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a cura di Michele Pintaudi

Editor

La storia dei videogiochi, come ripetiamo a più riprese, è bella in quanto varia: scorrendo tra le pagine che la compongono, è infatti facile rintracciare momenti dall’immenso valore per quanto riguarda cultura, società, economia e non solo. Non è dunque una sorpresa assistere a momenti gloriosi come il lancio di una nuova generazione di console, momento che peraltro è davvero dietro l’angolo, così come a crolli capaci di sconvolgere un’intera industria sin dalle fondamenta.

È su queste basi che poco tempo fa abbiamo dato vita a un editoriale che raccontasse, focalizzandosi su alcuni casi specifici, quelli che sono stati i più grandi flop della storia dei videogiochi dal punto di vista dei software. Tutti quei titoli che, per ragioni legate a una campagna di comunicazione mal realizzata o a limiti tecnici eccessivamente pronunciati, non sono riusciti a raggiungere determinati risultati di vendite.

Oggi rimaniamo su questo tema, spostandoci però al livello superiore: se il fallimento legato a un singolo videogioco può provocare in alcuni frangenti danni comunque limitati, il problema cresce a dismisura quando facciamo riferimento a qualcosa di più costoso in termini di produzione. Andremo dunque a raccontarvi di quelle console, o dei dispositivi ad esse correlati, che per ragioni di vario genere si sono rivelati dei veri e propri buchi nell’acqua: nella storia dei videogiochi i casi in questione sono davvero molti, e con questo articolo intendiamo darvi una panoramica generale di quelli che sono gli esempi più simbolici.

Il tutto considerando un contesto nel quale i videogiochi si sono già affermati e hanno consolidato la propria posizione all’interno dell’industria culturale, e dove perciò ci si va spesso e inevitabilmente a scontrare con il fattore legato alla concorrenza. Ma questo è un punto a cui arriveremo in seguito, ora non perdiamoci in chiacchiere e diamo il via al nostro viaggio tornando indietro fino alla seconda metà degli anni Settanta…

Storia dei videogiochi: un mercato sempre in evoluzione

Come vedremo spesso nel corso di questo articolo, il raggiungimento di determinati risultati in termini di vendite non sempre va di pari passo con il livello di qualità e di innovazione che un prodotto riesce ad offrire. Spesso, infatti, ci troviamo di fronte a dispositivi o a tecnologie dal valore indubbio, che però per sfortuna o per ragioni di qualunque altro genere non riescono a emergere lasciando il segno nella storia dei videogiochi.

È il caso del Fairchild Channel F: la primissima console dotata di un supporto per le cartucce, una vera e propria rivoluzione insomma. Inizialmente conosciuto come Video Entertainment System, il sistema venne messo in commercio nell’estate del 1976: un’epoca in cui il videogioco stava iniziando da poco ad affermarsi nella pop culture americana, rimanendo comunque un prodotto di nicchia e associato perlopiù alle diverse sale giochi presenti allora nel mondo.

La tecnologia alla base era per i tempi qualcosa di davvero incredibile, andando a introdurre tante migliorie a livello di sistema che rendevano il prodotto, di base, una delle macchine più potenti ad essere presenti sul mercato. Il comparto elettronico fu progettato da Jerry Lawson – la cui storia viene raccontata in uno degli episodi della recente docuserie Netflix High Score – mentre la CPU fu concepita da Robert Noyce, in seguito fondatore di Intel. La Channel F – complice anche l’agguerrita concorrenza di Atari che sviluppò in fretta il suo 2600, anch’esso con supporto per le cartucce – non riuscì a sfondare sul mercato: le cifre parlano di poco più di 250.000 unità vendute, che la condannarono inesorabilmente a finire nel dimenticatoio.

Nello stesso periodo troviamo un altro dispositivo incapace di ottenere risultati di rilievo, finendo ancor più velocemente lontano dai ricordi dei giocatori di tutto il mondo. Stiamo parlando dell’Astrocade, console rilasciata nell’aprile 1978 e ritirata poco dopo dal mercato: in una fase iniziale il produttore Bally Manufacturing optò per una distribuzione soltanto via posta, tagliando in sostanza un’enorme fetta di mercato con risultati molto inferiori alle aspettative.

Quando poco dopo la console fu immessa nuovamente sul mercato, il pubblico poté ammirarne l’altissima qualità in termini di specifiche: la Bally Astrocade offriva infatti il miglior comparto grafico presente sul mercato, capace di toccare standard fino a quel momento irraggiungibili. I titoli disponibili però latitavano, e dopo essere stata in vendita per pochissimo tempo la console venne poi ritirata definitivamente dal mercato, complice il responso fin troppo tiepido in termini di unità distribuite.

Facendo un balzo in avanti di un paio di decadi troviamo tanti, tantissimi altri esempi di hardware che per vari motivi non sono riusciti a sfondare. Gli anni Novanta sono infatti ricchi di esempi virtuosi, con console capaci di scrivere pagine molto importanti della storia dei videogiochi, ma anche di più o meno clamorosi buchi nell’acqua. Tra questi ultimi spicca un prodotto firmato da uno dei brand più noti nel mercato globale odierno: Apple. Ebbene sì: non sono in molti a ricordare quando l’azienda di Cupertino decise di tentare una sortita nell’industria videoludica, lanciando in collaborazione con Bandai il dimenticabile Pippin.

Nonostante un comparto hardware di ottimo livello, la console non riuscì assolutamente a fronteggiare l’agguerrita concorrenza di allora composta da colossi come PlayStation e Nintendo 64. Non aiutò assolutamente il prezzo, con la macchina venduta alla cifra spropositata di 599 dollari: il tutto si tradusse in appena 42.000 unità vendute, e nell’abbandono da parte di Apple del mercato dei videogiochi.

Altra menzione d’onore va fatta al CD-i: ambizioso progetto con cui Philips e Sony miravano a rivoluzionare l’industria introducendo il supporto ai dischi, con l’intenzione di soppiantare le storiche cartucce. Inizialmente concepita come un add-on per il Super Nintendo – con l’accordo tra le parti che non giunse però a buon fine – la console arrivò nei negozi nel 1991, ed è ricordata ancora oggi per aver ospitato alcuni dei peggiori titoli mai concepiti: The Wand of Gamelon vi dice qualcosa?

Il desiderio di investire nel formato CD trovò riscontro anche da parte di un colosso della storia dei videogiochi come Commodore, che a inizio decennio lanciò il presto dimenticato CDTV. Concepita idealmente come una macchina in grado di offrire intrattenimento a 360 gradi – unendo la fruizione di musica, film e videogiochi in un solo dispositivo – la console vendette appena 30.000 esemplari in tutto il mondo, e venne presto ritirata dal mercato.

Gli anni Novanta sono come detto davvero ricchi di esempi di rilievo in tal senso, e citarli tutti senza dimenticanze risulterebbe quasi impossibile. Meritevoli di citazione sono senza dubbio l’Atari Jaguar (una console forse troppo potente per i tempi), la console portatile SEGA Genesis Nomad e il Nintendo 64DD: un costoso potenziamento per il dispositivo giapponese che, a causa della distribuzione solo per posta e del supporto limitato a soli nove titoli, non riuscì a superare le 15.000 unità distribuite.

Il nuovo millennio: la storia continua!

Sebbene quello appena citato sia a tutti gli effetti il periodo più “disastroso” da un certo punto di vista, anche gli ultimi anni hanno regalato qualche dispositivo degno di essere inserito in questo editoriale. L’avanzamento tecnologico non ha infatti impedito tutta una serie di esperimenti non del tutto riusciti, così come le nuove tecniche di marketing non sono state sempre in grado di condurre a determinati obiettivi.

Se il successo di PlayStation 2 è qualcosa di difficilmente dimenticabile, con milioni di giocatori in tutto il mondo che ancora oggi riescono a divertirsi con la seconda grande console di Sony, lo stesso non si può dire per PSX: il videoregistratore, venduto soltanto in Giappone, che mirava a rilanciare la divisione aziendale legata all’elettronica di consumo. Il bassissimo interesse da parte del pubblico portò il colosso nipponico a cancellare qualsiasi piano di diffusione dell’hardware all’infuori del territorio domestico, risultando inoltre un fallimento in quello che era il tentativo di promuovere una convergenza tra gaming e altri media.

In tempi ancor più recenti troviamo poi Gizmondo: qualcuno di voi lo ricorda? Era il 2005, e l’azienda svedese Tiger Telematics decise di lanciare sul mercato una console portatile che potesse far concorrenza alle più blasonate PSP e Nintendo DS: un obiettivo forse un po’ troppo ambizioso, anche alla luce di quello che in effetti fu il prodotto finale. Gizmondo poteva infatti contare su appena quattordici titoli, uno schermo di dimensioni eccessivamente limitate e una batteria dalla durata troppo esigua. A tutto ciò va aggiunta una serie di controversie legate al management della società, con il Presidente di Gizmondo Europe accusato di essere coinvolto a più livelli con esponenti della mafia svedese. Non proprio lo scenario adatto a promuovere un qualsiasi prodotto, e inevitabilmente le vendite non riuscirono a superare le 25.000 console.

Con l’avvento di Android in molti pensarono sin da subito a come l’industria del gaming potesse, con l’arrivo del prodotto adatto, venire totalmente rivoluzionata dall’interno. Quando la campagna Kickstarter legata a Ouya si rivelò essere un successo – capace di raccogliere un milione di dollari in appena otto ore, per un totale di quasi nove milioni a fine campagna – tutti credettero di avere tra le mani la nuova killer application in grado di lasciare un segno nella storia dei videogiochi.

Con il lancio emersero però le prime grosse problematiche, come un hardware non all’altezza che spesso e volentieri andava a rallentare l’uso del dispositivo anche nello svolgimento di operazioni basilari. Il catalogo proposto era inoltre alquanto limitato, e molti dei titoli promessi non arrivarono mai sul mercato. A pochi anni dall’uscita Ouya venne poi rilevata da Razer, che nel giugno 2019 disattivò completamente il servizio mettendo la parola fine su quella che non è mai stata davvero la rivoluzione promessa.

Concludiamo questo nostro approfondimento con due prodotti di casa Nintendo, a ulteriore dimostrazione di come anche i grandi possano sbagliare in un mercato vario e dinamico come quello videoludico. Dopo il grande successo di Wii, l’azienda giapponese trascorse anni a progettare un prodotto in grado di raggiungere e anzi superare gli standard imposti dalla console precedente. Fu così che nacque Wii U, che approdò sul mercato nel novembre 2012 lasciando gli appassionati quantomeno confusi sulle reali funzionalità della console.

La campagna promozionale aveva infatti fatto credere a molti che il Wii U GamePad, il controller a forma di tablet incluso nel pacchetto, fosse esso stesso la console: si pensava a un prodotto molto simile all’odierna Switch insomma, capace di fungere sia da macchina da gioco portatile che casalinga. Questo malinteso, unito a una gestione grossolana in termini di pubblicazione dei vari giochi e a un pressoché assente supporto a titoli terze parti, portò Wii U a vendere soltanto 14 milioni di unità nel mondo: un numero incredibilmente basso, soprattutto se paragonato alle 101 milioni di Wii vendute.

Non tutto il male viene però per nuocere e Nintendo, compresi gli errori commessi, è riuscita con Switch a proporre all’utenza tutto ciò che Wii U non è riuscita a dare. Spesso, insomma, uno scivolone può portare a una rinascita e a grandi cose capaci di segnare davvero la storia dei videogiochi. Vi lasciamo, come al solito, invitandovi a dirci la vostra: quali sono state, anche per esperienza personale, le console meno riuscite della storia? E quali sono altri dispositivi che meritano in questo senso di essere quantomeno citati?

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