastruttura quotidiana, come lo sono oggi internet e gli smartphone.
Storicamente, livelli simili si sono visti nelle fasi finali di grandi cicli speculativi: negli anni Novanta, durante la bolla internet, molte società erano scambiate a multipli sopra 100 volte i ricavi. Ecco, oggi fare questo paragone torna naturale, però c’è una differenza: nel caso dell’IA ci sono già ricavi tangibili e un’adozione in corso, mentre molte dot-com vendevano solo “speranze” senza alcun tipo di modello di business alle spalle.
Altri indizi
Oltre ai multipli elevati ci sono altri indicatori da considerare, uno di questi è la dinamica delle IPO. Nei periodi di forte entusiasmo, le aziende cercano di quotarsi in borsa approfittando appunto dell’entusiasmo che porta gli investitori a pagare prezzi molto alti. Anche se non abbiamo ancora assistito all’ondata di IPO della bolla dot-com tra il 1995 e il 2000, molte aziende hanno accelerato i preparativi per sbarcare in Borsa.
Un altro segnale arriva dal mercato call option, cioè quello strumento che offre il diritto di acquistare un’azione a un prezzo prefissato durante una certa data. Se si acquista, bene, se non si acquista, si perde il premio richiesto.
I volumi sulle call option di titoli come NVIDIA o Microsoft hanno raggiunto massimi storici in questi anni, e questo ricorda un comportamento speculativo vicino quello osservato durante la mania dei “meme stock” del 2021. In pratica, molti investitori puntano su rialzi rapidi nel brevissimo termine, per poi fare cassa.
Ci sono poi i round di finanziamento delle startup. OpenAI e Anthropic non solo hanno raccolto decine di miliardi di dollari con valutazioni da big tech pur avendo ancora ricavi bassi, seppur in crescita. Questa sproporzione tra capitali raccolti e dimensione del business reale è un’altra dinamica delle bolle.
Infine, un ulteriore indicatore è la crescita del debito a margine, cioè il capitale preso a prestito per comprare azioni. Storicamente, quando il debito a margine sale in parallelo agli indici azionari, significa che la speculazione sta alimentando i prezzi. Siamo pieni di notizie in cui in questi ultimi anni il margin debt ha toccato nuovi massimi storici, un fenomeno che spesso ha portato, successivamente, a correzioni molto violente.
Ancora una volta, anche se ormai abbiamo aggiunto un sacco di indicatori, nulla di questo dà la sicurezza matematica che siamo in una bolla che scoppierà domani.
Alcune bolle storiche
Diamo un’occhiata ad alcune bolle storiche, così da capire se l’IA di oggi ha delle chiare somiglianze.
Il parallelo più ovvio è con la bolla delle dot-com di fine anni Novanta. A quei tempi internet era la nuova frontiera, e bastava aggiungere “.com” al nome di un’azienda per attrarre milioni di dollari di capitali. Le IPO si moltiplicarono, con valutazioni di decine di miliardi assegnate a società che non avevano nemmeno un modello di business in funzione.
Quando fu chiaro che i ricavi era troppo bassi e i costi troppo alti, il Nasdaq crollò di quasi l’80%. Qui l’analogia con l’IA è evidente: anche oggi siamo davanti a una tecnologia rivoluzionaria, un’enorme concentrazione di capitali e valutazioni record, spesso a fronte di ricavi ancora piccoli. La differenza è che stavolta esiste già un’infrastruttura consolidata, non si parte da zero, i piani di business sembrano solidi e soprattutto il sentimento è che siamo ancora agli albori dell’IA, con la possibilità di crescita infinita che va oltre a “una vetrina online” dei siti web.
Un altro esempio è la bolla immobiliare statunitense che esplose nel 2008. Lì non c’era un’innovazione tecnologica, ma c’era la convinzione che i prezzi delle case potessero solo salire. Le banche concedevano mutui sempre più rischiosi, gli investitori li trasformavano in titoli da rivendere, e tutto il sistema si reggeva sulla fiducia che la crescita fosse infinita. Quando i prezzi iniziarono a scendere, tutto esplose.
In questo caso l’insegnamento è che l’eccesso di leva e la convinzione che “questa volta è diverso” sono ingredienti universali delle bolle, e che non possiamo escludere nemmeno in questo caso.
Parliamo poi del Giappone negli anni ottanta. Il Paese visse un boom immobiliare e azionario alimentato da credito facile e politiche espansive. Alla fine del decennio, il valore complessivo dei terreni di Tokyo era stimato superiore a quello di tutti gli Stati Uniti messi insieme. Poi arrivò la correzione, e l’economia giapponese entrò in una stagnazione durata decenni. Qui la lezione è un po’ diversa: non tutte le bolle finiscono sempre con un botto immediato, a volte si sgonfiano lentamente. Non che sia per forza qualcosa di meno negativo, perché quello che segue è solitamente un lungo periodo di debolezza dell’economia.
Prendiamo altri esempi più vicini: criptovalute e NFT. Nel 2017 e nel 2021 il prezzo di Bitcoin, che poi ha trascinato tutto il resto delle crypto, è salito di centinaia di punti percentuali in pochi mesi. Lo stesso è accaduto con gli NFT, venduti a milioni di dollari in aste record, salvo poi crollare quasi a zero nel giro di un anno. Qui non sto dicendo che le crypto siano una bolla… ma gli NFT direi che sono stati una moda decisamente passeggera. La somiglianza di questi fenomeni con l’IA sta nella rapidità con cui l’entusiasmo può trasformarsi in veri capitali, e altrettanto velocemente perdere tutto il valore.
Quindi, anche da un punto di vista storico, siamo davanti a chiare analogie: valutazioni altissime, concentrazione del capitale su pochi nomi, speculazione finanziaria crescente.
Tuttavia, credo sia necessario considerare anche la presenza di una differenza, sostanziale, che da sola potrebbe cambiare tutto: l’IA non è solo una promessa di qualcosa, ma è già realtà con applicazioni concrete e ricavi tangibili. Questo rende lo scenario meno fragile rispetto una moda, un’idea, una promessa, anche se non elimina i rischi.
Realtà vs. promessa
Ricordando queste bolle storiche, ci sono altri elementi ricorrenti: la speranza e la tangibilità o meno del valore. La speranza, o convinzione, che le case potessero continuare ad avere sempre più valore. La speranza che Internet sarebbe bastata a far fare soldi a tutti. L’intangibilità del valore degli NFT. L’intangibilità del valore delle crypto.
L’intelligenza artificiale, dal canto suo, sta già producendo in termini concreti. Le grandi piattaforme cloud – Microsoft Azure, Amazon Web Services e Google Cloud – hanno iniziato a integrare servizi di IA nei loro pacchetti enterprise e questo si traduce in ricavi. Microsoft, ad esempio, ha comunicato che una parte consistente della crescita di Azure nel 2024 è stata spinta proprio dalla domanda di applicazioni di intelligenza artificiale da parte delle aziende clienti.
Questo significa che le imprese, non solo i consumatori curiosi, stanno pagando per avere accesso a strumenti che migliorano produttività, automazione e analisi dei dati.
Anche i chip rappresentano un fondamentale solido. I ricavi di NVIDIA, triplicati in un anno nella divisione data center, sono numeri concreti. Non si tratta solo di aspettative: la domanda di potenza di calcolo è reale e ha già un prezzo di mercato. Lo stesso vale per le infrastrutture: la costruzione di nuovi data center non è una promessa ma un cantiere aperto, con miliardi di dollari investiti e impianti che stanno sorgendo in tutto il mondo.
Dall’altra parte, però, c’è tutta la squadra delle startup che hanno raccolto capitali miliardari senza produrre numeri convincenti. Le applicazioni consumer dell’IA costano ancora troppo in termini di infrastruttura per generare ricavi consistenti. In pratica, qual è la scalabilità economica? Addestrare e gestire modelli di grandi dimensioni richiede ancora costi enormi, che sono addirittura in crescita, non in decrescita.
I prezzi al pubblico, e anche nel settore business, si devono abbassare per generare un maggior volume d’affari, ma se i costi di gestione non si abbassano, semplicemente si riducono i margini. Insomma, tutta questa parte è estremamente oscura e nasconde i dubbi principali.
In soldoni, la realtà è che l’IA è decisamente più concreta rispetto alle bolle del passato che hanno fatto la storia, ma i dubbi sono ancora veramente tanti. Una parte si regge su ricavi e applicazioni già attive, un’altra su aspettative che devono ancora dimostrarsi realistiche.
I tre rischi che possono portare all’esplosione
Come abbiamo visto, analizzando il fenomeno da molti punti di vista, credo sia chiara la complessità necessaria per rispondere alla domanda se l’IA è una bolla o meno. Ma quali possono essere gli elementi che possono innescare l’esplosione della bolla?
Forse il più evidente, come già accennato, è il rischio di overcapacity. Cioè le big tech stanno spendendo centinaia di miliardi per costruire data center e acquistare chip, con l’idea che la domanda continuerà a crescere a ritmi esponenziali. Ma se questa domanda dovesse rallentare, ci troveremmo con infrastrutture gigantesche e costose non utilizzate, un fenomeno già visto nelle bolle passate. Basta ricordare la fibra ottica negli anni Duemila legata alla bolla delle dot-com: chilometri di cavi posati sottoterra che per anni sono rimasti inutilizzati.
Un secondo rischio riguarda la riduzione dei prezzi. Oggi i servizi di IA sono venduti a prezzi alti, secondo le medie di mercato dei vari servizi, e questo è un sintomo di mercato ancora poco competitivo. Tuttavia vediamo già molti segnali, come ad esempio le tante partnership che sta facendo Perplexity, offrendo il suo piano pro gratuitamente per un anno a chi ha PayPal, o assieme a offerte TIM per la connettività, o il fatto che GPT 5 è stato da subito usabile anche nel piano free, che indicano che mano a mano che la competizione aumenta, i prezzi si riducono. Ma se addestrare e gestire i modelli non diventerà più economico, i margini si assottigliano rapidamente. È una dinamica che abbiamo già visto nel settore cloud: all’inizio prezzi alti, poi guerre commerciali tra Amazon, Google e Microsoft che hanno eroso la redditività.
Il terzo punto è la regolamentazione. L’IA solleva temi enormi di privacy, diritti d’autore, sicurezza e impatti occupazionali. Governi e istituzioni continuano a interrogarsi sul da farsi. Se le nuove norme imponessero limiti all’uso dei dati o obblighi di trasparenza costosi da rispettare, i bilanci delle aziende ne risentirebbero ancora di più.
C’è poi, ovviamente, il rischio finanziario di queste valutazioni gonfiate che prima o poi si scontreranno con la realtà dei fatti: certo il riscontro potrebbe essere positivo, quindi giustificare queste valutazioni, ma anche il contrario, con una perdita di capitalizzazione importante.
Da non sottovalutare anche la dipendenza da pochi fornitori chiave: TSMC, NVIDIA, ASML, ad oggi sono ancora colli di bottiglia industriali da tenere fortemente in considerazione.
E, come ultimo punto, bisogna metterci anche la psicologia. Le bolle non scoppiano solo per i numeri che non tornano, ma anche perché a un certo punto gli investitori smettono di crederci. Basterebbe, ad esempio, una notizia negativa su NVIDIA, che oggi è una delle aziende più trainanti in termini di entusiasmo sul mercato, o l’annuncio di una normativa molto stringente, per dare un durissimo colpo a tutto il settore.
Quindi, in breve, non è tanto il fatto che l’IA non abbia valore, situazione che si è verificata in altra bolle, poiché c’è del valore ed è concreto, ma il problema è la velocità con cui il capitale si è accumulato. In questo caso potremmo essere davanti a una potenziale bolla, ma che al suo scoppio non cancellerà tutto quello che è successo, ma lo ridimensionerà, almeno un pochino.
I prossimi 12/24 mesi
Cerchiamo di immaginare cosa potrà accadere nei prossimi 1 o 2 anni. Ovviamente gli scenari sono differenti.
Un primo scenario è quello della crescita sostenuta e assorbita dal mercato. Cioè gli investimenti miliardari in data center, chip e software troveranno un impiego diffuso e concreto: un sacco di aziende, se non tutte, implementeranno l’IA in tutti i processi quotidiani, con benefici misurabili che portano maggior produttività e redditività.
Se questo cammino avverrà in maniera omogenea e continua, potremmo assistere a un riassestamento delle valorizzazioni delle aziende, con moltiplicatori che si correggeranno piano piano verso la normalità, senza però che ci sia un cambio violento. La bolla, se così vogliamo considerarla, si sgonfierà piano piano allontanandosi dal punto di scoppio, eliminando i rischi di crolli di mercato.
Un secondo scenario è quello della “mini-bolla settoriale”. Come abbiamo detto l’IA non è una sola cosa, ma è un fenomeno che interessa una filiera lunga, quindi è possibile che alcune parti di questa filiera reggano, mentre altre subiranno un grande ridimensionamento. Ad esempio, il valore dell’hardware potrebbe continuare a generare un valore solido, poiché è la benzina di questo settore e continuerà ad essere necessaria e richiesta, mentre calerà l’euforia su tutte le startup: se i ricavi cresceranno velocemente, possiamo considerare anche un’erosione dei margini per via della concorrenza, senza però il collasso del sistema.
Il terzo scenario è invece un po’ più ampio. L’arrivo di regolazioni severe, ritardi tecnologici che bloccano l’evoluzione, poca adozione da parte delle aziende che raffredda la domanda, insomma in caso di fattori di questo genere gli investitori potrebbero tirare i remi in barca, il mercato si renderà quindi conto che le valutazioni sono state troppo alte e i moltiplicatori di valutazione torneranno alla media storica. Questo è lo scenario della bolla che scoppia, simile a quella delle dot-com, che non porta quindi a una sparizione del mercato, ma un ridimensionamento importante.
Aggiungerei però un quarto scenario: non so quanto possa essere probabile, ma deve stare sulla lista. Alcune aziende, come NVIDIA, Google o Microsoft, potrebbero rimanere intoccate e catalizzare tutti i ricavi che l’IA può portare, mentre altre, molte startup, potrebbero ridimensionarsi in maniera drastica. Il risultato sarebbe un settore spaccato in due: da una parte poche superpotenze consolidate, dall’altro tante startup bruciate che falliscono e corrono ai ripari diventano prede economiche per i giganti tech.
Io credo che questi siano gli scenari auspicabili, ma è anche possibile che più di uno di questi scenari possa verificarsi, portandoci all’interno di una sorta di cammino fatto da più fasi.
L’IA è una bolla?
Chiudiamo con l’obiettivo di dare una risposta più netta, anche se forse non è possibile farlo.
In estrema sintesi, i dati ci mostra un quadro duplice: da un lato l’IA mostra fondamenta solide e un mercato in crescita; dall’altro ci sono i segnali chiari di surriscaldamento tipici di una bolla.
Sul piano dei fondamentali nessuno può negare che esistano già ricavi concreti e un’adozione reale. I servizi cloud che hanno incorporato l’IA generano fatturati miliardari, i chip per data center sono venduti a ritmi record e interi settori iniziano a usare modelli generativi per automatizzare processi. Queste cose stanno accadendo veramente, non sono promesse campate in aria.
Eppure, la velocità con cui le valutazioni sono salite ha pochi paragoni nella storia. Startup con ricavi nell’ordine di centinaia di milioni vengono valutate decine o centinaia di miliardi. Titoli come quello di NVIDIA hanno moltiplicato il loro valore in un tempo brevissimo e i mercati delle opzioni e del debito a margine mostrano dinamiche speculative evidenti. E queste sono le stesse condizioni che in passato hanno preceduto correzioni, anche violente.
Guardando a qualche esempio storico, la situazione dell’IA assomiglia almeno a due grandi rivoluzioni tecnologiche: internet negli anni Novanta e le ferrovie nell’Ottocento, e se vogliamo aggiungiamo anche le dinamiche delle criptovalute di pochi anni fa. In tutti questi casi una base di innovazione reale c’era, ma il mercato ha anticipato troppo e troppo velocemente, gonfiando i prezzi oltre misura. La correzione non ha cancellato la tecnologia, ma ha ridimensionato drasticamente i valori.
Potremmo quindi dire tranquillamente che l’IA è una bolla, spostando la domanda su “scoppierà o si sgonfierà lentamente?”.
Se i fondamentali cresceranno abbastanza rapidamente, la bolla potenziale potrebbe sgonfiarsi senza traumi, trasformandosi in un semplice ciclo di assestamento. Se invece il divario resterà ampio, il rischio di un reset forte è concreto.
Ma un altro messaggio importante da dare è che, in un caso o nell’altro, è certo che l’IA non è una moda passeggera, è qui per restare, bisogna solo capire che la sua traiettoria economica sarà soggetta ad alti e bassi, prima di trovare un equilibrio.