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Pro
- 3 livelli di difficoltà che aggiungono “false piste” alle indagini
- L'idea di un nuovo personaggio giocabile è interessante..
- Davvero tantissimi puzzle game
- Tutti i testi in italiano...
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Contro
- Il contesto anni '70 è del tutto superfluo
- ...ma Jane non è un personaggio così interessante
- Non tutti i puzzle sono ben contestualizzati
- ...anche stavolta il doppiaggio è caricaturale e imbarazzante
Il verdetto di Tom's Hardware
Informazioni sul prodotto
Agatha Christie – Assassinio sul Nilo
A quanto pare, la storia d'amore tra Microids e Hercule Poirt è destinata a durare a lungo, e la cosa non ci sorprende. Già qualche tempo fa, come ricorderete, ci eravamo trovati a giocare ben 2 titoli nati dalla collaborazione tra il team francese la Agatha Cristie Ltd., ed in questo senso questo “Assassinio sul Nilo”, è la naturale continuazione di uno dei precedenti, ovvero quel “Assassinio sull'Orient Express” che, in tutta onestà, ci aveva colpiti molto positivamente, sia per la scelta di proporre un secondo personaggio giocabile (Joanna), sia per la volontà di estendere e modernizzare il mondo di Poirot, catapultando il detective belga direttamente negli anni 2020.
Ora, con Assassinio sul Nilo, Microids ci riprova, compiendo però uno stravagante salto indietro nel tempo, e portando Poirot, e la sua nuova co-portagonista, Jane Royce, direttamente nel cuore degli anni '70. Un azzardo che, sulla carta, parrebbe interessante ma che ci ha lasciati un po' perplessi. Vediamo perché.
Poirot sul Nilo
Basato sul racconto “Poirot sul Nilo”, quindicesimo romanzo con protagonista Poirot, e unanimanente considerato tra i migliori racconti gialli mai scritti (e non solo da Agatha Christie), questo Assassinio sul Nilo è solo l'ennesima trasposizione di un romanzo molto noto, che per altro è stato riportato al cinema giusto qualche anno fa da quel Kenneth Branagh la cui ispirazione, come anche dicemmo qualche tempo fa, è stata evidentemente la base da cui Microids è voluta ripartire, quanto meno per estetica e ammodernamento della sua versione di Poirot.
Al di la di considerazioni molto personali e “da fan” su quanto questo Poirot sia o non sia il Poirot che ci meriteremmo, è evidente che come era stato per il precedente gioco di questa serie, ovvero “Assassinio sull'Orient Express”, il team di Microids si è trovata nella scomoda (ma volontaria) situazione di doversi confrontare con un'opera che non solo non ha bisogno di presentazioni, ma che ha anche alle spalle una trama molto densa, machiavellica e complessa, com'è noto per molte delle avventure che caratterizzano l'invetigatore belga.
Ora, diciamolo subito: la trama del gioco, in realtà, non si discosta molto dalle origini. Poirot è in viaggio sul Nilo per una vacanza di piacere, e mentre il battello Karnak è in navigazione, si troverà suo malgrado partecipe dell'indagine su di un misterioso omicidio, consumatosi proprio durante la navigazione. Stop. Qui ci fermiamo, specie perché Poirot, in effetti, è un territorio inesplorato per molti videogiocatori, e spoilerare sarebbe di per sé un atto indegno, anche se parliamo di una storia che ha sulle spalle quasi 90 anni.
Al netto di questo, ci sono 2 principali differenze con il materiale originale, che sono poi le medesime che avevano caratterizzato la trama del precedente “Assassinio sull'Orient Express”: la presenza di una seconda protagonista, che qui risponde al nome di Jane Royce, dirompente e determinata investigatrice privata a caccia dell'omicida di una sua cara amica, e il contesto temporale, che si sposta dagli originali anni '30, al cuore degli anni '70, in una scelta che, lo diremo subito, lascia un po' il tempo che trova.
Chi è Jane?
Jane Royce è un personaggio che nel canone di Poirot non esiste. Si tratta di una giovane donna anglo-africana, con una passione per le avventure di Poirot, e dotata di ottime doti investigative. Praticamente pari a quelle del leggendario detective, ed il cui scopo sarò quello di indagare sul tragico assassinio di una sua cara amica, sulle tracce dei loschi affari nascosti dall'azienda per cui quest'ultima aveva lavorato. Un incipit che si consumerà praticamente subito, dopo appena un'oretta di prologo, e creerà per Jane il pretesto per viaggiare in diverse location, a caccia di questa fantomatica organizzazione che, scoprirete, ama usare nomi molto “bondiani” per i suoi operativi. Qui, dunque, si dipanerà una trama che scorrerà parallela a quella del classico giallo di Agatha Cristie, cercando di fornire al giocatore un contesto più ampio, similmente a come era stato fatto con il gioco precedente, che con l'altra co-protagonista, ovvero Joanna, aiutava il giocatore a indagare su quello che Poirot non poteva sapere, e che Agatha Cristie aveva per lo più supposto, e mai scritto. Qui, va detto, le cose sono molto diverse, e tra il proverbiale “dire e il fare” non c'è di mezzo il mare, ma quanto meno il Nilo.
Il problema è abbastanza semplice, e sarà evidente già dopo un paio di capitoli di giocato: se nel gioco precedente avevamo amato l'idea di lasciare parte delle azioni a Joanna, in quello che era un “mistero nel mistero”, che ampliava la premessa narrativa del romanzo “Assassinio sull'Oriente Express”, in questo caso il team ha palesemente voluto puntare più in alto, offrendoci non la scoperta di un mistero originale, ma di una vera e propria trama che corre parallela con i fatti di cui è protagonista Poirot, ma che a volte risulta forzata e un po' scollata. Il pretesto, per altro, non partirebbe neanche da una premessa inventata ma, anche in questo caso, Jane serve più che altro ad ampliare un qualcosa che nel romanzo originale già c'era, seppur si trattasse di un aspetto molto minore, quasi “un depistaggio”, se vogliamo.
Non bastasse questo, c'è poi un problema di fondo che, a nostro giudizio, fa crollare in poco tempo quella che è la sospensione dell'incredulità del giocatore, che non è mai bene, specie in un titolo dall'animo così consolidato.
Per fare un esempio: nella volontà di seguire quasi i canoni dei Blaxploitation, con protagonista una forte donna nera in un contesto anni '70, si finisce per vivere delle vicende che a volte sembrano assurde, con Jane protagonista di scambi di battute con criminali che, forse, anche pensando al mondo di Agatha Cristie, non si farebbero problemi a farla fuori, ma che invece intavolano conversazioni e si lasciano, a volte, persino intimidire. Ovviamente, non è un problema di mera rappresentazione femminile anzi, forse fosse stata un'avventura a parte, squisitamente hard boiled tipo “Le indagini di Jane Royce”, ne sarebbe venuto fuori un prodotto davvero fresco e anche interessante.
Il punto è che qui si parla di Poirot, e di situazioni che spesso sono lanciate lì senza grosse premesse, come carrucole ficcate in un pollo di gomma. Per fare certe cose serve una certa penna, e qui il problema è anche che certe trovate corrono di pari passo ad una trama che, in realtà, non avrebbe bisogno di altri pretesti. Il punto, ancora una volta, è che per mere logiche di mercato (o anche solo per un po' di ambizione), forse il tutto è spiegabile dall'esigenza di Microids di dare ai fan “qualcosa di nuovo”, o anche solo un pretesto per giocare con un racconto che potrebbero conoscere a memoria.
Peccato che se con il gioco precedente questo era stato, tutto sommato, un trucco indovinato e di successo, qui il pretesto sia forse troppo forzato e maccheronico. Per altro, l'intero contesto anni '70, per quanto idealmente sfizioso, resta un pretesto e basta, e mostra persino il fianco ad alcune perplessità.
Da lettore e amante di Poirot, vederlo vestito a la Tony Manero nel prologo del gioco, frequentando un locale disco, fa sollevare ben più di un sopracciglio, e poco mi importa che sia stata l'approvazione degli eredi di Agatha Christie: è sbagliato e basta. Il punto è che nella voglia, da parte del team, di esplorare temi e letture “nuovi” per Poirot, e in qualche modo rilevanti (specie considerando i tempi che corrono), si è finito per dare una chiara collocazione temporale solo al personaggio di Jane. Una donna nera dalle grandi capacità, che è un po' l'emblema di quell'animo "sovversivo" e di quel cambiamento sociale che era in atto nel mondo negli anni '70.
Ma come ho detto, questo non è il gioco di Jane, è un gioco di Poirot, e quindi viene il dubbio che l'idea "sociale", per quanto buona, sia un po' decontestualizzata. Peccato.
Mie piccole celluline grigie
Sul piano del gameplay, invece, il passo avanti è più netto, anzitutto perché il team si è impegnato per spezzare quella monotonia che, volenti o nolenti, è propria dei giochi investigativi, vecchi o nuovi che siano. Intendiamoci: alla base il gioco è identico al precedente, con un sistema di indizi e connessioni che tenta di simulare quelle connessioni tra “celluline grigie” che sono uno dei marchi del noto investigatore. Tuttavia, mentre il titolo precedente offriva una direzione più veicolata, e un'esperienza, tutto sommato, molto lineare, qui invece, ben chiari i limiti del genere, il team ha cercato di mischiare un po' le carte in tavola.
Anzitutto, oltre all'investigazione classica, fatta di logica, deduzione e connessioni mentali, questo nuovo capitolo presenta una grande quantità di puzzle di ogni tipo, alcuni anche intriganti, che possono anche approcciati da chi è alle prime armi, grazie a 3 diversi livelli di difficoltà (per altro liberamente modificabili) e da una serie di suggerimenti e indizi che non lesinano in soluzioni con le sfide più complesse.
Il problema è che a questa abbondanza non corrisponde sempre la qualità: diversi minigame appaiono superflui o mal calibrati, e in certi casi diventano persino fastidiosi o insensati, se si pensa ad esempio ad un momento in cui ci troveremo in una bisca a giocare (troppo) a carte e dadi col pretesto di chiedere informazioni, o ad un momento abbastanza paradossale, in cui sarà chiesto a Poirot di guidare direttamente la Karnak lungo il Nilo. Scelte abbastanza “illogiche” se si considera il contesto generale e il canone di Poirot, che però potremmo anche accettare se, in fin dei conti, fossero divertenti. Ma non lo sono, e spezzano il ritmo di un'indagine che, spesso, pretenderebbe toni decisamente più seri e drammatici.
Tecnica “archeologica”
Dal punto di vista tecnico, Assassinio sul Nilo non sembra compiere particolari passi in avanti rispetto al suo predecessore, se non per ciò che concerne gli ambienti che, ovviamente, sono molto più numerosi e diversificati rispetto a quanto non potessero essere le carrozze dell'Orient Express. Al netto di questo, tuttavia, il gioco si presenta con un comparto grafico davvero molto modesto, e con una direzione artistica le cui ambizioni sono forse rimaste sulla carta, più che altro...
Anzitutto va detto che tutte le perplessità del gioco precedente, le animazioni in primis, sono ancora presenti. I movimenti e le espressioni dei personaggi sono legnose e spesso dinoccolate, e anche se spostiamo l'attenzione verso la cura degli ambienti, persino scenari iconici come il tempio di Abu Simbel non lasciano il colpo d’occhio che dovrebbero (o vorrebbero) avere. Per altro, personalmente trovo ci sia stato anche un passo indietro dal punto del character design che, pur mantenendo la direzione di quelle figure slanciate e longilinee scelte per il capitolo sull'Orient Express, mancano della mano di Cedric Peyravernay, l'elegante artista che in molti ricorderanno per Dishonored, e che aveva supportato lo sviluppo estetico dei personaggi del gioco precedente. Il risultato sono personaggi a volte un po' anonimi, con pochi dettagli degni di nota, e con ambienti che non sono in grado di restituire nulla di particolare, specie se pensiamo al contesto “anni '70” che è presente per lo più nel prologo e nel vestiario di alcuni personaggi e poco più.